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Sesto appuntamento con la nostra rubrica di approfondimenti riguardanti gli anelli vinti dalle franchigie Nba: ci spostiamo a New York, sponda Knicks, nel teatro dei sogni, il Madison Square Garden, dove tutti hanno immaginato almeno una volta nella vita di poter giocare. 8 sono le Finals raggiunte dal team della Grande Mela, 2 invece i titoli conquistati negli anni ’70 e, soprattutto, sono più le ombre che le luci ad aver scritto la recente storia dei Knicks, aggrappati attualmente ad un roster di tutto rispetto e ad una stella, Jalen Brunson, a cui si chiede di spezzare l’incantesimo.

Gli inizi

La nascita dei Knicks è legata ad uno storico giornalista sportivo all’epoca in pensione, nonché proprietario del Madison Square Garden, ovvero Ned Irish. A tal proposito, è necessario tornare indietro al 1946, quando venne data vita alla BAA (Basketball Association of America), una lega professionistica che sarebbe diventata, già nel 1949, NBA (National Basketball Association), fondendosi con la NBL (National Basketball League). I Knicks nacquero proprio nel 1946 ed entreranno subito a far parte della BAA, grazie al loro nuovo proprietario, il già citato Ned Irish, approvato anche per le numerose risorse economiche di cui poteva disporre.

New York visse fin da subito anche di pallacanestro, raggiungendo le Nba Finals per tre anni consecutivi, dal 1951 al 1953, tre stagioni terminate però con una sconfitta. All’epoca, per altro, era nata la prima dinastia della storia Nba, quella dei Minneapolis (poi Los Angeles) Lakers – capace di vincere cinque titoli in sei anni – che giustiziò anche New York. I Knicks caddero innanzitutto contro i Rochester Royals nel 1951 (4-3), nel cui roster militava un certo Red Holzman (ricordatevi questo nome), per poi perdere in due finali consecutive contro i Lakers della leggenda George Mikan (4-3 nel 1952 e 4-1 nel 1953).

La costruzione di un roster vincente

Negli anni ’60 per qualsiasi squadra era impossibile vincere l’anello. Il motivo ha un nome e un cognome: Boston Celtics. I Knicks però, pur non tornando più per diversi anni alle Finals, iniziarono a muoversi a livello di roster e tre furono le date spartiacque in questo periodo. La prima fu il 1964, anno in cui New York sceglie il centro Willis Reed, mentre la seconda fu il 1967, anno in cui Walt Frazier raggiunge la Grande Mela. Il terzo strike, che rese i Knicks una reale contender, arrivò durante la stagione 1967-68, quando coach Dick McGuire verrà sostituito da Red Holzman, lo stesso che, nel 1951, aveva vinto il titolo da giocatore con i Royals ai danni dei Knicks e che era diventato allenatore nel 1954.

I due titoli degli anni Settanta

Era tutto pronto per un cambio di rotta improvviso, nel senso più positivo del termine. Guidati da Reed (21.7 punti di media) e Frazier (20.9), New York sbaragliò la concorrenza nella stagione 1969-70, chiudendo al primo posto la Eastern Division con un clamoroso record di 60 vittorie e sole 22 sconfitte. Ai playoff, i Knicks si imposero sui Baltimora Bullets (4-3), sui Milwaukee Bucks (4-1) e soprattutto alle Finals sui Los Angeles Lakers, in una battaglia durata sette partite (4-3 la serie). Wilt Chamberlain e Jerry West non poterono nulla, anche perché dall’altra parte i Knicks poterono contare su un Willis Reed nominato Mvp delle finali. Un anno di pausa (nel 1971 New York cadde alle Eastern Conference Finals) e poi di nuovo in pista, anche se nel 1972 l’esito fu amaro per i Knicks. Tornati nuovamente alla finalissima contro i Lakers, la squadra di coach Holzman, pur con un Earl Monroe in più in gruppo, non riuscì a ripetersi, sconfitta con un sonoro 4-1 da una Los Angeles nel cui team figurava il nome di Pat Riley, il quale sarà indissolubilmente legato alla storia dei Knicks – così come a quella dei Lakers e degli Heat.

Sono comunque anni d’oro, in cui la franchigia della Grande Mela e quella Californiana si sfidarono anche alle Finals dell’annata successiva, quella 1972-73, una serie diventata ormai una classicissima di quelle stagioni. New York mantenne le proprie punte di diamante (57-25 il record in RS), regolò nei primi due turni playoff sia i Bullets sia i Celtics e in finale si vendicò, agguantando il 4-1 nella serie contro i Lakers, battuti con la stessa moneta nonostante la sconfitta dei Knicks in gara 1. E, neanche a dirlo, Willis Reed sarà nominato ancora una volta Mvp delle Finals, secondo premio vinto individualmente nell’arco di quattro anni.

Le ultime due finali perse

I Knicks sono decisamente la squadra più conosciuta della lega e una delle franchigie con il valore più alto dell’Nba. Nonostante questo, è da quel lontano 1973 che non vincono un anello, un’agonia che attualmente coach Thibodeau e Jalen Brunson stanno tentando di riporre nel cassetto, per quanto la concorrenza sia spietata e ci siano team sulla carta più attrezzati (vedi i Boston Celtics).

Ad onor di cronaca, New York raggiunse altre due volte le Nba Finals: la prima nel 1994 e la seconda nel 1999. E, come dicevamo, il nome “Knicks” è legato anche alla figura di coach Pat Riley, che prese in mano la squadra nel 1991 e la portò ad essere sostanzialmente una contender negli anni ’90, salvo poi concludere il proprio rapporto con la franchigia in modo brusco, come abbiamo raccontato nello scorso episodio della nostra rubrica. L’occasione più grande di raggiungere il titolo avvenne proprio nel 1994, quando i fisici Knicks, presi per mano da Pat Ewing e John Starks, arrivarono ad un millimetro dalla gloria eterna. Da ricordare furono soprattutto gara 5 e gara 7 delle Nba Finals contro i Rockets. Il quinto atto della serie viene ricordato come “la partita che nessuno vide”, come raccontato nel libro di Chris Herring “Sangue al Garden, la storia dei New York Knicks degli anni Novanta”: la squadra di coach Riley vinse quella partita, ma il successo passò in secondo piano in quanto tutti erano focalizzati su un altro evento, ovvero la fuga di O.J. Simpson, accusato di duplice omicidio. E dopo che Starks sbagliò il tiro della vittoria in gara 6, accadde l’impensabile: in un Madison Square Garden stracolmo per gara 7, i Rockets di Olajuwon (Mvp) piazzarono il colpo e vinsero partita (90-84) e serie, mentre i Knicks rimasero con un pugno di mosche in mano, anche perché Starks, una certezza fino a quel momento, steccò quella partita (2/18 dal campo). E soprattutto, Riley lo tenne in campo, continuando a dargli fiducia e lasciando in panchina per tutta la serie Rolando Blackman: un errore, quello di tenere in campo Starks, che in seguito lo stesso Pat ammise di aver commesso.

Nel 1999 invece, con uno Starks in meno, ma con Larry Johnson e Sprewell in più, i Knicks agguantarono nuovamente l’obiettivo Finals, incontrando nell’atto decisivo della stagione i San Antonio Spurs di Popovic e del duo Duncan-Robinson. Quell’anno i Knicks avevano raggiunto la post season per il “rotto della cuffia”, qualificandosi come testa di serie numero 8. La cavalcata alle finali fu tanto insperata quanto autoritaria, con il team della Grande Mela che vinse contro Heat, Hawks e soprattutto Pacers (ricordiamo il famosissimo canestro da tre con fallo subito di Johnson per la vittoria in gara 3), prima di affrontare gli Spurs. Una finale in cui, purtroppo per i Knicks, non ci fu alcun colpo di scena, dato che San Antonio, fatta eccezione per il terzo atto della serie, dominò e ottenne un agevole titolo – da evidenziare l’infortunio al tendine d’Achille di Ewing. Questa fu l’ultima apparizione dei Knicks alle Nba Finals, in attesa di tempi migliori.