È stata un’estate calda, in cui abbiamo potuto ammirare le stelle americane e anche europee alle Olimpiadi di Parigi, vinte da team Usa in finale contro i padroni di casa della Francia. È stata, ancora prima, l’estate del titolo Celtics, il diciottesimo, e di un mercato Nba sfavillante, con tanti colpi di scena, come quello che ha portato Klay Thompson da San Francisco a Dallas con un volo diretto e, probabilmente, di sola andata. Ma soprattutto è stata un’estate bollente dal punto di vista dei ritiri, con ben sei giocatori illustri che hanno detto addio alla pallacanestro giocata, oltre a Sergio Rodriguez, di cui abbiamo già parlato sui nostri schermi qualche settimana fa.
Gordon Hayward
Quando si parla dell’ormai ex giocatore di OKC, squadra con cui ha disputato l’ultima annata (5.3 punti in 17.2 minuti di media nelle 26 partite disputate), sono due le immagini distinte che ci vengono in mente e in entrambe il sentimento di dolore prevale nettamente.
La prima istantanea ci riporta al 2010, alla finale della Ncaa. L’ala piccola classe 1990 portò la sua Butler University sino alla finalissima, in cui ad attendere Hayward e soci ci fu la storica Duke di coach K. A 3.6 secondi dal termine, sul +2 Duke, Zoubek, centro dei Blue Devils, sbaglia il secondo tiro libero e Hayward prende il rimbalzo, scagliando da metà campo il tiro della possibile vittoria. A differenza di tante altre favole della March Madness però, la palla colpisce prima il tabellone e poi il ferro, con Duke che può dunque festeggiare tra l’incredulità e la tristezza di Butler e dei suoi tifosi.
Hayward andò ad un millimetro da un canestro che lo avrebbe probabilmente consacrato come uno dei tre migliori giocatori universitari di sempre. Uscito dal college, l’ala nativa di Brownsburg fu scelta dai Jazz, con cui giocò dal 2010 al 2017, prima della chiamata dei Boston Celtics e di Brad Stevens. E qui arriviamo alla seconda istantanea. Siamo al 17 ottobre 2017: ad affrontarsi sono Boston Celtics e Cleveland Cavs nella prima partita della nuova stagione Nba. Boston ha grandi aspettative, anche perché in estate sono arrivati Kyrie Irving e Gordon Hayward, due punte di diamante. Il problema è che, dopo solo 5’ di gara, Irving alza la palla in alley-oop e Hayward, tentando di prenderla, cade malamente e subisce un infortunio gravissimo alla gamba sinistra – rottura di tibia e caviglia.
L’ala americana salterà l’intera stagione e tornerà l’annata successiva, rimanendo a Boston fino al 2020, senza ottenere i successi sperati. Poi il trasferimento a Charlotte e l’ultimo, a metà stagione 2023/24, a Oklahoma, prima del ritiro. Tanta, tantissima sfortuna per un giocatore sopraffino, tecnicamente e umanamente parlando, che, nella sua annata migliore a Utah (2016/17) ha fatto registrare 21.9 punti di media. E se quel tiro a Butler fosse entrato…
Kyle Guy
Alzi la mano chi se lo sarebbe aspettato. Kyle Guy, guardia statunitense classe 1997, ha lasciato la pallacanestro a soli 26 anni. Nessun grave infortunio, ma solo una scelta di vita: era forte il richiamo dell’America e l’ex stella di Virginia ha deciso di cogliere la palla al balzo, diventando assistente speciale/mentore per lo sviluppo dell’atleta proprio nell’università che lo ha lanciato nel professionismo.
Un giocatore conosciuto sia in America sia in Europa, un tiratore mortifero, come testimoniano le sue esperienze. In particolar modo, nel 2019 vinse con la sua Virginia il titolo Ncaa, dopo una cavalcata memorabile, di cui fu assoluto protagonista. In semifinale, contro Auburn, realizzò i tre tiri liberi a 0.6 secondi dal termine con cui consegnò successo e finalissima alla sua università, vincendo poi anche l’atto conclusivo (85-77 contro la Texas Tech di Davide Moretti).
E, dopo che l’Nba lo ha messo alla porta, Kyle Guy si è trasferito in Europa, splendendo soprattutto con le maglie di Badalona e Tenerife – con quest’ultima ha raggiunto la finale di Basketball Champions League, persa con Malaga. Una carriera che, seppur breve, lo ha portato anche a calcare i parquet dell’Eurolega con la maglia del Panathinaikos (solo 8 partite disputate però). E chissà che, un giorno, non ci ripensi: per ora, la sua scelta di vita lo riporterà a Virginia, dove tutto è iniziato.
Rudy Fernandez
Il ritiro che tutti aspettavano invece era quello di Rodolfo Fernandez Farres, detto Rudy.
Annunciato prima del Preolimpico in Spagna, il talento classe 1985 è riuscito a disputare un’altra olimpiade, la sua sesta (da Atene 2004 a Parigi 2024), prima di lasciare la pallacanestro giocata. Come il suo compagno Sergio Rodriguez, Rudy è stato una leggenda del basket spagnolo, con cui ha giocato 266 partite vincendo 6 medaglie d’oro, 3 d’argento e 2 di bronzo (vi ricordate le finali alle Olimpiadi di Pechino 2008 e Londra 2012?), e in particolar modo del Real Madrid.
“Dal suo arrivo al Real Madrid nel 2012 è stato un punto di riferimento – ha scritto il team madrileno nel proprio comunicato – e uno dei grandi leader della nostra squadra in una delle epoche più vincenti della nostra storia. Durante le 13 stagioni in cui ha difeso i nostri colori, Rudy Fernandez è diventato il terzo giocatore ad aver giocato più partite con la maglia del Real Madrid, con un totale di 754, e ha vinto 26 titoli (3 Euroleghe, 1 Coppa intercontinentale, 7 campionati spagnoli, 6 Coppe del Re e 9 Supercoppe di Spagna). Inoltre è stato eletto due volte nel miglior quintetto dell’Eurolega, due volte nel miglior quintetto della Liga ed è stato anche Mvp della Supercoppa di Spagna (2012), Mvp della Coppa del Re (2015) e Mvp della finale della Liga nel 2017/18 (…) Il Real Madrid è e sarà sempre la sua casa, e augura a lui e alla sua famiglia il meglio per la nuova tappa della sua vita”.
Tanto “odiato” dalle tifoserie avversarie quanto amato dalla propria, Rudy è stato un atleta clamoroso, dotato di un quoziente cestistico estremamente elevato, e ciò gli ha permesso di avere spazio anche in Nba. Per tre stagioni (dal 2008 al 2011) ha vestito la canotta dei Portland Trail-Blazers e per una quella dei Denver Nuggets (2011-12), prima di fare ritorno proprio in Europa. Gli alley-oop, anche in reverse, con il già citato Chacho, di certo non li scorderemo facilmente.
Kemba Walker e Jeremy Lamb
Il nome di Kemba, così come quello di Hayward, è legato indissolubilmente alla Ncaa. Quando si pensa a Kemba, ci vengono in mente i suoi clamorosi crossover, uno dei quali gli ha permesso di passare alla storia.
Parliamo del Big East Tournament, in cui Walker fu scelto come Mvp del torneo e vincendo il quale Uconn si “iscrisse” al grande ballo della March Madness. Ai quarti di finale la combo-guard nativa di New York segnò il buzzer beater decisivo contro Pittsburg, permettendo agli Huskies di vincere per 76-74 e di avanzare in semifinale. Con uno dei crossover più memorabili di tutta la storia della Ncaa, Walker sbilanciò l’avversario, il quale perse l’equilibrio e cadde a terra, mentre il play di Uconn segnò il canestro decisivo in step back al Madison Square Garden. La storia dice che la University of Connecticut vincerà prima la Big East e poi, soprattutto, il titolo Ncaa, questa volta in finale contro Louiseville, con Walker che segnò 130 punti nelle 5 partite del “grande ballo”.
Un’onnipotenza cestistica che gli valse la chiamata di Charlotte, all’epoca ancora Bobcats, franchigia con cui rimase dal 2011 al 2019 (dal 2014 diventarono Hornets) e di cui è il miglior marcatore di sempre. Poi Boston, New York e Dallas, prima dell’arrivo in Europa con la maglia del Monaco, con cui ha viaggiato a 4.4 punti in 11 minuti di media in Eurolega, partendo dalla panchina. A 34 anni dunque, dopo 12 stagioni Nba e tante giocate elettrizzanti sul parquet, lascia il basket giocato uno dei giocatori più funambolici di sempre, a causa di problemi fisici manifestatisi dal 2019.
Anche Jeremy Lamb si è ritirato questa estate, lui che è stato compagno di squadra di Kemba Walker nella cavalcata fino al titolo Ncaa, quasi insperato alla vigilia. Dopo le prime tre stagioni ad Oklahoma, Lamb ha ritrovato Walker anche a Charlotte (2015-19), per poi passare ad Indiana e infine a Sacramento (2021-22), prima della G-League. Il 7 agosto 2024 ha ufficializzato il suo saluto alla pallacanestro giocata e noi vogliamo ricordare uno dei suoi buzzer beater, uno dei più incredibile della storia della Nba. La maglia indossata è quella di Charlotte, siamo al 24 marzo 2019 e gli Hornets sono sotto di 2 punti a Toronto, quando mancano 3 secondi alla fine della partita.
Rimessa Charlotte nella metà campo offensiva, Lamb riceve, ma Siakam gli sporca il pallone che finisce in quella difensiva. Con 1 solo secondo da giocare, la guardia degli Hornets è costretta a lanciare una preghiera. Con una parabola altissima, il pallone colpisce il tabellone e si insacca nel canestro, il tutto mentre suona la sirena. I tifosi e anche i giocatori di entrambe le squadre sono increduli, lo speaker di Charlotte impazzisce. E Lamb entra nuovamente nella storia, dopo il titolo Ncaa (ben più importante, ovviamente).
Joe Harris
Ultimo, ma non per importanza, è Joe Harris che ha detto addio alla palla a spicchi dopo 10 stagioni in Nba.
La guardia nativa di Chelan (Washington) ha disputato un totale di 504 partite nella lega americana più importante, vestendo le maglie di Nets, Cavaliers e Pistons. Joe ha vinto nel 2019 il Three-Point Contest e soprattutto, nel corso della sua carriera, ha mantenuto il 43.6% dalla linea dei tre punti. Proprio ai Nets ha vissuto le stagioni migliori, specie nel 2020/21, quando mise a referto 14.5 punti di media nelle 69 partite disputate.
A 33 anni ha detto basta e, anche in questo caso, il ritiro è dettato dai continui problemi fisici occorsi negli ultimi anni.