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Una storia durata appena due anni.

24 mesi o poco più intensi per il calcio cinese che dall’ombra si è preso il palcoscenico per poi finire poco dopo dietro le quinte, senza più sapersi riprendere il proscenio.

In Cina il boom del pallone è durato due anni: contratti faraonici, stadi di primissimo livello, pioggia di sponsor e soldi, con un’esposizione mediatica senza precedenti. Tra il 2015 e il 2017 il famoso quarto d’ora di gloria che si trasforma ben presto in una crisi che la pandemia ha allargato.

Vediamo nel dettaglio.

Il 2015, anno zero del calcio cinese

Un paese di 2 miliardi di persone ha un potenziale clamoroso per tutto. Anche per il calcio: uno sport amato dai cinesi, ma senza un campionato nazionale in grado di creare appeal al di la della muraglia cinese. Insomma, c’è voglia di attrarre verso le proprie leghe giocatosi, sponsor, media e molto altro ancora.

Il 2015 sembra essere l’anno ideale per dare la svolta alla Super League cinese. Merito di Xi Jinping che in quell’anno diventa il Presidente della Cina e da grande appassionato di calcio vara il suo personale progetto. Dare lustro al campionato nazionale e farlo conoscere a tutto il mondo.

Una rottura con le regole non scritte del gioco del pallone e con gli occhi del pianeta rivolti nell’est dell’Asia. Il neo presidente cinese sa che per alzare il livello del campionato serve importare stelle internazionali da una parte e investire sui settori giovanili dall’altra per creare una nazionale che possa lottare ad armi pari con la nobiltà del calcio mondiale.

Passeranno pochi mesi da quelle parole per vedere decollare un progetto ambizioso, ricco e pieno di voglia di emergere. Con una valanga di soldi che vengono smossi come non mai, da una parte all’altra del paese, perché nessuno vuol deludere il numero 1 della nazione e per non restare ai margini del nuovo che avanza.

Il biennio d’oro

Tra il 2015 e il 2017 il calcio in Cina diventa un must come non lo era mai stato prima. Poco meno di 200 milioni di dollari spesi nei cartellini dei giocatori per i club cinesi: una spesa record che diventa un ricordo appena 12 mesi dopo, quando sul piatto vengono mossi complessivamente 400 milioni di dollari. L’apice nel 2017, con 600 milioni di bigliettoni verdi spesi per assicurarsi i migliori giocatori.

Nel giro di due stagioni la spesa dei cartellini è stata triplicata e sé un buon numero di stelle di giocatori approda in Cina, lo stesso vale per gli allenatori; da Marcello Lippi a Fabio Capello, passando per Fabio Cannavaro, citando solo i tecnici nostrani. Una sorta di corsa all’oro, ma verso il calcio ad est del Continente.

Il 2017 fa crollare tutto

Quando ormai il campionato cinese è pronto a prendersi totalmente il palcoscenico, ecco il punto di rottura che mette fine al sogno di una lega di primo livello e tutto inizia a sfracellarsi. In primis un calo di interesse per il calcio in Cina: non tanto da parte del pubblico, ma da parte di chi dovrebbe investire.

In secondo luogo, la situazione non proprio democratica del paese non aiuta oltre modo ad attirare gli investimenti di gruppi stranieri che non si fidano di molti lati oscuri del paese. Infine, ma non ultimo, la scelta dello stesso governo cinese di limare, regolare e in qualche modo limitare le spese folli, alla luce delle cifre dei primi due anni.

Insomma una serie di situazioni che già nel 2018 fanno crollare gli investimenti nei cartellini ad appena 200 milioni di dollari. In soli 12 mesi c’è un meno 400 nel bilancio di questo compartimento che ha però una sorta di canto del cigno nel 2019, con poco più di 250 milioni investiti in giocatori: più cinquanta rispetto alla stagione precedente, ma sempre distante dai numeri del 2017.

Pandemia fa rima con fallimento

Il 2020 è l’anno nero per tutto il mondo. In Cina si creano i primi casi di Covid e dal mercato del pesce di Wuhan il virus si propaga in maniera tragica per tutto il globo. Il paese si chiude in lockdown per mesi e mesi, mentre un’altra parte del pianeta prova a ripartire. Insomma lì è iniziato tutto e sempre lì si cerca di limitare il diffondersi del male.

In tutto questo il calcio resta fermo: e sé negli altri campionati, un passo alla volta si torna in campo, in terra cinese il calcio resta un miraggio per mesi. Tra la paura generale si riprende a fine 2020, tra match rinviati, squadre in quarantena e stadi chiusi per non aggravare la situazione sanitaria.

E anche il calcio cinese si aggrava, con il fallimento del progetto che si evidenzia tra il 2021 e il 2022, con investimenti al minimo storico e una fuga generale delle grandi stelle. Il sogno si è infranto nel modo peggiore, con una spesa complessiva di 2 miliardi di dollari in giocatori, ma senza ottenere alcun risultato.

Ad oggi il campionato è tornato ad avere lo stesso appeal prima del 2015, l’anno che ha segnato la svolta prima del tracollo. Pochissimi stranieri, pochi investimenti e oltre 40 squadre in meno rispetto a 10 anni fa: perché nel frattempo anche tanti club sono deplosi sotto il peso di un crollo generale.

Un’utopia che resterà nella storia: per come si è presa la scena e per come in pochissimo tempo si è dissolta.