Sapete chi affondò la più agognata, sognata, immaginata rivincita? Nick Amoruso. Bomber di periferia al centro dell’universo calcistico. Per una notte che vale la vita e per una vita che vale una notte. E sapete chi c’era al suo fianco? Quel ragazzotto appena arrivato dall’Atalanta, tutto muscoli ed estro, alle sue prime notti magiche ma già con la consapevolezza che sarà lunghissima, quella rincorsa. Bobo Vieri.
Ajax-Juve, semifinale d’andata della Champions League del 1997, è da sempre l’inno di una straordinaria normalità. La partita che racconta come il talento, senza la robustezza di una squadra a totale disposizione, possa vincere una, due, al limite tre partite. Ma mai creare un percorso, ancor meno un ciclo. E quella Juventus, allenata da Marcello Lippi e costruita da Luciano Moggi, era già stata sublimata dalla vittoria europea di 11 mesi prima: proprio contro i Lancieri. Forti, fortissimi. Eppure surclassati dai pungiglioni tattici bianconeri.
Un passo indietro
La capacità, almeno fino agli ultimissimi tempi, della Juventus è sempre stata quella di rigenerarsi, di non lasciarsi abbattere dall’ebbrezza di una vittoria. Di cambiare, ecco, quando c’era da farlo anche solo per il minimo sentore. Così, di quella formazione che nell’estate del Novantasei aveva fatto la storia, quattro elementi determinanti erano saliti sul primo aereo per nuove tappe di una gloriosa carriera. Era andato via il capitano, Gianluca Vialli, volato in Inghilterra al Chelsea; in UK era finito anche Ravanelli (non senza dispiacere), al Middlesbrough. Paulo Sousa al Dortmund – e la Juve se ne accorgerà -, Pietro Vierchowod al Milan. Chi restava? Tutto sulle spalle di Alex Del Piero e di nuovi compagni talentuosissimi. A partire da quel Zinedine Zidane, centrocampista del Bordeaux, che però nella prima parte di stagione sembrava un fantasma schiacciato sotto il peso delle aspettative. In primis, quelle dell’Avvocato, risoluto nel portarlo a Torino su diretto consiglio de Le Roi, Michel Platini.
Arrivarono poi tutti i volti più lucenti del campionato. Boksic della Lazio, intanto. I giovani Vieri e Montero dall’Atalanta. Nicola Amoruso dal Padova. La Juve si era rinnovata non per inaugurare un nuovo ciclo, bensì per continuare una striscia di vittorie che mai come in quel momento era sentita, necessaria, in grado di dare un sussulto alla tifoseria sballottolata dal Milan più forte di sempre e dalla delusione trapattoniana. Lippi aveva fatto centro: nei cuori e nel palmarés. E quel 4-4-2 così dritto e senza sbocchi creativi (eccezion fatta per Del Piero, mentre Zidane cercava il suo posto nello scacchiere) era l’immagine della concretezza che da sempre ha contraddistinto il club bianconero. Del resto, il profitto è tutto: la proprietà insegnava perfettamente.
Eppure, un posto a tutto quel talento andava trovato. Un po’ di campo, una zolla nella quale aprire varchi e allargare il gioco, era l’evoluzione alla base di ogni rivoluzione. Così, Lippi sacrificò i soldati delle fasce per il tocco sopraffino sulla trequarti: nella gara contro l’Inter, a fine ottobre, vara finalmente il 4-3-1-2. Zidane alle spalle di Boksic e Padovano: il francese segna ed è il primo gol in A, nel nuovo ruolo che non abbandonerà mai più.
Quella Champions
E non lo farà soprattutto in Champions, dove la Juve sembra inarrestabile, alleggerita dalla vittoria tanto attesa e desiderosa di non fermarsi alla gioia di Roma. Vincono il girone i bianconeri e lo fanno agilmente: cinque vittorie e un pareggio, in casa del Rapid Vienna. Addirittura a Old Trafford, contro la corazzata di Ferguson, usciranno con un 1-0 segno di strapotenza. A fine novembre, il gol di Del Piero a Tokyo e l’Intercontinentale. Poco dopo, PSG strapazzato e Supercoppa Europea tra le mani. Tutto il resto sembra formalità, nell’anno in cui il gioco torna addirittura a decollare. C’è solo un ostacolo, all’apparenza: quel 3-4-3 di Van Gaal e del suo Ajax. Che vuole riprendersi dalla beffa di Roma. E che sulla propria strada, in semifinale, ritrova proprio la Juventus.
Avete presente quando parlano della Champions come la competizione degli episodi? Ecco, la faccia di Lippi, qualche giorno prima della super sfida, sarà stata tutta un programma: fuori Del Piero per uno stiramento, out anche Boksic dalla partita di Milano di tre giorni prima. L’idea era allora quella di affidarsi al solito rombo, ma con i due ‘ragazzi’ in avanti. Peruzzi guidava la difesa composta da Porrini, Ferrara, Montero e Pessotto; Deschamps vertice basso, Di Livio e Jugovic sugli esterni, Zidane a supporto delle due punte, proprio Amoruso e Vieri. Tra gli undici titolari, appena quattro erano in campo nella finale di Roma.
Neanche il copione del match si rivelò uguale. Nella finale di Roma, la Juve aveva lasciato palleggiare gli olandesi, provando a rompere le linee di passaggio, a giocare d’intensità, a vincere di fisico. Vialli e Ravanelli garantivano un calcio d’altri tempi, stavolta Lippi avrebbe dovuto affidare compiti simili ma da attuare in maniera più rapida, così da innescare la giocata di Zidane e l’attacco in profondità dei due attaccanti mobili.
Le ripartenze letali
Accadde questo: che l’Ajax, convinta di avere il gioco in mano, trasforma il suo possesso in sterile giropalla. La Juve recupera alta e serve Zidane, che a sua volta inventa e condiziona le paure dei Lancieri. Al tredicesimo, la Juve è già in vantaggio: Vieri riceve palla sulla trequarti, pesca l’inserimento di Jugovic che in un fazzoletto guarda e serve Amoruso. In spaccata, l’attaccante batte van der Sar in uscita bassa (non esattamente il più semplice degli obiettivi). Van Gaal prova ad andare a uomo sui bianconeri, ma Zizou è in serata di grazia e gli basta un centimetro per alzare la squadra intera. Ne approfitta spesso Jugovic, in grado di variare su tutto il fronte e di servire, ancora, Zidane e ancora Bobo Vieri, punto impazzito di uno scacchiere con un Re definito di lingua francese.
Vieri, nella lunetta dell’area, raccoglie la sfera e guarda il movimento del difensore, pronto a rubargli il tempo sul mancino. Ma Bobo è troppo furbo e lo anticipa di destro, battendo nettamente Van der Sar: 2-0. Pazzesco, nella nuova Arena, ammutolita da quel ragazzo dalle floride speranze arrivato già a 10 gol in stagione e spesso pure accumulati da subentrato. A dir la verità, il giropalla dell’Ajax, al quale il tecnico non aveva rinunciato nonostante la disfatta, un colpo l’aveva procurato: dopo una circolazione intensa, Witschge sulla trequarti scambia con de Boer, che a sua volta facilita l’inserimento di Litmanen. Peruzzi esce, ma il tocco del 10 biancorosso è perfetto.
Finirà così, con un 2-1 in trasferta persino stretto. E con le lodi di Van Gaal a Marcello Lippi: “Abbiamo giocato contro la squadra più forte del mondo“. E con la coppia più impensabile del tempo: Vieri-Amoruso, ragazzi terribili. Che danno ancora oggi la dimensione di quanto grande fosse quella Juventus. Di Zizou, sì. Di Del Piero, pure. Ma di tutti, uniti verso la vittoria.