Non chiamatelo sempre Neverkusen, il Bayer Leverkusen. Ha buttato alle ortiche più di un trofeo, ma ogni tanto ha vinto lasciando in lacrime dei rivali.
Quando ci è riuscito ha avuto i contorni dell’impresa, va detto. Difficile definire altrimenti la Coppa Uefa conquistata nel 1988 ai danni dell’Espanyol, rimontata nella doppia finale da 0-3 a 3-3 per poi dare la stoccata definitiva ai calci di rigore.
Il Bayer e la maratona in Coppa Uefa
Va ricordato che fino a quando è esistita la Coppa delle Coppe, quindi fino al 1999, la Coppa Uefa era senza dubbio la competizione europea più massacrante delle tre.
Esclusa la Coppa Campioni/Champions League, la Coppa Uefa aveva innanzitutto un turno in più da disputare e il livello medio era senza dubbio più alto, perché in ogni sorteggio poteva capitare la seconda o la terza di un grande campionato, molto più forte magari dei campioni d’Irlanda che invece erano in Coppa Campioni.
E poi la finale era in doppia sfida, andata e ritorno: totale pratica per vincere la Coppa Uefa, 12 partite, per le altre due coppe europee solo 9.
Le squadre tedesche (dell’ovest, perché c’era ancora l’est tutt’altro che disprezzabile) erano sempre tra quelle da evitare nel gruppone: due volte vincenti con il Borussia Moenchengladbach, una con l’Eintracht Francoforte, tendevano ad arrivare fino in fondo in Coppa Uefa.
Il Bayer che si spinge fino all’ultimo atto del 1988 è una squadra senza grossi nomi, ma molto solida. Cinque vittorie e cinque pareggi lungo il percorso, con scalpi importanti come quello del Barcellona, eliminato agli ottavi di finale con un complessivo 1-0, stesso punteggio della semifinale con il Werder Brema.
Anche l’Espanyol ha fatto vittime eccellenti ed è da considerarsi una sorpresa: allenato da Javier Clemente, storico tecnico dell’Athletic Bilbao due volte vincitore della Liga tra 1983 e 1984, è pieno di baschi di nascita e formazione calcistica. Al secondo turno ha umiliato il Milan di Arrigo Sacchi, facendo tremare per il futuro (crisi poi rientrata) il “Vate di Fusignano”.
La lotteria dei rigori
L’Espanyol è nell’epoca in cui gioca ancora le sue partite interne al mitico Sarrià, lo stadio dove l’Italia di Bearzot aveva costruito la sua vittoria al mondiale del 1982. Qui si disputa l’andata ed è un massacro per il Bayer, che perde 3-0.
Prima sconfitta in quell’edizione della Coppa Uefa per le “Aspirine” ed è un disastro. L’Espanyol segna tre volte in 12 minuti a cavallo dell’intervallo e rischia di debordare. Doppietta di Losada e rete del terzino Soler in una squadra dove il capitano è il portiere camerunese N’Kono, idolo di Gigi Buffon.
Nessuno crede a quel punto che il Bayer possa vincere la Coppa Uefa. Nessuno è mai riuscito nelle precedenti edizioni, quando era successo, a ribaltare uno 0-3 subito all’andata. Anzi, i 4mila tifosi dell’Espanyol che volano in Germania sono pronti a festeggiare.
“Bisogna giocare con una mentalità operaia“, avverte Clemente prima del ritorno, forse timoroso di una valanga da parte del Bayer. In realtà il primo tempo finisce 0-0 e non si vedono problemi all’orizzonte per i catalani.
La mossa della disperazione dell’allenatore del Bayer, Erich Ribbeck, è buttare nella mischia un attaccante, Herbert Waas (futura meteora a Bologna), per il centrocampista Schreier. Chiede al brasiliano Tita, che verrà a giocare a Pescara, di arretrare, lasciando tre punte davanti.
Il risultato è sorprendente, perché l’Espanyol si squaglia, prendendo tre gol in 20 minuti dallo stesso Tuta, da Gotz e dal sudcoreano Cha-Bum, forse il più grande calciatore di quel Paese, già vincitore con l’Eintracht di una Coppa Uefa. Si va ai supplementari e quindi ai rigori.
Qua sembra che il Bayer debba mangiarsi le mani, quando Falkenmayer sbaglia il primo, ma dal terzo tiro in poi gli spagnoli non ne segnano più uno e al Bayer per vincere la Uefa è sufficiente segnare i suoi. L’ultimo errore è di Losada, l’eroe dell’andata.
Anche i tedeschi hanno un portiere come capitano, Vollborn, ed è lui a sollevare il trofeo, l’unico europeo della loro storia, mentre rimane celebre l’immagine di Clemente in panchina a fumare una sigaretta dopo l’altra.