Quando scocca la mezzanotte del 18 marzo 1900, tre olandesi di belle speranze dormono sonni profondi. Di lì a qualche ora, un evento si affaccia alle loro esistenze: la fondazione di un club che, rifacendosi ai canoni – etici ed estetici – del classicismo, giuochi al calcio meglio di chiunque altro. Il nome del club è Ajax, calco del latino Ajas, da Aiace, figlio di Telamone e Peribea, il più alto tra gli achei, secondo solo ad Achille.
Le origini dell’Ajax totale
E’ il 1971 e l’Ajax sale per la prima volta sul tetto d’Europa grazie ad una vittoria sui greci del Panathinaikos. Ancora una volta, il Destino si è divertito a fare del club calcistico di Amsterdam l’ultima ampolla del nettare greco. Che l’epopea del calcio totale inizi proprio contro una formazione greca, dunque, non è certamente un caso.
E pensare che 57 anni prima l’Ajax retrocedeva in seconda divisione olandese. Promossa nel 1918, rinasce ufficialmente sotto il sapiente comando di un Lord inglese, un autentico conoscitore del football: il suo nome è Jack Raynolds. Se gli anni Venti procedono in un silenzio intervallato da qualche emozione, ma per lo più segnato dal dramma del post-guerra, sono dunque gli anni Trenta quelli della rinascita dei Lancieri.
Tra il 1950 e il 1960 l’Olanda entra nel professionismo. Sono anni di grande prosperità e non solo dal punto di vista economico. E’ proprio in questi anni che va formandosi il frutto più prelibato nella storia dell’Ajax e, a detta di alcuni, del calcio di ogni tempo: il suo nome è Johann e il suo cognome è Cruijff. Qualcosa ci dice che ne avete già sentito parlare.
Jaap van Praag preleva l’Ajax nel 1964. Il facoltoso commerciante olandese condivide con la storia dei Lancieri una data dal sapore quasi mistico: è infatti l’anno dell’esordio di Johann Cruijff in prima squadra. Il ragazzo, arrivato all’Ajax all’età di 10 anni, è ora un ragazzo dal prospetto luminoso. Sul campo, Johann, in onore al nome che porta, fa del pallone ciò che Giovanni, l’Evangelista, fa del Verbo. Fuor di blasfemia: c’è un prima e dopo Cruijff, nel calcio. Questo è un fatto, non un’interpretazione.
Johann Cruijff: il simbolo del calcio totale
Il cosiddetto calcio totale, che nasce nel 1965 in seguito all’arrivo di Michels, allenatore fuori dagli schemi, non è pensabile senza Johann Cruijff, giocatore totale. L’eletto non è solamente un portento palla al piede; in questo fondamentale, come nel dribbling, è il migliore al mondo. Quello che impressiona gli addetti ai lavori è un altro aspetto, niente affatto marginale se l’obiettivo che persegue il tuo allenatore è quello di annichilire l’avversario: Cruijff rientra in difesa, recupera tanti palloni, toglie agli avversari il punto di riferimento. È l’ago in preda al panico della bussola impazzita. Chi è che confonde i riferimenti? L’allenatore, chiaro.
Finiscono i ruoli fissi. Retaggio di una cultura che una guerra devastante ha reso manifestamente antiquata, il calcio all’italiana, quello che nel mondo va ancora per la maggiore – vuoi per motivi tecnici, vuoi per motivi formali: ultimo dei quali, non irrilevante, il dominio dell’Inter negli anni Sessanta –, quel calcio dunque che ha messo le radici ma ha seccato i germogli, è ora tempo che venga messo da parte: benvenuto calcio totale. Benvenuto divertimento.
Sì, ma c’è una particolarità che non deve sfuggire: il gioco è bello finché dura poco. E infatti Michels non gioca affatto. I suoi allenamenti sono durissimi, la sua preparazione atletica non ha eguali nel mondo. Se una squadra vuole muoversi all’unisono, pur soggetta all’entropia dei ruoli che l’allenatore richiede, non può e non deve sottovalutare l’aspetto fisico. Che sia una corsa all’indietro o due in avanti, le tre corse rimangono quello che sono: corse, appunto.
Keizer, Krol, Suurbier, Haan, Neeskens, Rep, Hulshoff, Gerrie Muhren, Vasovic, Blankenburg. Oltre a Cruijff, ovviamente. Per non citare che gli artefici principali di quel gioco sublime. Una menzione particolare la merita Neeskens, terzino-non-terzino tuttocampista, che ricopre in carriera ben tre ruoli: difensore, centrocampista e attaccante. Solo in una squadra come quella di Michels può accadere una cosa simile.
Il cammino, certo, non è stato facile. Nel 66/67 gli olandesi avevano eliminato il Liverpool agli ottavi di finale – battendo i Reds per 5-1 ad Amsterdam – e nel 68/69 erano stati bombardati da un grande Milan, trionfante a Madrid, in finale, per 4-1. Queste sono però le basi dei trionfi futuri e, cosa più importante, fondano quegli stessi successi. Perché? A Michels non sfugge un dettaglio. La sua squadra gioca bene, diverte, segna. Ma subisce troppi gol. La finale contro il Milan non è che la più palese ed imbarazzante dimostrazione di questo difetto primordiale.
Il calcio totale conquista l’Europa
E allora, che fare? Risolvere il meccanismo difensivo e continuare a mangiarsi gli avversari in fase offensiva. Semplice, no? La stagione 1970/71 è quella del trionfo. Battuti agilmente i rumeni del 17 Nentori Tirana e gli svizzeri del Basilea, ai quarti di finale arriva il Celtic. Temibili sulla carta, gli scozzesi vengono fatti fuori con un 3-0 ad Amsterdam. Al ritorno a Glasgow, l’1-0 dei biancoverdi è utile solo alla compilazione statistica.
Arriviamo così alla semifinale contro l’Atletico Madrid. Partita difficilissima sia sulla carta che sul campo. Al Calderon i Colchoneros giocano una partita solida e precisa, vincendo di misura per 1-0. Al ritorno, però, un gol di Keizer mette in pari i conti. La partita si avvia verso la conclusione tra la nebbia già aleggiante dei tempi supplementari, ma un terribile uno-due firmato da Suurbier e Neeskens mette fine all’incontro e alla qualificazione. Il trionfo è vicino, per i lancieri. E’ finale contro il Panathinaikos.
La Grecia, dunque, incrocia ancora una volta il filo rosso che lega l’Ajax alla Gloria calcistica. L’allenatore dei verdi, Ferenc Puskas, conosce bene gli olandesi. Li ha studiati fin nel minimo dettaglio, ed è per questo che, prima dell’ingresso delle due squadre sul campo di Wembley, rivela ai suoi: «Ragazzi, pensate solo a divertirvi. Che se proviamo a fermarli, non li fermeremo».
Risultato: dopo cinque minuti Van Dijk depone in rete la palla dell’1-0. L’impronunciabile Oeconomopoulos si gira verso i compagni con aria smarrita: sta iniziando a comprendere, insieme ai restanti dieci, cosa accadrà quella notte. Ma il Panathinaikos non molla neanche per scherzo; si arrenderà soltanto al minuto 84’, quando Arie Haan depositerà in rete il pallone del definitivo 2-0. L’Ajax è campione d’Europa.
Calcio totale contro catenaccio
Con l’Ajax Johann Cruijff, icona del calcio totale insieme a Neeskens, Michels e Kovacs, vincerà qualcosa come 6 scudetti, 4 Coppe d’Olanda, 3 Coppe dei Campioni, 1 Supercoppa d’Europa, 1 Coppa Intercontinentale.
Dopo l’epopea Michels, che abbandonerà al dolce richiamo delle sirene catalane del Barcellona – dove di lì a poco lo seguirà proprio l’eletto, Johann Cruijff –, dopo Michels, dunque, ecco accomodarsi sull’eredità panchinara più pesante dell’intero globo calcistico Ștefan Kovács. Accolto con comprensibile scetticismo dai tifosi e dalla stampa, l’allenatore rumeno sarà in grado, nell’arco di due sole stagioni (1972 e 1973) di vincere l’Intercontinentale e due Coppe Campioni di fila.
Il tre volte pallone d’oro Cruijff, nonostante l’ancora giovane età (25 anni), è il leader indiscusso dell’Ajax. Kovács lo tratta come tale. Quella dell’allenatore rumeno è infatti una radicalizzazione della filosofia di Michels. Ștefan Kovács sta a Michels come Platone a Socrate, se vogliamo. La libertà concessa a Cruijff lo rende, se possibile, ancora più anarchico.
I lunghi capelli delle rockstar olandesi sventolano come bandiere di esperti marinai sulle acque del calcio mondiale. Mogli e fidanzate, al seguito, li amano con una morbosità pari a quella dei tifosi che, dall’Epifania di Wembley, tempio del calcio mondiale, li seguono ovunque e comunque.
Nell’edizione 1971/72 della Coppa Campioni, la Dinamo Dresda e l’Olympique Marseille vengono fatte fuori con relativa facilità. Discorso diverso per Arsenal e Benfica, che fanno sudare i ribelli guidati da Kovacs, ma non fino al punto di lasciare al sudore spazio per le lacrime. Queste sono sempre e soltanto quelle degli avversari, che guardano con una sorta di sacro timore quel gruppo di scalmanati fulmini di guerra.
La rete di Swart dà accesso alla finale contro l’Inter. La formazione italiana, che gioca all’italiana e non potrebbe fare altrimenti, resiste con stoicismo alle frecce olandesi scagliate nel primo tempo. La marcatura di Oriali su Cruijff è semplicemente eroica.
Ma l’epica dà ancora una volta ragione all’Ajax. Nella ripresa il giovane Bordon deve arrendersi due volte al fiore più bello che l’Olanda abbia mai visto. Doppietta di Cruijff. Il raddoppio, di testa, tra due maglie nerazzurre, è l’ennesima testimonianza di un giocatore completo e fenomenale. Nessuno come lui: Cruijff è per l’Europa quello che per il Sudamerica sarà Pelé o Maradona. Nessuno mai come lui, il numero 14 degli Orange.
Il canto del cigno dell’Ajax di Cruijff
Quell’Ajax è l’unica formazione, dopo il Real Madrid di Di Stefano e Puskas (cinque Coppa Campioni di fila, dal 1955 al 1960), a tagliare il traguardo delle tre vittorie consecutive nella Coppa dalle grandi orecchie.
Dopo aver battuto agilmente il CSKA Sofia, i Lancieri trovano il Bayern Monaco, una squadra in grado di eguagliare subito il record dell’Ajax: dal 1973/74 al 1975/76 arriveranno infatti tre Coppe Campioni consecutive per i bavaresi, che però quell’anno, è il 1973, devono arrendersi dinnanzi all’ultimo canto del cigno dell’Ajax. Sotto gli occhi di Franz Beckenbauer e Gerd Mùller, arriverà un secco 2-0. Risultato che non lascia spazio a troppe interpretazioni.
Col Real Madrid un 1-2 ottenuto al Bernabeu e un solido 1-0 tra le mura amiche, permetterà all’Ajax di accedere alla finale.
30 maggio 1973. A 73 anni dalla sua fondazione, l’Ajax tocca il cielo con un dito. A Belgrado va in scena l’ultimo atto di una squadra irripetibile. Avversaria ancora un’italiana, la Juventus, per uno scontro di stili e filosofie, prima che di giocatori.
Basta una rete del giovane Rep, al 5’, per permettere a Cruijff e compagni di alzare al cielo la terza Coppa Campioni nella storia del Club. Cruijff lascerà la stagione successiva. Lo aspetta il Barcellona. Lo aspetta Michels. Lo aspetta un’altra storia, quella da allenatore. Per assurdo, tanto grande quanto quella di giocatore.