Indro Montanelli diceva che “la corruzione comincia con un piatto di pasta”.
Chissà se tra i giganti del potere che presero parte al convivio del 23 ottobre del 2010 all’Eliseo c’era anche chi conosceva questa massima del compianto giornalista italiano.
Al tavolo, quella sera, erano seduti Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese, Claude Guènt, suo braccio destro, Michel Platini, numero uno dell’UEFA, e Tamim bin Hamad al-Thani, principe ereditario del Qatar con più di qualche interesse in Francia. Su tutti, far diventare il Paris Saint-Germain non solo la squadra più forte del paese, ma possibilmente d’Europa.
A quella cena si parlò anche di questo, ma soprattutto del prossimo (si fa per dire) mondiale qatariota (2022).
L’inchiesta Qatargate
È su questo punto che si concentrerà la stampa inglese (Sunday Times) nel 2014 in seguito alla pubblicazione di alcune email e bonifici testimonianti la corruzione del mediatore Bin Hamann, ex presidente dell’AFC (Asian Football Confederation) dal 2002 al 2011, che avrebbe versato oltre 5 milioni di dollari ai dirigenti Fifa per sostenere la candidatura del paese arabo ai Mondiali.
L’inchiesta del Sunday Times, dal nome Qatargate, fa il paio con quella dell’anno precedente – tutta rivolta a quella famosa cena – delle due riviste francesi France Football e So Foot.
Detto in una parola: l’assegnazione del mondiale in Qatar non solo sarebbe stata illegittima, ma avrebbe fatto parte di un piano più ampio teso alla consolidazione del rapporto tra Francia (Europa) e Stato del Qatar – il quale proprio in quegli anni, per inciso, si tirava fuori dal grande giro di affari petroliferi con l’Arabia Saudita; il Qatar, sempre per inciso, ha una riserva che gli altri paesi concorrenti non possono sfidare: il gas liquido, inesauribile.
Dagli anni Sessanta del Novecento ad oggi il Qatar è passato dall’essere uno Stato beduino ad uno dei più ricchi e sviluppati al mondo.
La ragione? Sono tre: 1) la scoperta dei giacimenti di petrolio, 2) quella di gas naturale e 3) la svolta politica (progressista) con Hamad sul finire degli anni Novanta.
Hamad (della dinastia degli al-Thani) fu il primo dei principi qatarioti a ricevere un’educazione occidentale (americana), ed è su questa che il Qatar (senza però perdere le religiose spinte tradizionali) ha basato la propria rinascita. Hamad terrà il potere fino al 2013, quando questo passerà nelle mani del figlio Tamim, grande appassionato di football.
Ancora non c’era – si fa per dire – Tamim quando nel dicembre del 2010, a Zurigo, si tennero le candidature dei successivi mondiali (2018 e 2022). Al termine delle votazioni, Blatter dichiara che alla Russia (come da attese) è andato il mondiale del 2018. Quello del 2022, che doveva essere a stelle e strisce, se lo è aggiudicato il Qatar. Qualcuno storce il naso, ci si interroga sulla stranezza di quella assegnazione. Ma almeno per qualche mese tutto tace.
Un’assegnazione chiacchierata
Uno dei leader dell’organizzazione del mondiale in Qatar, Jassim Bin Mansour, ha respinto con forza le accuse del Qatargate: «le accuse di corruzione non ci toccano. Indagini e rapporti investigativi negli anni non sono stati in grado di portare prove certe. Ci siamo aggiudicati la competizione con un margine di voto significativo: 14 voti contro 8. È tempo di cancellare queste falsità per sempre. Anche sul fronte del lavoro abbiamo fatto passi importanti. Nel 2013 la Confederazione internazionale dei sindacati (CIS) ci aveva criticato per le condizioni di vita degli operai edili in Qatar ma nel 2017 la stessa organizzazione ha dichiarato che c’è stato un chiaro impegno del nostro governo a normalizzare con gli standard internazionali le tutele per i lavoratori immigrati. […] Il Qatar è incredibilmente orgoglioso di ospitare i prossimi Mondiali perché attraverso lo sport riusciremo ad avvicinare le persone e promuovere e ispirare l’avanzamento di generazioni e generi attraverso i continenti».
È inutile elencare tutte le inesattezze – o quantomeno le storture – dette da uno dei portavoce più importanti dell’evento sportivo che andrà in scena tra pochi mesi, rimangono però le indagini – che oltre ad aver messo in luce inquietanti aspetti sul prima, hanno certificato la malvagità del durante, con le migliaia di operai morti sul lavoro nella costruzione degli stadi, o sui diritti civili bellamente violati dal paese ospitante, lo stesso che si dice orgoglioso di “avvicinare le persone”.
Come che sia, sullo sfondo dello scandalo rimangono tre pietre: Sepp Blatter, Michel Platini e Mohammad Bin Hammam. Tutti e tre, vuole il caso, in lotta per la presidenza della Fifa tra il 2011 e il 2015.
La stessa organizzazione calcistica (colosso dell’economia mondiale) contro la quale venne scagliata una pesantissima accusa dal ministro della Giustizia americano Loretta Lynch. Insieme alla procura di Brooklyn, Lynch certificò un periodo di 24 anni (17 a guida Blatter) nel corso dei quali sono stati messi sottobanco diritti media, sponsorizzazioni, poltrone, assegnazione di tornei, mondiali e qualificazioni.
È in questa stessa ottica che in cambio dell’assegnazione dei mondiali in Qatar, Al-Khelaifi avrebbe rilevato il PSG, ne avrebbe fatto un top-club (Sarkozy, ça va sans dire, è gran tifoso dei parigini), avrebbe incrementato la partecipazione qatarina nel gruppo Lagardere e aperto un canale tv interamente dedicato allo sport in Francia (beIN Sports).
Detto fatto, come l’assegnazione del mondiale in Qatar, logica conseguenza nascosta in un banale quanto subdolo piatto di pasta.