Vai al contenuto

Esattamente dieci anni fa, l’undici maggio del 2014, il Bologna del presidente Albano Guaraldi perde in casa contro il Catania nella penultima giornata di Serie A e viene matematicamente retrocesso, con una società sull’orlo della bancarotta.

Flashforward a oggi, in quello stesso 11 maggio ma del 2024, i rossoblu espugnano il Maradona di Napoli e prenotano un posto in Champions League, che viene confermato il giorno dopo con la sconfitta della Roma che certifica la realizzazione di un sogno e di una promessa, quella che aveva fatto Joey Saputo al suo arrivo: “In dieci anni riporterò il Bologna in Europa”.

Il primo passo di un sogno

Perchè forse nemmeno lui aveva osato pensare a tanto, lasciando da parte qualunque proclamo Champions in tempi in cui “salvarsi” era la parola d’ordine primaria (oltre che l’unica realistica).

Saputo era arrivato nel capoluogo emiliano convinto di riportare i rossoblu ai grandi fasti del passato, ma nonostante sia un grande imprenditore di successo (con un patrimonio da quasi cinque miliardi di dollari), l’italo canadese non è di quelli propensi a spendere senza un progetto di sostenibilità tecnico e societario.

L’idea era chiara: scovare giovani prospetti che possano inserirsi al meglio e farli crescere pian piano cercando di migliorare sia l’aspetto tecnico sia i possibili introiti dal mercato.

Per farlo, si affida a una “triade” che dovrebbe garantire affidabilità su ogni aspetto: Claudio Fenucci prende la guida dell’organigramma societario, mentre Riccardo Bigon e Marco Di Vaio si occupano della direzione sportiva.

Sulla panchina, Delio Rossi è la mossa azzeccata per centrare subito il ritorno in Serie A, ma poi le cose si fanno complicate e serve l’arrivo di Roberto Donadoni per trovare una salvezza più o meno tranquilla. Un amore però mai sbocciato con la piazza, insieme a qualche scelta di mercato non sempre condivisa, portano nel corso degli anni prima ad affidare la squadra a Pippo Inzaghi, e poi trovare la prima vera svolta, quella con Sinisa Mihajlovic.

Onore a Sinisa: ambizioni e coraggio

Già, perchè prima di arrivare alle glorie di oggi, c’è quanto meno un doveroso omaggio da rendere. Quando Sinisa rileva la panchina nel 2019, la squadra è letteralmente sull’orlo della retrocessione. Servirebbe un miracolo, che lui confeziona a dovere con una serie di prestazioni e vittorie convincenti che gli garantiscono la riconferma e la fiducia della società e dei tifosi.

Sarà un Amore vero tra tutte e tre le parti, purtroppo esasperato da una serie di sfortunati eventi che fanno passare la crescita sportiva e tecnica dei rossoblu in secondo piano.

Proprio quando il Bologna sembra poter davvero ambire al cambio di passo e di obiettivi, da una parte la pandemia cambia radicalmente le priorità mondiali, mentre dall’altra la malattia che colpisce Sinisa condizionerà radicalmente l’approccio sportivo e umano di quel periodo.

Senza evocare le emozioni e le sofferenze (ma anche alcune gioie) vissute, è necessario quanto meno ricordare quanto le ambizioni e il modo di pensare in grande di Sinisa (e per un breve periodo, anche di Sabatini che era arrivato nel mentre come DS) siano di fatto servite a consolidare e sviluppare anche quelle della società, che lo ha seguito fino alla fine sognando sempre in grande, nonostante tutte le difficoltà del caso.

Così come quello spirito combattivo, che è volente o nolente diventato parte del DNA di molti elementi di quel gruppo, che ne hanno vissuto tutti i momenti e le fasi più drammatiche, riportando quell’esperienza sul campo, oltre che nell’animo.

L’arrivo di Motta: il mondo delle idee

La simbiosi tra città, società e Sinisa, è stata tale che l’arrivo di Motta, dopo sette giornate del campionato 22/23 non è stato subito preso bene dalle parti.

Thiago, ha iniziato impostando subito il suo “mood” andando contro corrente su praticamente tutte le scelte possibili (di formazione, di moduli, di comunicazione), con in più una serie di sconfitte che non lasciavano presagire nulla di buono.

La sua idea di moduli dinamici, dei ruoli che non erano ruoli, di una gerarchia di merito che solo lui riusciva però a comprendere, era un qualcosa che aveva bisogno di risultati tangibili per essere assimilata anche al di fuori dalle mura societarie.

Cosa che, prontamente, successe poi proprio in quel campionato, che vide il Bologna chiudere al nono posto, non senza qualche rammarico per alcune chance sciupate. Era però un working progress che stava portando a interessanti sviluppi, grazie a Motta, certamente, ma anche alla mano di un’altra figura che è stata probabilmente lo step definitivo per il salto di qualità.

Giovanni Sartori: la marcia in più del Bologna

Una società sana e con i conti in regola. Una storia centenaria di grande blasone. Una più recente fatta di combattimenti e crescita di gruppo. Un allenatore ricco di nuove idee e tanta ambizione. Mancava un solo elemento affinchè tutto fosse realmente al suo posto: il miglior direttore sportivo della storia.

Perchè quando Giovanni Sartori è arrivato in Emilia nel maggio (ancora) del 2022, il suo palmares lo rendeva già l’acquisto più importante del nuovo millennio in casa rossoblu. Un dirigente capace nel corso degli ultimi anni, di prendere per mano società come il Chievo e portarla fino ai preliminari di Champions League, salvo poi migliorarsi ancora quando passa all’Atalanta, che diventa un vero e proprio punto di riferimento per tutti consolidando la sua fama italiana e internazionale e arrivando stabilmente tra le prime della classe, mostrando una simbiosi perfetta sfornando talenti a ripetizione grazie al gioco di Gasperini.

Un accoppiata vincente che ora si ripropone con Thiago Motta, capace di valorizzare al meglio il capitale umano che lo stesso Sartori ha scovato, anche questa volta, in giro per il mondo.

La cavalcata per la Champions: un’attesa di 60 anni

Perdonate questa lunga ma doverosa premessa, che è però necessaria per inquadrare questo che altrimenti sembrerebbe solo un miracolo sportivo, ma che è invece frutto di un lavoro partito da lontano e con molti diversi meriti.

Tra cui, indubbiamente, quello che è stato il più evidente di tutti: Thiago Motta, alchimista perfetto di una stagione che ha finalmente messo tutti gli elementi al loro posto.

Della società si è parlato, così come del direttore sportivo che ha rifornito di talento la rosa scovando nuovi e vecchi talenti. Motta è però riuscito a valorizzare tutti (o quasi) al massimo, dando di volta in volta fiducia a quelli più in condizione o con più merito (il “merito” negli allenamenti è dogma irrinunciabile per Motta, anche a costo di scelte che a volte sembrano incomprensibili).

C’è ovviamente un’ossatura di squadra da cui difficilmente si è slegato, ma se pensiamo che persino il ruolo del portiere ha avuto alternanze, così come elementi che potevano essere imprescindibili come Calafiori (un crack per buona parte di stagione) od Orsolini (in una delle sue migliori stagioni), ecco che si può comprendere quanto l’unica cosa realmente imprescindibile di questa squadra, è l’idea di gioco.

Una rosa al completo: i top player del Bologna

C’è da rendere onore anche ai giocatori ovviamente, che questa idea di gioco l’hanno portata avanti e in maniera eccellente. Tutti, dal primo all’ultimo, malgrado qualcuno abbia avuto più spazio di altri.

Skorupski non è mai stato così determinante, con una serie di clean sheet che ha reso la difesa del Bologna una delle migliori della stagione (in casa poi, è una delle migliori di tutti i principali campionati europei, con appena nove reti subite), nonostante in alcune occasioni Motta gli abbia preferito Ravaglia, bolognese doc che ha altrettanto ben figurato, migliorando probabilmente il rendimento di entrambi.

Pochi gol subiti merito di una difesa che ha tre centrali totalmente interscambiabili e di pari livello: Lucumì, Calafiori e Beukema. Non a caso usati a seconda delle esigenze costruendo un muro invalicabile. Posch e Kristiansen ai lati hanno fatto il loro lavoro, con Lykogiannis e De Silvestri decisivi però in alcuni frangenti chiave.

Il centrocampo è uno dei tanti punti di forza e ha avuto in Lewis Ferguson il suo elemento imprescindibile. Motta ha sempre sottolineato l’importanza dello scozzese, anche nel suo lavoro più sporco e oscuro. Così come quello dello svizzero Aebischer, nome non molto conosciuto ma che è servito da “equilibratore” in tutti i ruoli. Freuler è stato il metronomo e l’ultimo baluardo, mentre El Azzouzi ha regalato alcuni gol decisivi (vedi alla voce “Olimpico”) e Urbanski, malgrado la sua giovanissima età, è risultato uno dei pupilli più utilizzati. Di Fabbian ne sentiremo poi parlare a lungo, perchè nonostante fosse la sua prima stagione nella massima serie e con un minutaggio non altissimo, si è dimostrato un vero e proprio animale d’area con il senso del gol addosso.

La batteria degli attaccanti laterali è stata una delle armi più importanti, nonostante il gioco di Motta richieda una buona dose di sacrificio e un dispendio di energie altissimo. Lo sa bene Orsolini, che pure spesso si è accomodato in panchina nella sua alternanza con Ndoye (che ha segnato molto meno, un solo gol, ma parimenti è stato importante nel gioco uno contro uno che Motta richiede), così come Saelemaekers, a lungo tenuto in disparte proprio perchè in difficoltà nell’applicazione di un gioco così aperto e veloce (lui, che si innamora così spesso del pallone con quel tocco magico di piede che si ritrova). Ci sarebbe anche Karlsson, ma durante tutta la stagione non è mai riuscito a trovare spazio e non solo per i vari infortuni. Chissà che non ci sarà tempo per lui, quando il calendario sarà ancora più frenetico nella prossima stagione.

E poi c’è lui, mister Zirkzee. Un ragazzone che si muove con la grazia di un ballerino e che riesce a tenere quel pallone tra i piedi in maniera quasi innaturale. Forse non perfetto in quanto a cinismo sotto porta, ma resta una delle cose più belle da vedere di quest’anno ed è impossibile quantificare quanto vantaggio abbiano portato alcune sue giocate visionarie in attacco. E proprio in quel reparto, sarà banale dirlo, ha portato il suo anche un insospettabile Odgaard, che pareva arrivato più per fare numero e far tirare un po’ il fiato agli altri, ma che invece Motta è riuscito a plasmare tirandone fuori il meglio.

Una rosa insomma, con qualità presenti e futuribili, certo esaltata dal gioco espresso ma che ci ha messo tanto del suo nella convinzione dei propri mezzi e con una dose di talento ancora da esprimere.

Le chiavi della stagione: cinque sliding doors per la Champions

Era iniziata con una sconfitta casalinga contro il Milan, che si rivelerà poi essere una delle pochissime occasioni perse tra le mura amiche. Già nella prima parte della stagione, il Bologna aveva fatto intravedere qualcosa di particolare, nonostante qualche punto sciupato in quella fase.

Sono stati tantissimi i momenti chiave di questa stagione, ma qualcuno forse ha dato realmente la svolta morale e tecnica per riuscire anche solo a credere in un risultato così enorme. Ne abbiamo scelti cinque, che evocano proprio questo spirito indomabile dei rossoblu:

  1. Bologna vs Cagliari 2-1 (2 Settembre)

Il Bologna arriva da una trasferta pareggia 1-1 contro la Juventus, dopo un clamoroso errore arbitrale che ha negato il possibile rigore su Ndoye (sullo 0-1). Un punto in due giornate, il morale da rivedere, contro il Cagliari i rossoblu non sono fluidi come al solito e infatti vanno sotto nel primo tempo con la rete di Luvumbo.

Una partita da ribaltare come il Bologna è stato capace di fare poi diverse volte in stagione, senza mai perdere lucidità. Il dominio totale del possesso si traduce in una mole di occasioni che portano prima al pareggio di Zirkzee e poi all’occasione di Orsolini sul dischetto. L’attaccante sbaglia però dagli undici metri, ma ancora una volta invece di abbattersi, i rossoblu continuano a spingere fino all’ultimo secondo con Fabbian che trova la sua prima rete in Serie A dopo appena tre minuti dal suo ingresso. Una sliding doors che regala tre punti pesantissimi in una fase delicata di avvio campionato.

  1. Inter vs Bologna 2-2 (7 Ottobre)

Il Bologna arriva al Meazza dopo sei partite senza sconfitte (ma anche dopo tre zero a zero), con l’Inter però in vetta alla classifica. Sembra un’impresa ardua per i felsinei, che sono sotto di due reti già al quarto d’ora. Normalmente una squadra si sarebbe sciolta al sole, ma proprio in quell’occasione viene invece fuori tutta la determinazione e la forza del Bologna, che pareggia i conti prima con un rigore di Orsolini e poi con un gol da cineteca di Zirkzee. Un pareggio che ha dato probabilmente quel passaggio di convinzione in più a tutti di potersela giocare contro chiunque, anche i più forti.

  1. Bologna vs Atalanta 1-0 (23 Dicembre)

Il Bologna si presenta alla 17° giornata al quarto posto in classifica, con i bergamaschi indietro di cinque punti ma reduci da tre vittorie di fila e in piena condizione. Di contro, il Bologna arriva dalla trasferta di Coppa Italia di tre giorni prima, dove ha incredibilmente eliminato l’Inter di Inzaghi ai supplementari, con il morale a mille ma forse un po’ le gambe rigide. Non è il miglior momento dei rossoblu infatti, che subiscono il gioco bergamasco per larghi tratti, riuscendo a mostrare però un altro aspetto determinante della stagione: al capacità di soffrire senza scomporsi troppo in difesa. Skorupski regge l’urto degli avanti nero azzurri, fermando il punteggio sullo zero a zero fino a due minuti dal termine, quando Ferguson pescato da Orsolini trova il gol della vittoria che lancia il Bologna verso il terzo posto.

  1. Atalanta vs Bologna 1-2 (3 Marzo)

Scorriamo avanti fino alla 27° giornata di ritorno, con il Bologna ancora saldamente tornato al quarto posto e sempre i bergamaschi a inseguire subito dietro a due punti. Il Bologna arriva da cinque vittorie di fila, ma la Dea è sempre la Dea e anche per Gasperini è un buon momento. Infatti proprio i padroni di casa passano in vantaggio con Lookman, cercando poi di chiudere la partita.

Ma ancora una volta Motta e compagnia reggono il momento difficile, imponendo poi il loro gioco anche in un campo come questo. In cinque minuti nella ripresa, i rossoblu cambiano le sorti del match e probabilmente della stagione: Zirkzee realizza il rigore e subito dopo Ferguson trova la rete del vantaggio che regala tre punti e consolida il quarto posto in classifica.

  1. Roma vs Bologna 1-3 (22 Aprile)

Siamo ormai alla 33°, ma i giochi sono lontani dall’essere chiusi e il calendario non è favorevole ai rossoblu nel finale. In più, l’assenza di Ferguson (stagione finita) e una condizione non ottimale (due pareggi a reti bianche contro Monza e Frosinone), non lasciano presagire nulla di buono contro una Roma che De Rossi ha rinvigorito tanto che potrebbe, in caso di vittoria, raggiungere proprio quel quarto posto occupato dai felsinei.

Peccato che il Bologna in questa stagione si è espresso al meglio proprio nei match decisivi contro le squadre più forti, e infatti domina il primo tempo chiuso in vantaggio di due reti (El Azzousi e Zirzkee). Nella ripresa Azmoun prova a riaprirla ma è lo scavetto di Saelemaekers l’istantanea da mettere in cornice che consacra le ambizioni del Bologna e sdogana quella parolina magica rimasta tabù fino a quel momento: Champions League.

Poi certo, ironia della sorte dopo quella vittoria le cose si rimescolano con il doppio pareggio contro Torino e Udinese, ma ancora una volta è la trasferta di Napoli a dare forza e certezze al Bologna, che vince per 0-2 aspettando poi la matematica che arriverà nel posticipo serale con l’Atalanta che batte la Roma.

Piazza Grande si illumina di rosso e di blu, mentre i tifosi del Bologna festeggiano una qualificazione in Champions League che mancava da quasi sessant’anni (in quella che allora era la Coppa dei Campioni).

E come si direbbe dopo una puntata di una serie tv, non è ancora finita qua.