L’album delle figurine Panini, la serie video-programmatica di Campionato, io ti amo, ma anche i presidentissimi Rozzi – coi calzettoni rossi – Gaucci Lenzini Anzalone Anconetani Luzzara.
E poi, il duello Milan vs Napoli, quindi Van Basten vs Maradona, ma anche Moratti vs Berlusconi, secondo il quale è «27.000 volte meglio perdere la Mondadori che il campionato di calcio, perché il campionato è una perdita definitiva». Tutto questo, e molto altro, è la Serie A scolpita nei nostri cuori, vivida – in quanto fuggevole – nella nostra mente, che vi si aggrappa nei momenti più mesti.
Come quelli che caratterizzarono il nostro massimo campionato dal 2010 – anno dell’ultimo grande successo europeo di un’italiana, l’Inter di Moratti in Champions League, dopo che tre anni prima nel 2007 il Milan vinceva la sua settima Coppa dei Campioni – al 2014. Che cosa è accaduto in quei quattro anni? Cosa ci spinge a caratterizzarli come “Banter (che significa letteralmente scherzo) Era” del nostro calcio?
L’epoca della decadenza
Il primo dato, dacché il tifo in Italia è sempre stato pioneristico e religiosamente tramandato, è quello sulla media-spettatori, con record negativi nel periodo 2010-2014.
In un articolo del 2015 apparso su Calcio e Finanza, si legge: «brutti, ma soprattutto inospitali. Non si arresta minimamente la fuga degli spettatori dagli stadi di Serie A. [La stagione 14/15] ha visto un calo del 6,1% rispetto alla stagione precedente».
La peggior media-presenze emersa nella storia (l’anno dopo aumenterà senza mai arrestarsi, tranne ovviamente nel periodo pandemico), peggio anche rispetto alle «ultime cinque stagioni disputate: -10.5% rispetto al 2012/13 (24.655), -5% rispetto al 2011/12 (23.214), addirittura -11.4% rispetto il dato finale del campionato 2010/11 (24.901)».
Chiaramente quella relativa agli spettatori è una statistica che fa da cornice – per quanto indispensabile – ad uno spettacolo tetro, a livello di credibilità prima che di effettivo talento in campo.
Il caso Masiello e il gol di Muntari
Pensiamo soltanto ai due deprimenti episodi Masiello-Muntari, accaduti entrambi in quegli anni. Il primo risale alla stagione 2010/11, il secondo alla successiva (11/12). Del primo caso è stato detto, scritto e legiferato a sufficienza. Masiello ammetterà due anni dopo il fattaccio, datato maggio 2011 nel derby contro il Lecce, di aver segnato volutamente nella propria porta dietro lauto compenso economico. Che il Bari fosse già retrocesso, cambia davvero poco ai fini dello show: stanco, svilito, morente. Banter, ma per davvero.
Come nel caso del gol-non-gol di Sulley Muntari contro la Juventus – il punteggio era di 1-0 per il Milan, quella sfida sarebbe terminata 1-1 e a fine anno nel duello tra Conte e Allegri avrebbe vinto l’allenatore bianconero. Roba da far vedere e rivedere agli increduli e anti-VAR, legati ad una poltrona con proiezione h24, stile Alex in Arancia Meccanica. Sono gli anni più bui del nostro calcio dopo Calciopoli (2006): ma sono passati appena sei anni.
L’incredibile vicenda di Manenti
Agli scandali arbitrali e combinati si accompagnano quelli societari, come nel celebre caso di Giampiero Manenti, uomo-ombra (purtroppo più ombra che uomo) dietro l’acquisizione del Parma di Ghirardi, che in seguito verrà condannato per bancarotta fraudolenta.
Tutto era partito con il mancato ottenimento della licenza UEFA per partecipare all’Europa League (in grazia di un Cassano d’oro e di un sesto posto in classifica da paura degli emiliani nella stagione 13/14), prima pedina su un domino sanguinolento e inarrestabile.
Qualcosa di molto simile era accaduto due alla Sampdoria qualche anno prima (stagione 10/11), quando i blucerchiati dopo aver iniziato nel segno dei preliminari di Champions, condannati all’eliminazione precoce dal gol di Rosenberg (Werder Brema), avrebbero chiuso il campionato in piena zona retrocessione – sempre nel segno “annuale” di un numero maledetto, la doppia cifra coincidente con la Serie B: ’66, ’77, ’99, 2011.
Male, certo: mai quanto però il record negativo del Pescara, che nella stagione 12/13 riesce a subire 84 gol in 38 partite. Un risultato dal quale si salva, si direbbe, Alberto Malesani. Il canto del cigno dell’allenatore che mollo, è nel 2014, quando all’inizio dell’anno il Sassuolo lo chiama a invertire un trend disastroso nei primi mesi di stagione. Malesani perde cinque partite su cinque, e viene quindi esonerato. Il Sassuolo ritornerà a Di Francesco, salvandosi a fine stagione.
Salvezze assurde, risse in panchina e altre bizzarrie
Sono quelli anche gli anni delle improbabili salvezze, ottenute più per la pessima qualità del campionato che per meriti effettivi delle contendenti. Prendete il Chievo 14/15: 28 gol realizzati in 38 gare, peggior difesa del campionato e, udite udite, 14esimo posto a +9 sulla zona retrocessione. Sapore di male, e di Palermo targato Zamparini (pace all’anima sua), capace di passare dal quinto posto della stagione 09/10 – con tanto di finale di Coppa Italia nel 10/11 – alla retrocessione del 2012/13. Con ben quattro cambi di allenatore: Sannino, Malesani, Sannino (fino a fine stagione) e due volte Gasperini.
Lo stesso che i tifosi dell’Inter ricordano con amore per l’esperienza da allenatore nerazzurro (2011), zero vittorie nelle prime quattro partite.
Sempre meglio, comunque, del Delio Rossi versione nonna impazzita contro Adem Lljajic nel 2012. O delle scuse-marchio-di-fabbrica del buon Mazzarri: «Abbiamo sbagliato l’approccio, poi oggi era anche il compleanno di Cavani», dopo Napoli-Viktoria Plzen 0-3. «Era normale che la squadra calasse in dieci e poi è anche iniziato a piovere», dopo Inter-Verona 2-2. «Giovedì faceva molto freddo, qui invece abbiamo trovato un clima estivo», dopo Palermo-Inter 1-1. E poi, come dargli torto: «Bisognerebbe cambiare un po’ le regole: ogni tot angoli battuti, ogni tot pali, dovrebbe essere assegnato un gol».
L’epoca peggiore di sempre
Forse non a caso Mazzarri fu alla (prima) corte di De Laurentiis, istrionico presidentissimo del Napoli – al suo livello forse solo Claudio Lotito – capace di urlare «siete delle m***e» alla Lega Calcio dopo l’estrazione dei calendari, stagione 11/12.
Lo stesso De Laurentiis che per inciso aveva presentato Gokan Inler, qualche giorno prima, con una maschera da leone (soprannome del calciatore ex Udinese). Per (mediocri) acquisti mancati, sono saltate delle panchine in quegli anni.
È il caso di Antonio Conte alla Juventus, amareggiato (a dir poco) per l’arrivo di Iturbe a Roma anziché a Torino. Presentato come alter-Messi, in Serie A l’argentino sarà niente più che una comparsa.
Come la serie di attaccanti passati per il Milan tra il 2013 e il 2015, roba da mettersi le mani nei capelli – sempre che nel frattempo non siate diventati calvi: Matri, Pazzini, Destro, Niang, Torres, si salvi chi può.
A proposito della Madonnina, menzione speciale per uno dei più brutti e mediocri (tecnicamente parlando) derby di Milano della storia: 23 novembre 2014, con le seguenti formazioni.
Milan: Diego Lopez, Rami, Zapata, Mexes, De Sciglio, Bonaventura, Essien, Muntari (31’ st Poli), El Shaarawy, Menez, Torres (28’ st Honda).
Inter: Handanovic, Nagatomo, Ranocchia, Juan Jesus, Dodò, Guarin, Kuzmanovic, Obi (27’ st Hernanes), Kovacic (49’ st M’Vila), Palacio, Icardi (44’ st Osvaldo).
1-1 il punteggio, coi gol di Menez e Obi. Commento tecnico di Sandro Mazzola: «I giocatori dell’Inter non sanno giocare». Lo avrebbero dovuto dire ad Alessio Cerci, paragonato ad Arjen Robben e in forza all’Atletico Madrid nella stagione 2014/15.
Ci scuserete, ma non parleremo delle meraviglie del calcio spagnolo.
Ci è ampiamente bastata la Banter Era del calcio italiano, sperando sia tramontata definitivamente.