Una pioggia sferzante e continua inonda la pista d’atletica dello stadio Marcantonio Bentegodi di Verona.
Il cielo sta lentamente liberandosi delle nubi, in attesa che queste finiscano il loro pianto e lascino spazio ad un manto di stelle. Nel frattempo, Alberto Malesani è piegato sulle proprie ginocchia ai piedi della Curva Sud; la sua è quasi una preghiera, quasi un invito al ritorno del Messia. Curioso, perché è lui stesso, quella notte, ad assumerne le vesti.
Malesani e la “sua” Verona
È il 18 novembre del 2001 e si gioca, per la prima volta nella storia del nostro campionato, il derby di Verona. Il Chievo allenato da Del Neri affronta l’Hellas capitanata da mister Malesani. Sono due allenatori diversi quasi in tutto, dallo stile comunicativo a quello tattico; entrambi condividono un destino: giocarsi la storia del derby Scaligero.
Tutto sembra andare nella direzione dei clivensi. Gli “ospiti” sono addirittura primi in classifica al primo anno di Serie A dopo dieci incontri disputati. L’undicesimo può addirittura sancire un trionfo: una vittoria significherebbe blindare il primo posto e fare scacco matto ai rivali cittadini, togliere d’impaccio la storia e imporre il nuovo che avanza. Tutta Italia è col Chievo; tutta la Penisola è contro l’Hellas. Ci sono abituati, comunque, i Butei.
Nel ruggito dei tifosi ospiti, che sventolano all’impazzata le bandierine gialloblu per tre volte in poco più di mezzora (all’ingresso in campo per la coreografia, al 30’ per la rete di Eriberto, tra uno stinco e un cambio di nome, e al 37’ per la rete del 2-0 ad opera di Eugenio Corini), l’Hellas di Malesani reagisce.
Al 40’ è Massimo Oddo a realizzare, dal dischetto, la rete del 2-1. Da lì in avanti, poco altro. Il Chievo anzi rischia più volte – con quel Corradi lì davanti, che le prende tutte, e quel Perrotta alle sue spalle, poi campione del mondo come Oddo – di andare sul 3-1. Ma al 70’ accade l’incredibile. Una strana carambola al limite dell’area finisce sui piedi del povero Lanna, che di sinistro anziché spazzare il pallone lo piazza all’angolino alla destra dell’innocente Lupatelli, spiazzato da quel gesto incomprensibile. 2-2.
Qualche giorno prima, Malesani – insultato dai tifosi clivensi per aver tradito il proprio passato di allenatore del Chievo – aveva promesso a Gigi Del Neri e a tutta Italia che in caso di vittoria sarebbe corso sotto la Curva Sud dei tifosi dell’Hellas. Nessuno poteva aspettarsi che: a) sarebbe davvero successo e b) che nessuno si sarebbe ricordato di quelle dichiarazioni alla luce del nuovo e inaspettato corso degli eventi.
Infatti, sotto di due reti, l’Hellas riesce non solo a pareggiare ma a vincere quel derby, con un gol a dir poco buffo di Mauro German Camoranesi – altro futuro campione del mondo nel 2006 insieme a Gilardino, che entrerà nel finale per il Verona. Quella corsa sotto la curva, già promessa nelle ore precedenti l’incontro, non solo diventava ora realtà, ma trovava il suo legittimo senso; la sua più intima ragion d’essere.
Malesani a Firenze
Molto cambia, da quella notte. Ma molto era già cambiato, a dire il vero, per Alberto Malesani. Nel 1990, una decina d’anni prima, Malesani aveva abbandonato la Nikon per seguire il suo istinto di allenatore proprio per la primavera del Chievo.
La società, sogno autentico di una provincia oggi al ribasso col desiderio di gloria, si era affidata a lui anche nel 1994, per ottenere la promozione in Serie B, prontamente raggiunta da mister Malesani. Il passato nel Chievo c’era, dunque, ed era pesante. Ma qualcosa nel mezzo, tra Chievo e Verona, era accaduto. Qualcosa che non giustificava i rimproveri – senza dubbio fuori luogo – dei tifosi clivensi nei confronti dell’allenatore.
Dopo la promozione il Chievo diventa la favola della Serie B, un quartiere di Verona che regge sulla scena della seconda categoria nazionale. E lo fa anche molto bene, con Malesani che imposta la squadra su un gioco moderno, fatto d’attacco e spettacolo. L’embrione di quelli che saranno i “mussi volanti” di Del Neri parte proprio da li e il mister veronese inizia ad attirare le attenzioni dei club del piano superiore, cioè della Serie A.
Nel ’97 infatti è l’ambiziosa Fiorentina dei Cecchi Gori a buttarsi sull’astro nascente della tattica italiana.
Dice di ispirarsi a Crujiff e Sacchi, Malesani. È troppo modesto, perché il suo gioco è unico e indubbiamente divertente, se non spumeggiante. Con la Viola Malesani si diverte, anche perché l’attacco è indubbiamente il pezzo forte della squadra: Rui Costa ad ispirare Batistuta e Lulù Oliveira, a cui bisogna aggiungere Morfeo come back-up del portoghese e l’arrivo a Gennaio di Edmundo.
L’esordio a Udine vede subito un assaggio della veracità tutta veneta di Malesani: non ha certamente l’aplomb dei maghi della panchina, si presenta con i pantaloncini corti della divisa societaria come se fosse nella classica sgambata di montagna del pre campionato. Anche la partita ci mette del suo, con una Viola che rimonta negli ultimi 3 minuti l’Udinese, con una surreale tripletta di Batigol chiusa con una mezza rovesciata dal limite dell’area di rigore da leccarsi i baffi.
Al fischio finale suscita simpatia e curiosità l’immagine di un Malesani festante sotto lo spicchio del Friuli riservato ai tifosi viola, sognanti come il proprio allenatore. La viola finirà quinta in classifica, quell’anno. Ma la rottura con la società, nonostante l’acclamato appoggio della piazza, allontana anzitempo Malesani. Il Parma dei sogni lo attende.
La grande opportunità: Malesani e il Parma
In Emilia, Alberto vive la sua miglior storia d’amore. Arrivano tre trofei in tre anni; l’ultima Coppa Uefa (3-0 al Marsiglia nella finale di Mosca con Enrico Chiesa capocannoniere) di un’italiana, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana.
Del resto, parliamoci chiaro, la squadra messa a disposizione di Malesani in quel triennio è sempre di livello. Sopratutto la prima edizione del suo Parma è pazzesca per qualità e quantità: Buffon, Cannavaro, Thuram, Veron, Dino Baggio, Chiesa, Almeyda, Crespo, Sensini e riserve del calibro di Balbo. Alla sua prima stagione diventa re di coppe portando a casa la citata coppa Uefa e la coppa Italia. Rimane un mistero come quella corazzata non riesca mai ad inserirsi realmente nella lotta scudetto in un campionato vinto da una delle edizioni più modeste del Milan scudettato.
Anche a Parma abbiamo comunque l’episodio da capo-popolo, che accade precisamente in una gara interna contro la Juve dell’ex Ancelotti.
Per i cultori dell’argomento si tratta di uno dei primi esperimenti di lunch-match, con gara che inizia all’ora di pranzo. La Juve domina un Parma impacciato e vuoto di idee, si porta in vantaggio ma non sferra il colpo di grazia. Viene espulso Torrisi al quale fa compagnia Dino Baggio e in 9 contro 11 sembra finita.
Ma durante il recupero un guizzo clamoroso di Crespo trova il pertugio giusto per un insperato pareggio (che nell’economia dello scudetto peserà tantissimo…) e Malesani si produce in un’esultanza vistosa, rumorosa, quasi eccessiva andando a fare il cosiddetto “mucchio” assieme ai suoi giocatori sotto la curva. Suscita in effetti qualche polemica, ma questo è Malesani, prendere o lasciare.
E di li a poco in effetti il Parma lascia: Malesani va via senza troppi clamori – è la prima volta che il mondo del calcio gli volta e immeritatamente le spalle.
Il declino di Malesani
Il declino per lui inizia l’anno dopo.
Lui, di San Michele Extra, frazione di Verona, torna all’Hellas con la voglia di rivalsa. Ma incredibilmente, dopo il derby vinto e un proseguo di campionato tranquillo, il Verona si rilassa eccessivamente ed è costretta a giocarsi la permanenza in Serie A contro il Piacenza all’ultima giornata.
Basta un pareggio, ma arriva un terribile 3-0 che non solo chiude la storia d’amore tra il Verona e la Serie A ma inaugura il dominio – durato fino a due anni fa – del Chievo in città (almeno a livello sportivo). Uno smacco troppo grave per una piazza che era già stata costretta a sorbirsi l’arrivo di una sorellina a dir poco inattesa (e a dir poco ingombrante).
Malesani ci riproverà al Modena e poi al Panathinaikos, dove il famoso mollo, ma che mollo davanti alla stampa greca – poi ripetuto ai tempi del Genoa alcuni anni dopo – rimane purtroppo il marchio definitivo sulla sua carriera di allenatore.
Né l’Udinese, né l’Empoli né il Siena riusciranno a tributargli l’onore che avrebbe meritato. Salva il Bologna nel 2010/11, senza stipendi ma con un Di Vaio sugli scudi. Al Genoa va male, malissimo, al Palermo e al Sassuolo quasi peggio.
In questo momento, si starà godendo del buon Amarone.
Lui che, oltre a berlo, ne è un esperto viticoltore. D’altra parte Malesani può sempre tornare, anche quando meno l’Italia se l’aspetta. Lui non molla. E intanto la Coppa Uefa, che si è comprato ad un’asta, continua a capeggiare sopra il camino della sua dimora.