A lungo “brutti anatroccoli” della NBA, i Los Angeles Clippers sono sopravvissuti a un numero indefinito di fallimenti, scelte sbagliate, complessi di inferiorità, promesse non mantenute e una quantità industriale di scalogna nera. Quest’anno, però, potrebbero essere la squadra che fa saltare tutti i pronostici.
I Los Angeles Clippers e il retaggio da perdenti: una lunga storia
I retaggi sono qualcosa di pesante, nella società statunitense. Se nello sport USA vieni identificato come perdente, è difficile che tu possa liberarti di tale fardello, e i Los Angeles Clippers di retaggi se ne porta dietro due: quella di franchigia perdente, e quella di franchigia sfigata.
Per questioni di tempo e leggibilità, non mi addentro neanche troppo nella preistoria della franchigia, ovvero nei primi anni trascorsi a Buffalo prima del trasferimento di costa a San Diego e quindi il passaggio alla città degli angeli. Certo, però, tale preistoria ha contribuito in modo pesante a costruire quella eredità di franchigia perdente per definizione. Quella poi di portare una seconda squadra a Los Angeles proprio in piena era “Showtime” dei Lakers, più che una sfida, pareva una resa preventiva.
Le scelte sbagliate e/o masochiste
Anche nei primi anni ’90, quando i cugini lacustri conoscevano un periodo di crisi, i Clippers non riuscivano quasi mai a staccarsi dalla mediocrità. Si pensi al 1993 e alla scelta, dopo le prime due stagioni ai playoff nella storia della franchigia, di puntare su un Dominique Wilkins a fine corsa.
La storia dei Los Angeles Clippers ha un legame che sembra quasi connaturato con la sfiga. Tra il 1993 e il 2010, due sole qualificazioni ai playoff. Nel mezzo, tante scelte sbagliate o effettuate nel momento sbagliato. Tra queste, la prima scelta del draft 1998, usata per Michael Olowokandi: una delle peggiori di sempre.
La generazione di Elton Brand, Corey Maggette e Lamar Odom sembrava destinata a instaurare un predominio almeno nella Western Conference, invece proprio Odom sarebbe dovuto andare proprio dai cugini per vincere, peraltro anelli a profusione.
La grande illusione di Lob City
La svolta arriva nel 2009 quando, dopo l’ennesima stagione deprimente, LAC pesca la prima scelta al draft e porta a Los Angeles Blake Griffin, ala grande da Oklahoma con le stimmate del predestinato. Anche qui la sfiga non manca, visto che l’esuberante Blake si fracassa un ginocchio dopo una inutile schiacciata in pre-season.
Altro anno perso, ma almeno stavolta Donald Sterling inizia ad azzecare le mosse. Via gente senza motivazioni come Baron Davis, dentro giovani di prospettiva e, nel 2011, un inatteso assist da David Stern. L’ormai defunto ex commissioner della lega mette il veto sul passaggio di Chris Paul ai Lakers, e l’ex play dei New Orleans Hornets arriva proprio ai Clippers. Nasce così una delle avventure più divertenti degli ultimi lustri NBA ma anche – da specialità della casa – una delle più clamorose promesse mancate: Lob City.
Con Chris Paul a servire assist per i voli di Blake Griffin e Deandre Jordan e il prezioso contributo dalla panchina di Jamal Crawford, i Clippers costruiscono stagioni esaltanti, ma senza mai andare oltre le semifinali di Conference. Nel 2015 sembrava fatta, sul 3-1 di semifinale contro gli Houston Rockets di James Harden e Dwight Howard, che però rimontano e vincono la serie 4-3. Non c’è niente da fare.
PG + Kawhi, croce e delizia
Tramontata Lob City, nel 2019 nasce un altro sogno, che però assume le sembianze di un incubo. Vengono ingaggiati i free agent Paul George e da OKC e Kawhi Leonard, che aveva appena portato i Toronto Raptors al primo storico anello di campioni, dopo averne vinto già uno con gli Spurs. Per la cronaca, nello scambio che ha portato George, i Clippers cedono il rookie Shai Gilgeous-Alexander, che ha appena portato i Thunder al primo posto della Western Conference.
Kawhi è un asset prezioso ma delicatissimo, giocatore injury-prone se ce n’è uno. Dove non arrivano gli infortuni, tuttavia, arriva il Covid. Una stagione molto promettente si interrompe per poi concludersi nella bolla di Orlando, dove i Clippers escono ancora una volta in semifinale di Conference, ancora una volta bruciando un vantaggio di 3-1, in questo caso contro i Denver Nuggets. Qualcuno comincia a pensare che il destino di rimanere “la seconda squadra di LA”, i simpatici perdenti per definizione, sia ineluttabile.
Nel 2021 una nuova beffa del destino: prima finale di conference nella storia della franchigia, persa però 4-2 dai Phoenix Suns indovinate guidati da chi? Il vecchio Chris Paul, tanto per gradire.
Quella 2021/22 è l’ennesima stagione disgraziata, con l’ennesimo infortunio di Kawhi Leonard che salta tutta la stagione. I Los Angeles Clippers mancano i playoff per la prima volta dopo 10 anni. Ed è ancora contro i Suns di Chris Paul che si infrange il sogno playoff nel 2022/23, stavolta al primo turno.
Il 2023/24 è un’annata partita a fari spenti, ma in cui si intravede un cambiamento.
Steve Ballmer e il coraggio di cambiare
Ciò si deve a Steve Ballmer, ex CEO di Microsoft e divenuto proprietario dei Clippers nel 2014, in un altro dei macroscopici incidenti che hanno segnato la storia del club. Donald Sterling era stato infatti costretto a cedere la franchigia per un episodio di razzismo che lo aveva visto coinvolto. Così i Los Angeles Clippers diventano proprietà dell’ex socio di Bill Gates, la cui capacità di visione è forse il vero turning point della franchigia.
Da imprenditore di successo, Ballmer non può mai accettare passivamente il ruolo di “franchigia sfigata” per definizione. Nel 2024/25 arriverà il nuovo stadio, l’Intuit Dome in costruzione a Inglewood. Oltre a quello, nei mesi scorsi sono già stati presentati nuove divise e nuovo logo. Le casacche richiamano apertamente al passato, e questa è una scelta davvero coraggiosa: in molti altri sport, quella di rivangare un passato perdente parrebbe una scelta ai limiti del masochismo. Ma nei Los Angeles Clippers di oggi c’è aria di un rebranding che non è puro marketing, ma una serie di scelte finalmente felici e consapevoli.
I Los Angeles Clippers e i playoff 2024: vuoi vedere che…
I Los Angeles Clippers sono arrivati a questi playoff con la testa di serie numero 4 a Ovest, con una squadra da “all in”, come si dice: Kawhi Leonard, Paul George e James Harden sono dei “big 3” di valore assoluto, ma anche con l’orologio biologico avanzato: quasi 33 anni Leonard, quasi 34 PG e quasi 35 Harden. Poi c’è l’aspetto contrattuale: Kawhi ha da poco rinnovato fino al 2027, Harden ha il contratto in scadenza mentre George ha una player options su cui c’è ancora mistero. Un suo addio sembra l’ipotesi più probabile, con tanti team alla finestra.
Alla luce di tutto ciò, i playoff 2024 dei Los Angeles Clippers sembrano una sorta di “last chance”. Gara 1 contro i Mavericks è stata in tal senso molto interessante, perché letteralmente dominata dai Clips nonostante l’assenza di Leonard. Kawhi ha infatti perso le ultime 8 gare di regular season e l’infiammazione al ginocchio destro non sembra assorbita.
Ma James Harden ha ri-vestito i panni del grande realizzatore che è stato, e a tratti è ancora, con una gara di grande concretezza. Alla voglia di anello del “Barba”, che in carriera ha ottenuto diversi allori individuali (tre titoli di miglior realizzatore della lega, un MVP della regular season nel 2018) ma mai l’agognato anello, si affianca quella di Paul George con la sua affidabilità, e non solo. Russell Westbrook e Ivica Zubac sono altri due elementi cruciali: il primo, a sua volta a caccia dell’anello per coronare la lunga carriera, si è alla fine adattato al ruolo di guida della second unit; il secondo, all’ottavo anno nella lega, è uno dei migliori rim protector della lega e sa essere occasionalmente anche un fattore in attacco.
Se i Clippers dovessero superare indenni il turno contro i Mavericks nonostante l’incognita Leonard, si potrebbero aprire scenari interessanti per loro. Il possibile accoppiamento con OKC nella semifinale di Conference sembra fatto apposta per esaltare l’esperienza del gruppo guidato da coach Tyrone Lue. Quindi, in finale, si dovrebbe stagliare l’ingombrante sagoma di Nikola Jokic e dei suoi Denver Nuggets. Al di là del totem immarcabile, i campioni in carica non sembrano equilibrati e imprevedibili come i Clippers al completo.
La prima finale NBA nella storia della franchigia non è dunque impossibile. E pazienza se, nell’ultimo atto, si potrebbero trovare di fronte una solidissima favorita come i Boston Celtics. Però, con quei big 3 all’ultima grande chance della carriera, nulla sarebbe precluso.