Se da una parte i conoscitori del basket NBA non possono non avere mai visto i video che ne infestano il web, dall’altra anche chi non è un gran conoscitore della materia, ma comunque è appassionato di sport in generale, avrà visto passare sotto il naso una delle imprese più incredibili fatte registrare su un campo di pallacanestro.
L’ingresso in NBA di Tracy McGrady e quello scambio mancato
Stiamo parlando di quella specie di miracolo sportivo che vide la luce verso la fine del 2004, il 9 dicembre per l’esattezza, un giorno in cui, indossando la canotta numero 1 degli Houston Rockets, si incarnarono nello stesso preciso istante i giocatori migliori della storia NBA per dare vita a quella che ancora oggi viene considerata la più incredibile delle prestazioni individuali in uno sport di squadra, in un tempo così contratto.
Il giocatore che regalò alla storia di questo sport qualcosa che ebbe del miracoloso, risponde al nome di Tracy McGrady, folletto che calcò i parquet a cavallo dei due millenni, indimenticabile protagonista di quella NBA, scelto alla nona da Toronto nel 1997 ancora giovanissimo e uscito dalla High School, la Mlt. Zion Christian Academy, senza passare dal College, uno dei pochi che hanno fatto questo salto nel basket professionistico americano.
La sua carriera burrascosa si intrecciò subito con quella di Michael Jordan, che mise un vero e proprio veto allo scambio di Scottie Pippen con Vancouver, per arrivare al nuovo prospetto di Barton, Florida.
Questo mancato passaggio dell’ala ai Bulls, divenne una sorta di punto focale della storia professionale di McGrady, il quale non dimenticò mai quell’episodio che, invece di renderlo fragile e vulnerabile, fu il trampolino di lancio di una carriera rabbiosa.
Le affermazioni iniziali e l’arrivo a Houston
Le stagioni iniziali di McGrady nel “North” furono tutt’altro che negative, visto che nei tre anni a Toronto, il numero 1 mise a referto 2.122 punti, dimostrandosi subito un realizzatore piuttosto proficuo ma con dentro al cuore la speranza di passare ai Magic, la squadra per la quale aveva tifato fin da bambino all’interno delle quattro mura della sua camera, tappezzate dai poster di Penny Hardaway.
A Orlando la sua carriera prese una piega diversa, tanto che nel 2001 vinse il titolo di giocatore più migliorato della Lega, il Most Improved Player, ma l’occasione di diventare una stella NBA dipese soprattutto dai frequenti nonché lunghi infortuni di Grant Hill, l’altro crack della squadra di allora, che gli lasciò campo libero per diventare il vero e proprio punto di riferimento della franchigia.
Nonostante tutta una serie di prestazioni ai limiti dell’irreale, come i 62 punti ai Wizards nel marzo del 2004, e per ben due volte vincitore della classifica dei realizzatori in regular season, nel 2002 e nel 2003, McGrady fu in più di un’occasione accusato di scarso impegno e la squadra chiuse nel 2004 con il record peggiore della Eastern Conference.
Con il contratto in scadenza di lì a poco, lo staff dirigenziale dei Magic decise di liberarsi di McGrady e con lui di Juwan Howard, scambiati in una maxi trade che interessò ben sette giocatori e che portò il numero 1 a Houston.
Fu il preludio alla sua magica notte che troverà posto nella memoria di tutti per sempre.
Punti 13, secondi 41…
Passarono pochi mesi dallo start della stagione numero 59 della NBA e, lo diciamo subito, furono i San Antonio Spurs a vincere il titolo nella primavera inoltrata del 2005, sconfiggendo i Pistons in una meravigliosa serie finale chiusasi a gara-7.
Fu l’anno dell’approdo in NBA di una nuova franchigia, gli Charlotte Bobcats, con prestazioni individuali durante la regular season da ricordare, come quella di Allen Iverson a Philadelphia, 30,7 punti di media, o quella di Kevin Garnett a Minnesota ai rimbalzi, 13,5 o ancora quella di Steve Nash coi Suns per gli assist, 11,5, che fu incoronato anche MVP della RS.
Ma i futuri campioni subirono lo smacco dell’impresa di cui vi stiamo parlando, nella serata del 9 dicembre, quando, dopo un mesetto di normale lavoro di ufficio senza infamia e senza lode, con una media di 20,2 punti a partita e un 40,7% dal campo nelle sue prime 14 uscte coi razzi, il signore di cui all’oggetto si travestì da Signore del basket e decise da par suo di recuperare una partita ormai buttata alle ortiche.
Erano otto i punti di vantaggio degli Spurs quando il cronometro della partita riportava poco più di 40 secondi, un margine che, nonostante il basket ci abbia abituati da sempre che la parole fine non può essere scritta fino all’ultima sirena, avrebbe ammazzato la stragrande maggioranza dei cavalli di razza che, copiosi, popolano da sempre i palazzi delle squadre NBA di tutti gli States.
La cronistoria di un miracolo sportivo
La prima tripla arriva quando sono 35 i secondi rimasti da giocare ed è il canestro più “normale” di quelli che proveremo ad analizzare. T-Mac prende la palla, si sposta verso il centro della linea da 3 punti, pianta un arresto che in un nano secondo diventa un movimento di tiro perfetto che il mal capitato Malik Rose non può che contestare senza successo. Rockets a meno 5 che diventa subito meno 7 per via di un paio di tiri liberi di Devin Brown, fermato da un fallo immediato subito dopo la rimessa.
Il secondo canestro è leggendario. McGrady si fa dare la palla fin dalla rimessa, rimane sulla parte destra del campo, sfrutta un blocco di un monumentale Yao Ming, Duncan accetta lo scambio e si fionda con troppa enfasi sul numero 1, il quale manda per aria il pallone che chiude la sua infinita parabola alla fine del cotone. Fallo, canestro, tiro libero e Houston adesso crede nel miracolo, riportandosi a un solo possesso di distanza. Mancano 24,3 secondi.
Il possesso successivo degli Spurs non è dei migliori. Tony Parker si libera troppo presto del pallone e i Rockets hanno la pazienza di commettere fallo sul giocatore meno pericoloso dalla lunetta degli avversari, Tim Duncan, che però smentisce e zittisce i tifosi di Houston. Due su due e Spurs a +5 con 16,2 secondi alla sirena.
La terza tripla di seguito dell’uno in maglia bianca fa impazzire ancora una volta il “Toyo” Center. Il gioco sulla rimessa oltre metà campo è palesemente costruito per un tiro di T-Mac, che riesce a mantenere la palla sulla rimessa difficilissima effettuata da Andre Barrett, nonostante il raddoppio di Parker che prova ad aiutare Bruce Bowen, in quegli anni considerato il miglior difensore della Lega nell’uno contro uno, il quale segue l’ormai posseduto McGrady verso la parte destra dell’attacco Spurs. Niente da fare, arresto, tiro e retina con sospetto nuovo contatto della difesa, questa volta non fischiato. Spurs a meno 2 con 11,2 secondi da giocare.
La rimessa degli Spurs è ancora una volta nella metà campo offensiva per l’ultimo Time Out speso da Popovich e la fa il designato Brent Barry. Il 17 in nero trova facilmente Devin Brown che prova a liberarsi della difesa che lo pressa sulla linea laterale della parte destra dell’attacco Spurs, ma il risultato è disastroso. Il movimento si conclude con una fantozziana scivolata nel pressi della linea di fondo e il pallone, per tutte quelle dinamiche che sfuggono ai parametri del conosciuto, capita nelle mani, guarda un po’, di T-Mac, che si trasforma definitivamente nel raggruppamento di giocatori di cui abbiamo parlato a inizio articolo e, come un dio greco che non può essere fermato, prende la linea centrale in palleggio, poi cambia la scelta della conclusione rispetto alle precedenti, portandosi sulla sua sinistra. Scaglia un siluro che provano a contestare in quattro. La palla va a finire esattamente dove tutti sapevano sarebbe andata a finire. Il Toyota Center questa volta piange di gioia per aver assistito alla più incredibile performance di tutti i tempi nell’ultimo minuto di gioco.
Houston batte San Antonio 81-80.