Ogni sessione di mercato è motivo di speranza per i tifosi di ogni squadra di calcio. L’obiettivo è naturalmente quello di diventare più forti, di ambire a nuovi successi, di trovare quel giocatore capace di fare il salto di qualità. Tanti sono ovviamente i casi in cui il buon lavoro del direttore sportivo ha portato miglioramenti significativi nel team, altrettanti sono forse quelli non proprio riusciti.
Ma ci sono anche casi in cui, per i motivi più diversi, il nuovo acquisto che arrivava trionfante da ottime stagioni si è rivelato un “flop” solo nel frangente in cui ha vestito una certa maglia, per poi tornare a ottimi livelli solo dopo essere andati a giocare altrove. Ecco alcuni casi che sicuramente ricorderete, specie se siete tifosi di una di queste squadre.
Leonardo Bonucci: l’uomo che doveva spostare gli equilibri
Partiamo dal caso più recente, per certi versi anche tra i più eclatanti. Perchè il Bonucci che nel 2017 decide di lasciare la Juventus dopo sette stagioni, è il capitano per eccellenza, il componente essenziale della “BBC” che ha fatto le fortune dei bianco neri, l’uomo che tutte le difese d’Europa vorrebbero avere in squadra.
Ma le tossine della finale di Champions persa a Cardiff hanno incrinato il rapporto con l’ambiente e per una cifra di “soli” 42 milioni di euro passa in estate ai rivali del Milan tra la sorpresa generale. Le aspettative sono alle stelle, tanto che qualcuno sottolineerà come Bonucci possa essere l’uomo in grado di “spostare gli equilibri” della stagione del Milan.
Non sarà così però e, anzi, l’impatto è davvero terribile tra pessime prestazioni e qualche espulsione che peraltro gli impedirà di essere in campo contro la sua ex squadra. Il finale è migliore (grazie all’arrivo di Gattuso in panchina), con tanto di gol ed esultanza proprio in occasione del ritorno contro i bianconeri. Ma il giocatore che sapeva tenere in mano la difesa e impostare il gioco è un lontano ricordo. Più che problemi di modulo e tattiche però, l’impressione è che molto sia dipeso da una scarsa tranquillità personale e un feeling mai sbocciato con l’ambiente rosso nero. Non è un caso infatti, se proprio al termine della stagione il “back to back” verso casa è compiuto, tornando a essere il Bonucci di sempre in queste ultime stagioni.
Dennis Bergkamp: una parentesi infelice
Eclatante anche il contrasto tra la parentesi di Dennis Bergkamp all’Inter dal ’93 al ’95 e il suo rendimento prima e dopo. Al suo arrivo in maglia nero azzurra aveva alle spalle i suoi 118 gol (su 229 presenze) con l’Ajax, che gli sono valsi per ben due anni di fila il podio nella classifica del Pallone d’Oro. Poi lo sbarco a Milano con le stigmate di un campione assoluto a cui affidare le speranze per il titolo.
I numeri di quegli anni raccontano solo in parte quanto però sia stato lontano dalle attese. 72 partite, 21 gol e 4 assist. Cifre “normali” che insieme alla coppa UEFA conquistata potrebbero anche far pensare a un qualcosa di positivo. Eppure in campo l’olandese non è quasi mai riuscito a rendere secondo la sua classe, e le “colpe” sono questa volta probabilmente tattiche. Bagnoli e Bianchi che l’hanno allenato in quegli anni non erano certo paladini di quel calcio totale che tanto andava di moda in quegli anni (leggasi Arrigo Sacchi e dintorni). Quello che resta è la sua classe innata che in alcuni frangenti ha saputo avere la meglio sul bavaglio tattico.
Caso non è che dopo la parentesi, Bergkamp ha preso in mano per 402 partite le sorti dell’Arsenal, portandolo ai vertici della Premier League per tutte le sue ultime dieci stagioni da giocatore.
Thierry Henry: genio incompreso
Paradossalmente è molto simile anche il percorso di un altro grande campione con poca fortuna nel nostro campionato, Thierry Henry, anche se qua però il flop sul campo è eclatante. Arrivato dal Monaco nel mercato invernale con la Juve che doveva fare a meno del suo capitano Del Piero per un infortunio, visse però uno momento non certo molto positivo per tutta la squadra (solo settima a fine campionato).
Ma sono soprattutto le sue caratteristiche tecniche a fare fatica nel modulo di Ancelotti, che lo vede più che altro come esterno limitandone l’estro che erano e saranno una delle sue caratteristiche principali. Morale della favola, 16 presenze e 3 sole reti (di cui due in una doppietta contro la Lazio che costerà poi ai romani lo scudetto).
Un acquisto che doveva essere un punto di partenza per il futuro, ma che proprio alcune diatribe interne (con Moggi) portarono invece a concludersi dopo solo sei mesi. Destinazione, ancora l’Arsenal che se lo portò a casa per dieci milioni di sterline. Un prezzo onesto per vederlo 254 volte in campo segnare ben 174 reti che hanno fatto degli inglesi una delle squadre più forti del periodo.
Edgar Davids: grinta e carattere (difficile)
I lancieri dell’Ajax si sa, sfornano talenti a ripetizione. Anche Davis infatti arriva dalla “cantera” olandese, dove incanta subito tutti diventando un perno del centrocampo con anche una buona dote per il gol, nonostante il ruolo non propriamente offensivo (ne farà 20 in 105 match giocati).
Abbastanza per considerare l’ingaggio a parametro zero del Milan un grosso colpo di mercato della Serie A del ’96. La stagione e mezzo in maglia rosso nera però è un inferno. Prima un grave infortunio che lo terrà fuori per gran parte del campionato, poi un temperamento che sarà deleterio in campo (tra problemi di cartellini e di posizionamento) e nello spogliatoio.
L’occasione arriva quindi nel mercato invernale dell’anno successivo, quando è la Juventus a farsi avanti con un offerta da 9 milioni di euro che trova un felice accordo da ambo le parti. Sarà però il Milan a mordersi le mani, perchè plus valenza a parte, l’olandese (primo nella storia della Juve) diventerà un punto fermo delle vittorie in Serie A della signora in quegli anni. A onor del vero poi, molto spesso Davids si porterà dietro quegli stessi problemi di ambientamento in molte delle sue squadre (da quelli con Lippi alla Juve a quelli con Mancini all’Inter), a conferma che a volte la base di molti problemi è proprio a livello caratteriale.
Juan Román Riquelme: errore di ruolo
E problemi di gestione caratteriale li ha sicuramente avuti anche Riquelme nella sua parentesi catalana. Il talento argentino arrivava infatti da una serie di stagioni da assoluto protagonista al Boca Junior dove aveva vinto praticamente tutto, portandosi dietro l’etichetta di «nuovo Maradona».
Lo sbarco in blaugrana però è subito in salita per diversi problemi con l’allenatore Van Gaal che non solo non lo vede minimamente come trequartista facendolo giocare costantemente come esterno nel tridente di attacco (ruolo che per usare un eufemismo non gli si adattava particolarmente), ma ne mina anche le convinzioni con alcune dichiarazioni poco felici (bollandolo come “acquisto politico”).
Finisce con 30 presenze (tutte fuori ruolo) e 3 reti segnate, una stagione fallimentare e il morale sotto i tacchi. Tanto che è oro la stagione in prestito al Villareal che lo rimette pian piano in sesto, fino alla cessione definitiva ripagata con 36 gol in 106 presenze. Il ritorno in patria al Boca Junior poi, ne farà ritrovare definitivamente un talento mostrato ovunque, tranne che al Barcellona.