È possibile essere grandi allenatori senza aver mai giocato a calcio da professionista? Il dilemma è questo, cioè capire se serve aver giocato ad alti livelli, oppure basta essersi fermati nei polverosi campi di provincia.
La questione da tempo tiene banco, ma la storia del calcio moderno ci dice che spesso gli allenatori vincenti sono coloro che non hanno avuto un grande passato da giocatore. Non aver calcato il manto del Santiago Bernabeu o di San Siro, non equivale ad essere una tagliola che impedisce una grande carriera da allenatore.
Gli esempi sono molteplici e molti di questi riguardano allenatori italiani. Da Arrigo Sacchi a Maurizio Sarri, con il secondo folgorato dal primo, senza dimenticare il simbolo della provincia che sogna e vince: Alberto Malesani, ultimo tecnico ad aver vinto una Coppa Uefa alla guida di una squadra italiana. Alberto Zaccheroni non è stato da meno, soprattutto alla guida del Milan.
Allargando il raggio non possiamo non citare Josè Mourinho oppure Rafa Benitez. Che dire poi di Zdenek Zeman, boemo, ma considerato ormai da tutti un “italiano” per la sua carriera nel Bel Paese. E poi c’è lo strano caso di Marcello Bielsa. Unico della top 10 ad aver collezionato almeno 70 presenze nel calcio professionistico argentino, prima di appendere gli scarpini al chiodo ad appena 25 anni ed iniziare il suo percorso sulle panchine di mezzo mondo.
Vediamo allora chi pur non avendo avuto una carriera da giocatore professionista è riuscito allo stesso modo a realizzarsi come allenatore nel grande calcio.
1- Arrigo Sacchi
Il visionario di Fusignano. Partito come giocatore della squadra del suo paese, il buon Arrigo non è mai andato oltre la prima categoria. Ma nella sua testa ragionava già da tecnico e soprattutto immaginava un calcio che gli altri, almeno in Italia, nemmeno osavano pensare. Una gavetta importante tra Rimini, Firenze e Parma, prima di folgorare Silvio Berlusconi nel 1987.
Il Cavaliere da appena un anno è al timone del club e in Milan – Parma di Coppa Italia, capisce che l’allenatore dei ducali è l’uomo giusto per il suo progetto. Due visionari che cambiano la storia del calcio, con gli allenamenti di Sacchi che entrano nel vocabolario del calcio italiano. La zona, il pressing e il gioco di squadra su quello del singolo diventano dogmi che porteranno l’allenatore di Fusignano a vincere tutto con il Milan.
Fino a sfiorare la Coppa del Mondo nel 1994 negli Stati Uniti con la Nazionale italiana. Contro il Brasile il sogno si infrange a 11 metri dalla gloria, ma niente potrà mai cancellare il percorso incredibile da parte di Arrigo Sacchi.
Colui che è ritenuto da tutti il rivoluzionario per eccellenza nel mondo del calcio.
2 – Maurizio Sarri
Da Stia alla vittoria in Europa League.
Un percorso lungo e infinito, ma che ha dato i suoi frutti. Maurizio Sarri gioca fino alla soglia dei 30 anni nei dilettanti in Toscana, ma senza lasciare grandi tracce. Nel 1990 siede per la prima volta su una panchina: Stia, piccolo centro nell’aretino che in quella stagione milita nella seconda categoria toscana. Tanti derby, tanti calci e poco calcio. Invece il buon Maurizio cambia in qualche modo la filosofia anche in quelle categorie.
Di giorno bancario e di sera allenatore. Scala tutte le dimensioni del calcio italiano e nel nuovo millennio raccoglie la prima parte di quanto seminato nel decennio precedente allenando per la prima volta nei professionisti in Serie C. Qualche basso, molti alti, fino a quando arriva la chiamata che cambia per sempre la sua vita da allenatore. Empoli, piazza che fa avanti e indietro tra A e B, ma senza alcuna pressione e con un vivaio che sforna talenti a ripetizione.
Nella sua toscana si impone fino ad essere uno dei migliori allenatori della Serie A. Napoli lo accoglie, lo acclama, lo ama per il suo calcio speciale, per il sarrismo e per essere l’uomo del popolo. Non riuscirà a scalzare la Juventus nella lotta al titolo, ma con lui Napoli torna a sognare come 30 anni prima con Maradona.
Nel 2018 passa al Chelsea, tra amore e odio, con un Sarri Ball difficile da far comprendere agli inglesi. Alla fine però porta a casa il primo grande trofeo della sua carriera, con la vittoria in finale di Europa League sull’Arsenal.
Pochi giorni dopo passa sulla panchina della Juventus. Vince lo scudetto, il nono di fila, ma non basta per continuare, in un altro ambiente che non lo ha capito a modo. Dopo 12 mesi sabbatici, eccolo di nuovo in pista, sulla panchina della Lazio.
Da Stia all’Europa il viaggio è stato trionfale.
3 – Jose Mourinho
Ci ha provato lo Special ad intraprendere la carriera di calciatore come il padre. Ma i risultati non sono stati dei migliori, tanto che nel 1987 smette ed inizia ad allenare. Anche per lui una lunghissima gavetta in Portogallo, fino ad approdare come collaboratore nel Barcellona, fungendo da traduttore per Bobby Robson nella stagione della definitiva esplosione del fenomeno Ronaldo.
È una sorta di università per José che quando torna in Patria fa diventare grande il Porto, con la seconda Coppa dei Campioni vinta nella storia del Dragone.
Passa al Chelsea e fa diventare vincente un Club che con le vittorie non aveva avuto un grande feeling. Manca l’acuto europeo, dopo due semifinali perse con il Liverpool. Saprà rifarsi all’Inter, dove cala il triplete con la notte di Madrid che riporta la Champions in bacheca dell’Inter a distanza di 45 anni dall’ultima volta.
Madrid, ancora Chelsea, poi Manchester United, Tottenham e infine la Roma. Fra alti e bassi, con cadute certe volte rovinose, ma senza perdere quella fame di successo che accompagna chi arriva dal nulla e vuol prendersi tutto. Mai banale, il lusitano.
4 – Rafa Benitez
Una carriera da giocatore che prometteva bene nella Cantera del Real Madrid. Poi il ginocchio che si spezza e con esso le ambizioni di essere un giocatore del grande calcio. Non si abbatte Rafa Benitez che studia per diventare professore di educazione fisica e intanto allena. Cattedra e patentino di allenatore andranno di pari passo per qualche tempo.
Poi la decisione di diventare allenatore a tempo pieno, perché il suo calcio risulta vincente e piacevole. Scala tutte le categorie del calcio iberico e a Valencia si consacra al grande pubblico. Liga vinta, distruggendo il duopolio di Real e Barcellona, per poi vincere anche una Coppa Uefa con la truppa bianca di Valencia.
Liverpool però è il luogo che lo consacra definitivamente. Non vince la Premier, ma consegna una Coppa dei Campioni in cui nessuno credeva nel 2005, 21 anni dopo l’ultima volta. Nella notte turca di cose turche diventa l’incubo del Milan che dovrà attendere 2 anni per prendersi la rivincita sul professor Benitez e su quel Liverpool.
Poi un lungo pellegrinaggio fra Inter, Napoli, Real Madrid, esperienze asiatiche, ancora Inghilterra e infine attualmente sulla panchina dell’Everton, la sponda azzurra di Liverpool.
5 – Alberto Zaccheroni
Nella riviera romagnola Alberto Zaccheroni da giovane si di divide fra l’Hotel dei genitori e il calcio giocato. Un problema ai polmoni lo costringe alla resa e da quel momento si dedica alla panchina. Dal Cesenatico, la squadra del suo paese, muove i primi passi verso Cesena e Bologna.
Sarà però l’Udinese dei miracoli a metà degli anni ’90 a portarlo alla ribalta. Il suo 3-4-3 diventa un qualcosa di innovativo che piace alle gente, ma soprattutto attira le attenzione di Galliani e Berlusconi. Il Milan viene da un biennio a dir poco disastroso e lui diventerà a modo suo l’uomo della rinascita.
Nonostante le frizioni con il Cavaliere, nonostante un gioco non sempre digerito dalla Vecchia Guardia, Zaccheroni porterà il Milan alla clamorosa rimonta sulla Lazio, culminata con la vittoria dell’ultimo scudetto del secolo scorso. Anche lui romagnolo come sacchi e anche lui campione d’Italia al primo colpo.
Non potrà però ripetere le gesta di Arrigo, fra una squadra che non riuscirà a decollare nelle due stagioni successive e un rapporto sempre più logoro con il presidente rossonero che lo definirà un pessimo sarto. La parte restante della carriera non avrà grandi sussulti alla guida di Inter, Juventus e Lazio.
Ci pensa la nazionale giapponese a riportarlo sul tetto, con la vittoria della Coppa D’Asia e Zaccheroni osannato dal tifo nipponico.
6 – Alberto Malesani
Anarchico come pochi. Genuino allo stesso modo.
Alberto Malesani da giocatore non lascia traccia, ma sarà sempre la provincia veneta a forgiarlo come allenatore. Da Verona a Firenze, fino al trionfo europeo con il Parma. Uno che non le manda a dire e forse per il suo carattere schietto finisce spesso lontano dai grandi palcoscenici.
La Provincia diventa il suo emblema e nel 1999 alla guida del Parma porta a casa l’ultima Coppa UEFA vinta da una squadra italiana. Nella notte di Mosca sul Marsiglia, finisce in tripudio e Alberto Malesani si riprende con gli interessi tutto quello che non aveva raccolto in precedenza.
Eppure resterà l’ultimo grande acuto del tecnico veneto che inizia una inspiegabile discesa verso l’anonimato. Ci sarà anche l’esperienza ellenica alla guida del Panathīnaïkos ad Atene, dove più che i risultati colpisce l’epica conferenza stampa dove ripete all’infinito c***o sbattendo il pugno sul tavolo e chiudendo con: “Io non ho paura nemmeno se mi ammazzano. Perché lavoro 24 ore al giorno per il club e ho la coscienza pulita”.
L’eroe senza maschera di cui tutti avremmo sempre bisogno.
7 – Marcelo Bielsa
Lo abbiamo detto in precedenza e lo ribadiamo. In questa lista di allenatori Marcelo Bielsa è l’unico ad avere almeno 70 presenze nei professionisti. Ma anche l’unico ad aver smesso a 25 anni con il richiamo della carriera da allenatore che si faceva sempre più insistente. Profeta in Patria, decide di lasciare poi l’Argentina per esportare il suo calcio “folle” anche in Europa.
Sfiora l’approdo in Italia alla Lazio, per poi provarci a Marsiglia, prima di entrare nella storia del Leeds. È lui l’uomo della rinascita dalle parti di Elland Road, con i Whites che tornano in Premier League a distanza di 20 anni e sempre grazie a lui ci saranno le prime convocazioni nella nazionale inglese per i giocatori del Leeds, dopo quasi un ventennio dall’ultima volta.
Mai banale, contro il sistema sempre, rivoluzionario da spaccare le tifoserie, il suo appellativo di “El Loco” calza alla perfezione. Un matto sano che ama il calcio sotto ogni punto di vista.
8 – Zdenek Zeman
Anonimo da calciatore, allenatore che ha diviso e fatto parlare come pochi. Zdenek Zeman è stato uno degli tecnici più rivoluzionari. Basta segnare una rete in più degli avversario il suo motto. Poco importa se finisce 6-5 o 4-3. La fase difensiva è solo un dettaglio, perché nel calcio bisogna segnare per vincere.
Da Zemanlandia a Foggia, passando per la Lazio di Signori e arrivando alla Roma di Totti. Zeman è uno che il calcio lo vive all’attacco e lo spettacolo è sempre garantito. Una mentalità sbarazzina quella del Boemo che fa a cazzotti con l’indole italiana, dove vige come prima regola, non prenderle.
Mai dalla parte dei più forti, seppur di fede Juventina e con un zio giocatore bianconero nella immediato secondo dopo guerra, Zeman contro la Vecchia Signora alzerà i toni parlando apertamente di troppa farmacia nel mondo del pallone. Una carriera che si arena proprio su quella torbida e poco chiara storia.
9 – Serse Cosmi
L’uomo del fiume come si autodefinì nella sua biografia.
Appesi gli scarpini al chiodo a 28 anni dopo diverse stagioni da giocatore dilettante, Serse Cosmi nella sua Umbria muove i passi da allenatore. L’apoteosi la raggiunge quando con il Perugia non solo si impone con la salvezza, ma porta i biancorossi a vivere l’emozioni europee in Coppa Intertoto.
Ha il merito di credere e lanciare giocatori come Materazzi e Grosso, i quali pochi anni dopo saranno Campioni del Mondo. Vulcanico e mai banale, il suo “Famme un pò un crosse” diventa l’icona di Mai dire Gol. Tiene testa all’altrettanto vulcanico Gaucci, mentre l’esperienze da allenatore lo portano anche su altre panchine.
Famosa la sua frase in riferimento a Paolo Maldini: “È talmente forte che nel Milan di Berlusconi è l’unico che può andare liberamente sulla sinistra”.
10 – Gigi Maifredi
Cresciuto nelle giovanili del Brescia smette presto con il calcio giocato e sarà una delle meteore più incredibili delle panchine. Gigi Maifredi stupisce da allenatore fin da suoi primi passi e con il Bologna regala calcio spettacolo. Tanto da attirare le attenzioni della Juventus.
È la risposta bianconera al Milan di Sacchi e dalle parti del Lingotto sperano che l’uomo della provincia sia adatto anche alle ambizioni di una Juventus che da qualche anno non vince più.
Sarà invece una delle stagioni più dure da digerire per l’ambiente juventino, con la squadra che finisce lontana dalla vetta e Maifredi che vede crollare di colpo la sua carriera da allenatore.