Dall’inizio della scorsa stagione a oggi, nessun centrocampista di Serie A ha segnato più di lui, tra tutte le competizioni. Ma non sono solo i gol a delineare l’evoluzione di Adrien Rabiot, e nemmeno quel favoloso meme che Roberto Gagliardini gli ha offerto su un piatto d’argento. Cerchiamo di capire come quel francese abulico e disfunzionale sia riuscito a diventare leader di una Juve che ha smesso di essere disfunzionale anche grazie a lui.
Adrien Rabiot e quella falsa partenza che lo ha marchiato
Adrian Rabiot diventa ufficialmente un giocatore della Juventus il 1 luglio 2019, ma il suo arrivo in bianconero era già risaputo da mesi. Così come erano mesi che non giocava una gara ufficiale, messo fuori rosa dal PSG perché lui e la madre Veronique, ancora oggi sua manager, si erano rifiutati di firmare il rinnovo del contratto. Mamma Veronique che peraltro, alla firma con la Juve, incassa una maxi-commissione da 10 milioni di euro. Sommati ai 7 milioni di ingaggio netto concordati per il ragazzo, fanno DICIASSETTE MILIONI DI EURO per il solo primo anno. Adrien era un 24enne di belle speranze ma anche dal caratterino non semplice, si diceva. Effettivamente, per accettare di stare quasi 8 mesi senza mettere piede in campo per una gara ufficiale, l’autostima non gli faceva certo difetto.
Ramsey, la Juve che cambia e la maxi-commissione di mamma: le difficoltà di Adrien
I problemi che trova Adrien al suo arrivo, però, sono due. Il primo è che la Juventus ha appena cambiato non solo allenatore, ma ha fatto qualcosa di quasi inedito nella sua storia: ha preso un tecnico – Maurizio Sarri – con il progetto di far giocare meglio la squadra. Una squadra che era reduce da OTTO (8) campionati vinti consecutivamente, gli ultimi CINQUE (5) dei quali con Massimiliano Allegri come allenatore, senza nemmeno menzionare le varie Coppe Italia e le due finali di Champions League raggiunte. Le strade della Juve e del tecnico livornese si erano però separate, e anche consensualmente. Nessuno mai ha menzionato il termine “BEL GIOCO” tra le motivazioni del cambio di guida tecnica, ma se rinunci a un pragmatico e prendi Sarri – che aveva deliziato le platee più esigenti con il Napoli ed era anche reduce dalla Europa League vinta col Chelsea, le intenzioni sono anche implicite.
Quella Juve, però, aveva un organico a fine corsa, in là con gli anni e probabilmente appagato. Cambiare mentalità in un gruppo giovane e malleabile è un conto, provare a farlo in un gruppo consolidato e ultravincente da anni è molto più difficile, e la storia avrebbe detto che si trattava di una vera e propria Mission Impossible, non essendo stato Sarri mai pienamente accettato e supportato da ambiente e società.
Adrien Rabiot, col suo curriculum di caratterino difficile, arriva in un gruppo abituato a vincere in patria, e di competere per i massimi obiettivi in Europa, a maggior ragione dopo l’ingaggio di Cristiano Ronaldo che era avvenuto l’anno precedente. Trovare un equilibrio tattico per permettersi CR7 è però difficile, la fluidità della manovra ne risente e la Juve stenta. Tuttavia, nonostante mille difficoltà e una stagione interrotta per Covid, poi ripresa e terminata a fine luglio, arriva il nono scudetto consecutivo. Ok, ma Rabiot?
Per tutto il suo primo anno bianconero, Adrien è qualcosa di simile a un pesce fuor d’acqua. Sarri ha sempre belle parole per lui, definendolo un giocatore con tecnica e una fisicità straripante, dotato di uno strappo fuori dal comune, ma che si sta ambientando dopo avere cambiato paese e campionato.
Rabiot, di fatto, paga sostanzialmente due cose. Un gruppo che sta provando a cambiare filosofia di gioco dopo 8 anni di vittorie, e il venire associato ad Aaron Ramsey, altro parametro zero arrivato nello stesso anno ma il cui apporto alla causa bianconera è stato fallimentare. Per il palato bianconero, abituato tremendamente bene negli anni precedenti con i Pirlo, i Pogba, i Marchisio, i Vidal e i Pjanic, abituarsi a due parametri zero “venuti male” come Ramsey e Rabiot era difficile.
Il francese era comunque un titolare con un potenziale assai più alto rispetto al gallese, che invece poteva considerarsi a tutti gli effetti un acquisto sbagliato. Sulle spalle di Rabiot, però, pesava anche quell’ingaggio pesantissimo + mega-commissione incassata dalla madre. La strada per convincere tifosi e ambiente era lunga, diciamo 17 milioni di kilometri.
I primi miglioramenti con Pirlo
L’anno seguente la Juve cambia ancora, si affida all’esordiente Andrea Pirlo e i risultati sono inferiori a delle attese che erano comunque eccessive, visti i problemi di funzionalità palesati dalla squadra. Il rendimento di Adrien Rabiot va migliorando, e il ragazzo passa da 37 partite con 1 gol e 1 assist, a 47 partite con 5 gol e 8 assist. Il suo apporto rimane randomico, alternando belle sgroppate a momenti di totale assenza dal campo. Va ricordato, comunque, che si trattava di una Juve da “ultimi giorni dell’impero”, che aveva smesso di essere vincente ma non lo sapeva ancora, o meglio preferiva far finta di niente.
Il ritorno di Max e l’annus horribilis di Rabiot
Così, quando la Vecchia Signora opera un clamoroso ritorno al passato richiamando Max Allegri, Adrien Rabiot si ritrova in una posizione delicata. Al suo terzo anno è chiamato al definitivo salto di qualità, ma dall’altra parte la società non fa mistero di essere aperta a un’ipotesi di cessione. Questa non si concretizza, anche per vari rifiuti e condizioni poste da mamma Veronique, così Rabiot resta, ma il suo primo anno nella Juve dell’Allegri-bis è nettamente il peggiore dei precedenti: 45 partite, 0 gol e 2 assist, ma soprattutto permane un certo anarchismo nel suo modo di interpretare le partite.
2022, l’anno dei mondiali cambia tutto
Tutto cambia l’anno seguente, e di questo è giusto dare pieno merito ad Allegri e al suo staff, ma anche al mondiale in Qatar, che spezza in due la stagione di club ma fa anche da extra-stimolo per tanti giocatori. Adrien Rabiot gioca 48 partite, segna 11 gol e serve 6 assist, ma non per caso, bensì perché il tecnico è riuscito a convogliare il suo dinamismo un po’ anarcoide in un qualcosa di funzionale per la squadra. E non gli si può dire che siano cifre arrivate a sorpresa, perché Allegri lo aveva detto all’inizio della stagione 2022/23, che Rabiot doveva diventare un giocatore da ALMENO 10 gol a stagione. Purtroppo per lui, le vicende extra-sportive e giudiziarie entrano a piedi uniti sulla stagione della squadra, che termina con un terzo posto diventato però settimo in virtù della definitiva penalizzazione di 10 punti in campionato, oltre a un anno di esclusione dalle competizioni europee.
2023/24: un Rabiot così non si era mai visto
Si arriva così alla stagione in corso, dopo un’estate in cui – un po’ a sorpresa – era arrivato il rinnovo del contratto di un altro anno, fino al giugno 2024. La Juve stavolta non ha cambiato pelle, è sempre una squadra non brillante e con problemi di fluidità nella manovra, ma rispetto alla disastrata annata precedente ha ritrovato una grande compattezza e solidità difensiva. Quasi tutti sembrano avere ormai accettato l’idea di essere una squadra difensiva, quasi identitaria da questo punto di vista, tranne qualche elemento (Chiesa, per esempio) che per caratteristiche vorrebbe una Juve più diversa e propositiva. In questa Juventus, però, Rabiot è diventato fondamentale, e su entrambi i lati del campo. I due gol e tre assist in 13 partite sono la parte più evidente del suo contributo, fatto dei suoi proverbiali strappi che diventano cruciali in una squadra che fatica a muovere velocemente la palla, ma anche di ripiegamenti difensivi e molto altro.
Monza-Juve, la fotografia della metamorfosi di Adrien Rabiot
Nel match contro il Monza, chiuso con la travolgente progressione che ha portato all’assist per il gol-partita di Gatti, ha segnato il gol dello 0-1, corso per 12,6 km, azzeccato il 94% dei passaggi tentati e recuperato ben 8 palloni. Il suo numero 25 ha dato l’impressione di essere ovunque servisse e lui è parso ormai completamente calato nel ruolo e nella responsabilità di leader della squadra. Non a caso Allegri lo aveva eletto vice-capitano a inizio stagione, lui ha indossato la fascia nelle ultime partite data l’assenza di Danilo, ma quando a Monza il brasiliano è tornato in campo, al 70′ al posto di Nicolussi Caviglia, non ha esitato a riconsegnargli subito la fascia.
Un Rabiot così non si era mai visto, perché mai prima d’ora era apparso così compenetrato, così dedicato alla causa. Alzi la mano chi avrebbe mai pensato che quel capellone ribelle, quel “cavallo pazzo” che vagava per il campo dando l’impressione costante di essere allergico al concetto di squadra, sarebbe diventato qualcosa di simile a un leader carismatico di una legittima candidata allo scudetto.