L’EA7 Emporio Armani ha vinto il campionato Under 19, facendo seguito al trionfo ottenuto alla IBSA Next Gen Cup qualche mese fa, con un gruppo composto da tanti giocatori sotto età. Una scelta particolare, che molte società blasonate attuano in diversi campionati giovanili, avendo a disposizione ragazzi già pronti che possono dire la loro a un livello più alto.
Una scelta partita da Ettore Messina, che a Milano sta cercando di costruire giocatori partendo dalla base, il settore giovanile.
Un progetto iniziato l’anno scorso con l’intento di dare un’impronta diversa, un impulso che, dopo un anno di transizione, ha cominciato a fruttare. Esistono programmi individuali di sviluppo che si mischiano con gli obiettivi di squadra, che evidentemente portano a risultati anche abbastanza immediati. Lo stesso gruppo ora giocherà le Finali di Next Gen di Eurolega, per i ragazzi un’esperienza unica contro i migliori d’Europa.
Fortissimi nelle giovanili, ma poi?
Cosa succede però a questi ragazzi una volta usciti dal settore giovanile?
E’ un tema molto caro agli allenatori di tutta Italia, che passano una vita a cercare di costruire giocatori, partendo da chi ha più o meno talento, per poi magari non vederli mai diventare tali. Sicuramente non è un problema da imputare soltanto ai tecnici, né alle società, perché in tante in Italia (dalle più blasonate di Serie A a progetti esclusivamente dedicati ai giovani come College Borgomanero o Orange Bassano), potendo fare selezione e usare le foresterie riescono a lavorare bene con programmi ad hoc che realmente fanno crescere giocatori migliori. Poi, capita spesso, che questi giovani si perdano per strada e non vadano magari oltre qualche sparuta esperienza in A2, fermandosi a essere buoni giocatori di Serie B o C. Che, per carità, va benissimo anche così ed è ovvio che non tutti possano diventare Melli o Datome, ma sarebbe bello che più italiani potessero arrivare ad alti livelli, trovando fiducia da parte delle società.
In pochi riescono a scalare posizioni e avere un posto in Serie A: vengono in mente Pecchia – cresciuto proprio nelle giovanili dell’Olimpia e diventato buon giocatore di massima categoria oggi a Cremona -, Procida e Spagnolo – fuori categoria rispetto alla media -, o gli stessi Flaccadori, Melli, Tonut, oggi all’Olimpia e cresciuti in Italia.
Loro sono stati capaci, grazie anche agli allenatori che hanno avuto, di spiccare il volo verso i livelli più alti del basket italiano ed europeo, ma è ovvio che non per tutti ci sia la stessa possibilità. A volte semplicemente perché un ragazzo ha tanto talento ma non non viene considerato fisicamente pronto, non trovando fiducia da parte dell’allenatore che trova in quel momento; e allora sparisce dai radar e, con la vita piena di distrazioni che i giovani hanno oggi, sceglie altre strade che gli diano maggiori soddisfazioni. Decisione assolutamente da non biasimare.
Il bel caso di Momo Faye
Ci sono società come Tortona, Pesaro, Varese, Reggio Emilia, che si stanno muovendo molto bene con i giovani e, in certi casi, ne abbiamo dimostrazione proprio sotto i nostri occhi. Pensiamo a Momo Faye di Reggio, quest’anno tra i migliori giovani del campionato di Serie A. Classe 2005 senegalese, è uno di quei casi in cui l’occhio lungo degli osservatori e la possibilità di ospitare i giovani nella foresteria, uniti al lavoro in palestra di coach molto preparati, creano un giocatore e, sfruttandone il potenziale, fanno in modo che lo stesso, dopo così poco tempo, scelga di rendersi eleggibile per il draft NBA. Faye, sfruttando l’assenza di centri in un periodo della stagione dell’Unahotels, ha guadagnato spazio nelle rotazioni di coach Priftis, arrivando a giocare circa 18′ di media in LBA segnando 7.3 punti in una squadra che ha raggiunto il 6° posto e i playoff.
Momo è una scommessa vinta dalla società reggiana e dal 2025 potrà giocare come italiano, diventando automaticamente uno dei pezzi più pregiati per il nostro mercato interno, sempre a caccia di giovani italiani che non facciano solo da sparring partner in allenamento.
Come Momo vengono in mente i nomi di Davide Casarin e Leonardo Faggian, che uno a Venezia e l’altro a Treviso stanno sempre più diventando giocatori da Serie A. Se nel caso di Faggian (inserito tra i migliori U22 del torneo) manca ancora qualcosa per raggiungere la vetta, per Casarin parliamo di un ragazzo (classe 2003), che dopo aver svolto ad altissimi livelli tutto il percorso giovanile nella “sua” Reyer Venezia, ha fatto gavetta tra Treviso e Verona, tornando l’anno scorso a casa e diventando quest’anno elemento fisso del quintetto di Spahija, con una media di 20′ di impiego e 5.6 punti a partita con 5 uscite in doppia cifra viaggiando con il 59.2% da due punti.
Per lui, l’anno passato, si sono aperte le porte della Nazionale maggiore di Pozzecco e sembra poter far parte del ricambio generazionale del gruppo senior azzurro, che ha bisogno sempre più di giovani in gamba.
Per far ciò serve un continuo lavoro, con programmi ad hoc come quello dell’Olimpia Milano, e tanti investimenti, che facciano crescere ragazzi che non restino solo dei campioncini nelle squadre giovanili, ma possano diventare protagonisti anche in Serie A e, perché no, in Eurolega come di recente hanno fatto Fontecchio, Procida e Spagnolo.