Arrivarono nella parte più buia della notte, 60mila persone, per vedere l’imbattuto campione del mondo dei pesi massimi George Foreman combattere contro lo sfidante Muhammad Ali. Era un’altra vita, un altro tempo, un giorno completamente diverso. Era lo Stadio 20 Maggio di Kinshasa, Zaire, oggi chiamato Tata Raphael nella Repubblica Democratica del Congo. Era Rumble in the Jungle, così come arrivò ai posteri, programmato alle 4 del mattino – ora locale – di mercoledì 30 ottobre 1974.
From Slave Ship to Championship. Il titolo originario era quello, e si sarebbe trasmesso in una sorta di circuito chiuso televisivo. E poi nei cinema, specialmente negli States. Appuntamento ore 10, sempre nelle tenebre della sera.
L’imbattuto
Dietro le quinte, il giornalista Norman Maller descrisse la scena. Anche se chi gli gravitava attorno sembrava avesse un’aria cupa, Ali invece pareva rilassato, concentrato. E parlava dolcemente: “Sono stato al top, sono stato fisso al fondo. Lo sai, sono stato in molti posti. E’ sempre buio quando ti stendono, deve esserlo. Ma a me non è mai successo, non sono andato ko. Sono stato battuto, ma mai messo fuori”.
Ali era lì per dimostrare, ancora una volta, perché fosse il migliore di tutti. Da quando la Commission gli aveva tolto il titolo di campione – e sospeso la sua licenza – per il rifiuto di arruolarsi con le forze armate statunitensi durante la guerra del Vietnam, Mo era partito in missione per reclamare tutto ciò che gli era stato rubato. Lottò contro la legge: vinse. Lo fece portando il suo caso alla Corte Suprema, dove rivendicò tutto nel giugno del 1971.
“Nessuno aveva ascoltato la parola ‘Zaire’ ”
Con la sua licenza di boxeur reintrodotta, Ali affrontò allora il campione del mondo Joe Frazier nel ‘combattimento del secolo’. Era il marzo del ’71. Ed era la prima volta che due pesi massimi imbattuti si affrontavano in una lotta per il titolo. Durarono i 15 rounds. Completi. Frazier vinse per decisione unanime, dando ad Ali la sua prima sconfitta in carriera.
Nel 1974, George Foreman teneva ben salda la cintura in vita. Imbattuto, aveva collezionato più di 35 ko e a guardarlo, a 25 anni, sembrava una forza inarrivabile. Ali, sette anni più vecchio, non perse mai il cuore. La voglia. Nella maggior parte dei manifesti dei combattimenti, l’ubicazione non era una parte così d’impatto. Sapevi già che sarebbero avvenuti a Las Vegas, a Chicago, a Miami. Serviva ai giornali, al fortunato pubblico che ormai si riconosceva in una questione d’elite. Con The Rumble in the Jungle, l’Africa fu però un personaggio centrale.
“Nessuno aveva mai ascoltato la parola ‘Zaire’”, ricordò il fotografo sportivo Neil Leifer. “Se vuoi trovare un modo di mettere il tuo paese nella mappa del mondo, that’s the way”. E cioè: la strada, quella giusta, è questa. Per farsi conoscere davanti all’intero mondo, c’era bisogno che l’uomo di colore più popolare della terra facesse questo tipo di promozione. Fu anche un buon traffico d’affari per Mobutu, il dittatore conosciuto per la sua crudeltà, per il suo ruolo da maestro del terrore.
Su uno sfondo giallo splendente, le fotografie in bianco e nero di Foreman e Ali fluttuavano sul continente africano, tagliate in verde smeraldo, che combinano perfettamente con i colori della bandiera dello Zaire. Il poster ebbe qualche modifica dopo che Foreman si tagliò l’occhio destro durante l’allenamento, ritardando la data dell’incontro. E poi, pubblicato in inglese e in francese.
La versione francese del cartellone includeva le parole ‘Un cadeau du President Mobutu au peuple Zirois et a honneur pour l’homme noir’. E cioè: era un regalo del presidente Mobutu alla gente di Zaire, un onore per l’uomo nero. Leifer scattò la foto più famosa di Ali su questa terra: l’immagine di lui in piedi su Sonny Liston dopo il ‘pugno fantasma’ nel match per il titolo mondiale dei pesi massimi. Anno ’65.
L’incontro
La storia appartiene al campione. E’ chiaro, palese, e diventava sempre più chiaro avvicinandosi a ‘the fight’. Il Rumble in the Jungle fu il ritorno di Ali alla gloria. Diversamente da Foreman, la cui forza non si è tradotta fuori dal ring, Ali approfittò di ogni opportunità che bussò alla sua porta. Probabilmente, non trovò mai una persona che non gli piacesse.
Dopo avergli dato la mano, Ali disse a Foreman: ‘Hai sentito parlare di me da quando eri un ragazzo. Mi segui da quando eri piccolo. Ora devi affrontarmi, devi combattere il tuo maestro”. Foreman chiuse gli occhi.
La campanella suonò, 30 secondi dopo l’inizio del combattimento Foreman aveva Ali contro le corde. Pugno dopo pugno, colpo dopo colpo. Fu un assalto intenso, tutti temevano che Ali non potesse resistere a quel livello di aggressione. Non sbagliavano. In un attimo del secondo assalto, Ali cambiò: rope-a-dope.
Mo si appoggiò alle corte, invitando Foreman quasi a punirlo definitivamente. Si sganciò, si mosse e bloccò i pugni e la furia del campione. Tutto il mondo era stordito. “Quanto fece Muhammad fu così strano, onestamente non avevo capito cosa sarebbe successo, se sarebbe andato a vincere”, ricordò Leifer. Qualsiasi persona con un minimo di raziocinio avrebbe pensato che in quel momento Ali fosse fuori dalla grazia di Dio e lontano da qualsivoglia pensiero razionale. Perché faceva di tutto per farsi colpire? E Foreman, di destro e sinistro, ne aveva fatto una missione. In qualsiasi attimo poteva rompere le ultime difese di Ali. Non accadde.
La storia
Nell’ottavo assalto, Foreman aveva speso tantissimo. E Ali si preparò, sferrando due ganci seguiti da una combinazione di cinque colpi devastanti. Il campione era col volto incollato al suolo. Mailer scrisse: “Le vertigini presero Foreman, lo fecero girare tutto. Vedeva la vita su un piano inclinato, cominciò a cadere, a rovesciarsi, non riusciva a tenersi in piedi. La mente provava a tenerlo su, il suo corpo cercava il terreno. Cadde come un maggiordomo alto 6 piedi, che ha appena sentito una notizia tragica”.
Deciso a rialzarsi, Foreman tornò a portarsi in piedi dopo l’inizio del conto alla rovescia. Ma era abbattuto, inerme, senza speranze. Rimanevano due secondi per l’ultimo assalto, l’arbitro Zack Clayton fermò l’incontro. Ali aveva recuperato il titolo, poco prima di svenire.
Chiuso il combattimento, il cielo si chiuse e cadde la pioggia. Quei monsoni erano arrivati con due settimane di ritardo, e i torrenti inondarono lo stadio, inzuppando i generatori finché non si esaurirono. La metà delle macchine del Telex si spensero, e le immagini e le parole non riuscirono più a uscire. Non era necessario: Ali era all’altezza del poster, l’ultima istantanea osservata dal mondo intero.