Mentalità vincente, estro, simpatia, sacrificio, spirito di gruppo: tutto ciò che rende forte un giocatore lo troverete scorrendo la carriera del fuoriclasse argentino
«Manu Ginobili ha rappresentato per gli Spurs quello che Michael Jordan e Larry Bird hanno rappresentato per Bulls e Celtics». Investitura migliore di questa probabilmente non esiste, in particolare se l’autore di questa affermazione è uno che di pallacanestro e di Spurs dovrebbe saperne qualcosa, ossia sua maestà Gregg Popovich. Manu Ginobili racchiude in sé un mondo fantastico da scoprire, in particolare perché in tutta la sua carriera è riuscito ad unire due aspetti che per uno sportivo sono realmente difficili da far combaciare: essere simpatico ma al tempo stesso essere un incredibile vincente. Si, perché probabilmente pensando al numero 20 degli Spurs non vengono immediatamente in mente i 4 titoli NBA, il titolo Olimpico, l’argento Mondiale, 4 medaglie ai Giochi Americani, 1 Eurolega, 1 Campionato Italiano e 2 Coppe Italia (senza far cenno agli importanti titoli individuali) ed essere il primo giocatore della storia del basket a vincere un titolo olimpico, un titolo Nba, un titolo europeo e un campionato nazionale. Probabilmente le prime immagini che vengono in mente del giocatore argentino sono quelle di un tunnel fatto ad un avversario, un assist no-look, uno sfondamento subito a metà campo, una palla rubata, una finta imprevedibile, un gioco da circo: in poche parole, un giocatore che riesce a fondere furbizia e intelligenza per il gioco, che lo portano ad avere un Q.I. decisamente al di sopra della media. Emanuel David Ginobili nasce il 28 luglio del 1977 a Bahia Blanca, una delle non troppe città argentine in cui il Basket viene prima del Calcio. Viene scelto nel draft del 1999 come cinquantasettesima scelta dai San Antonio Spurs e rimarrà nella storia come uno dei più clamorosi “draft steal” mai esistiti. Però solo nel 2002, dopo aver vinto di tutto in Italia e in Europa con la maglia della Kinder Bologna, “raggiunge” Gregg Popovich alla corte degli Spurs. L’inizio dell’avventura non è semplicissimo, sia per motivi fisici che tecnici, dovendosi adeguare ai rigidi sistemi di coach Pop. La stagione però per lui è un crescendo: guadagna sempre più spazio, e anche ai playoff è una delle pedine più brillanti degli Spurs, in particolare nella Finale di Conference contro i Dallas Mavericks, vinta 4-2. Stesso risultato con cui San Antonio sconfiggerà i New Jersey Nets alle finali per il titolo, regalandosi il proprio 2° titolo, ma regalando a Ginobili l’anello NBA al suo primo anno. Nonostante ciò, Manu sceglie di seguire la filosofia della famosa citazione “The best is yet to come” (Il meglio deve ancora venire…). Nella stagione 2004/2005 si vede la crescita del grande Ginobili: oltre a conquistare un posto nel quintetto di Popovich, alza il livello della sua pallacanestro, meritando anche la prima chiamata all’All Star Game. La stagione è vincente: gli Spurs arrivano in finale contro i Detroit Pistons, e vincono il titolo nella decisiva gara 7. Ginobili è il trascinatore della squadra ai playoff con oltre 20 punti di media e quasi 6 rimbalzi, e sfiora il titolo di MVP delle finali che andrà nelle grandi mani di Tim Duncan. Nel 2007 arriverà anche il terzo titolo in cinque stagioni per Manu, che torna a essere il sesto uomo di Popovich, anche se ormai membro onorario dei “Big Three” insieme a Duncan e Tony Parker: saranno destinati a diventare i Big Three più vincenti della regular season e dei playoff. San Antonio batte in finale i Cavs di LeBron James con uno sweep. La stagione successiva i texani si fermano di fronte ai Lakers, ma numericamente Manu Ginobili gioca probabilmente la sua miglior stagione: 19.5 punti, 4.8 rimbalzi, 4.5 assist, 40,1% da 3, 31.1 minuti giocati (tutti career high) e soprattutto il prestigioso premio di miglior 6° uomo. Nella stagione 2010-2011, Ginobili torna titolare, e guida la squadra al miglior record della lega, ma gli Spurs vengono incredibilmente battuti al primo turno da Memphis. L’anno dopo gli Spurs arrivano in Finale di Conference, battuti in rimonta 4-2 da OKC. Dopo una finale persa incredibilmente 4-3 con i Miami Heat di Lebron James, si sollevano alcuni dubbi su Manu e sugli Spurs. Ma la voglia di successo e soprattutto di rivincita da parte di Duncan, Parker, Manu Ginobili e della nuova stella Kawhi Leonard va al di là della fisica: il primo giorno di raduno, Popovich tiene la squadra incollata 3 ore allo schermo a rivedere quella gara 7. Una stagione regolare da 62 vittorie e 20 sconfitte, e un Manu in netto miglioramento rispetto alla stagione precedente, sono il risultato di quel primo giorno di raduno, ma anche il preambolo di ciò che accadrà nei playoff: è di nuovo sfida contro gli Heat, ma questa volta non c’è LeBron James che tenga, contro un gioco stellare di San Antonio che vince 4-1 il suo 5° titolo in 15 anni. Il 27 agosto del 2018, Manu Ginobili ha annunciato il suo ritiro, scrivendo in maiuscolo due parole su un tweet, due parole che dicono tutto sullo “spessore” di un grande uomo: gratitudine immensa.