La partita tra Monza e Milan ha avuto in Bondo il match-winner ufficiale, in quanto autore del 3-2, ma il match-winner ufficioso è all’unanimità Armando Izzo. L’astuzia con cui ha prima provocato e poi indotto Jovic al fallo da espulsione, lasciando i rossoneri in 10 per quasi tutto il secondo tempo, è stata la chiave del match.
L’arte della provocazione, nel calcio e nello sport
I puristi del calcio, ma in linea generale un po’ tutti (almeno a parole) vorrebbero vincere giocando meglio dell’avversario, o comunque dimostrandosi migliore tramite strumenti tecnici convenzionali: un gol, una parata, un salvataggio sulla linea eccetera.
Esistono poi delle armi non convenzionali, per arrivare a una vittoria. Provocare l’avversario con spinte e colpi o calci più o meno nascosti fa parte dello skillset di molti difensori, dal più sperduto dei campi sterrati fino alle serie professionistiche.
E poi c’è anche la provocazione verbale, il “trash talking” come viene definito in inglese, che è un’arma particolarmente subdola quanto efficace, per una ragione molto semplice: anche oggi, con decine di telecamere da tutte le angolazioni possibili e i calciatori che sono seguiti in ogni singolo metro percorso dai GPS, scovare un’offesa personale, magari alla madre o a qualche altro target personale, è praticamente impossibile.
Possiamo fare gli indignati quanto ci pare, ma tutti esultammo quando Marco Materazzi tormentò Zinedine Zidane al punto tale da farlo esplodere nella testata che segnò la fine indecorosa di una carriera leggendaria, consegnandoci una buona fetta di Coppa del Mondo nel 2006.
In questo senso, Materazzi rimane amato e odiato perché è stato sì protagonista dell’episodio-chiave (oltre al gol del pareggio) che ci portò al trionfo mondiale, ma anche di un numero indefinito di falli più o meno plateali, di intimidazioni fisiche e verbali, di falletti atti a suscitare una reazione, per poi stramazzare a terra fingendosi morti, allo scopo di fare espellere l’avversario.
Armando Izzo, un uomo in missione
In quest’ultima categoria rientra a pieno titolo Armando Izzo, difensore quasi 32enne che ha sempre avuto una carriera complicata, ma nulla in confronto alla vita. Nativo di Scampia e rimasto orfano di padre a 10 anni, la sua è una storia che sarebbe da film se non fosse per una macchia anche bella grossa, che lo vede al momento condannato in 1° grado per concorso esterno in associazione camorristica e frode sportiva, in relazione a un Modena-Avellino del 2014 in Serie C. Detto questo, è sempre il caso di ricordare che si è innocenti fino a sentenza definitiva, e i legali del difensore hanno già da tempo annunciato il ricorso in appello.
Al di là delle sue vicissitudini giudiziarie, il vissuto di Armando Izzo è importante anche perché, in qualche modo, lui lo porta sul campo.
Izzo è uno di quei difensori fisici e caratteriali, che in alcune circostanze possono diventare cruciali. Tali circostanze si verificano quando ha la missione di annullare un avversario e quest’ultimo non è preparato a ciò che lo attende.
Quando Armando Izzo prende di mira qualcuno, ricorda in maniera impressionante Robert De Niro-Max Cady in Cape Fear: uno stalker, che ti provoca in continuazione stando bene attento a non violare la legge, al punto di entrare nella testa della sua vittima che rischia di impazzire.
Di María e Jović, il pollo è servito
Era capitato nel campionato scorso ad Ángel Di María, che aveva trascorso la prima mezzora a cercare di liberarsi dall’asfissia del numero 55. Al minuto 40, el Fideo ci casca come un pollo. Inseguito fino all’ingresso nella sua metà campo e spalle alla porta, in una situazione totalmente innocua, Izzo lo tampina quasi come se si fosse in area su calcio d’angolo, sapendo che prima o poi l’argentino reagirà. Arriva infatti la gomitata, che non è di quelle da spezzarti il costato ma tanto basta: il replay fa apprezzare il piano molto ben riuscito di Izzo, che stramazza per terra come se fosse stato colpito da Tyson in persona. Cartellino rosso, mission accomplished.
Una scena per certi versi simile si è ripetuta domenica sera all’U-Power stadium di Monza. Siamo al minuto 52 e i padroni di casa hanno da poco raddoppiato, a centrocampo Loftus-Cheek recupera un pallone e prova a dare il via a una controffensiva. Luka Jović si trova spalle alla porta e fa per girarsi, ma prima che lo faccia riceve questa spintarella a due mani da Izzo sulla schiena. Sembra una scena tra due adolescenti che giocano al parco, ma è l’ennesimo mezzuccio con cui Izzo destabilizza i suoi avversari. Come Di María, il serbo ci casca con tutti e due i piedi: reagisce istintivamente come gli adolescenti di cui sopra, divincolandosi con una sbracciata. Dalle immagini non è possibile capire quanto sfiori e quanto realmente colpisca Izzo sul volto, che comunque anche qui porta a termine il suo compito, finendo per terra con le mani sul viso aspettando solo che l’arbitro se ne accorga per prendere provvedimenti. Cosa che puntualmente avviene e l’iniziale cartellino giallo diventa rosso. Poi il Milan in un certo senso si sveglia proprio quando rimane in 10, riuscendo a pervenire anche al pareggio, ma comunque il vantaggio numerico ha avuto un ruolo chiave nell’esito della partita.
Vincere con le furbate: le differenze tra giusto, lecito e bello
Si torna così alla domanda latente iniziale: è giusto vincere grazie a delle condotte borderline? Attenzione, in questo tipo di situazioni includo altri comportamenti come le simulazioni, ma anche i “rigorini” guadagnati stramazzando a terra con un semplice tocco avversario, e tutta una serie di fattispecie da “zona grigia”.
La risposta giusta alla domanda viaggia nelle differenze semantiche che ciascuno percepisce tra il lecito, il giusto e il bello. Non tutto ciò che è lecito è anche bello, non tutto ciò che è bello è anche giusto, ma è proprio sulla sottile distinzione tra “giusto” e “lecito” che si gioca la partita: dove il primo è una categoria etica, il secondo riguarda l’aderenza a un regolamento valido per tutti.
I provocatori sono un male?
Indurre l’avversario al tilt è bello? Probabilmente no, dipenda da fino a che punto uno si spinge per provocare. È lecito? Sì, fino a quando costituisce un modo per trarre vantaggio da una norma del regolamento. È giusto? Qui solitamente la risposta è sì se l’autore della furbata è un giocatore della tua squadra, e invece no se a cascarci è proprio uno dei tuoi. Tuttavia, bisognerebbe spogliarsi del tifo e cercare di essere un minimo coerenti. In questo caso, è più grave (seppure a sua volta umano) che un professionista cada nella provocazione, mentre è una indubbia abilità quella di trovare un modo per destabilizzare (e dunque indebolire) un avversario.