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Oggi avrebbe compiuto 42 anni, domani il calendario ricorda i suoi due numeri: 24 e 8. Ogni occasione è opportuna per ricordare il mito del Black Mamba

Avrebbe festeggiato 42 anni, oggi, Kobe Bryant, uno dei più forti giocatori mai esistiti al mondo. Un campione assoluto, la cui tragica scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile al punto che dopo la ricorrenza odierna del suo compleanno (nacque a Philadelphia il 23 agosto del 1978), il mondo intero lo ricorderà anche domani, quando il calendario metterà, uno vicino all’altro, i due numeri che lo hanno accompagnato nella sua fantastica storia sportiva: 24 e 8. Kobe Bryant, famoso anche con il soprannome “Black Mamba”, giocava nel ruolo di guardia ed aveva messo a frutto il fisico imponente ed una tecnica eccezionale. Per dieci lunghi ed entusiasmanti anni, tra il 1999 e il 2009, è stato tra i giocatori più dominanti e spettacolari di tutta la NBA, con i suoi celebri tiri in sospensione e le sue famose schiacciate. A dimostrazione di come era entrato nel cuore della gente, anche quella che non tifava Los Angeles Lakers, Bryant per 18 volte è stato selezionato per l’All Star Game. E’ stato votato per due volte miglior giocatore delle finali e per una volta, nel 2008, del campionato. Fece anche parte, da protagonista, della nazionale statunitense di basket, conosciuta come il “Dream team” che vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 2008 e del 2012. Bryant era figlio di Joe Bryant, giocatore di basket che passò diversi anni in Italia tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Per questo Bryant passò la sua infanzia in Italia, tornando poi negli Stati Uniti per il liceo, che frequentò in un sobborgo di Philadelphia. A 17 anni decise di cercare una squadra in NBA senza passare dal college, come invece fanno la maggior parte dei giovani giocatori, e nel 1996 fu scelto al tredicesimo giro da Charlotte. Gli Hornets, però lo cedettero subito ai Lakers come parte di uno scambio più ampio. I Lakers avevano appena preso Shaquille O’Neal, centro degli Orlando Magic con il quale Bryant avrebbe formato una delle coppie più famose della storia del basket. Bryant giocò la sua prima stagione poco più che diciottenne, diventando un sostituto fondamentale nelle rotazioni dei Lakers, e vincendo nel 1997 la gara delle schiacciate all’All Star Game. Nella seconda stagione cominciò a giocare con sempre maggiore regolarità, diventando poi titolare dalla terza, quella 1997-1998, in cui fu definitivamente riconosciuto come uno dei giovani più forti della lega. Nel 1999 ad allenare i Lakers arrivò Phil Jackson, storico allenatore dei Chicago Bulls di Michael Jordan che fu fondamentale per la carriera di Bryant. Sotto la sua guida, lui e O’Neal svilupparono un legame sportivo leggendario: la stagione si concluse con la vittoria del titolo NBA dopo le finali con gli Indiana Pacers. Quei Lakers, nei quali giocavano tra gli altri anche Robert Horry e Derek Fisher, vinsero anche il titolo nei due anni successivi, battendo in finale i Philadelphia 76ers e i New Jersey Nets. Bryant diventò il giocatore più giovane a vincere tre titoli di fila, cosa che peraltro da allora non è più successa. In quegli anni Bryant era il più forte e famoso giocatore di basket del mondo. Nel 2003, all’apice della sua fama, fu indagato per lo stupro di una ragazza diciannovenne avvenuto in un hotel in Colorado. Bryant ammise di aver avuto un rapporto con la donna, che però descrisse come consensuale. La donna rifiutò di testimoniare, e prima del processo patteggiò un risarcimento con Bryant, la cui immagine pubblica subì un colpo durissimo. Diversi grandi marchi americani interruppero i rapporti con lui, anche se li recuperò quasi tutti negli anni successivi. Tra il 2004 e il 2007 i Lakers di Bryant misero in fila alcune stagioni deludenti, anche perché O’Neal era passato ai Miami Heat. Bryant però giocò per lunghi tratti ai suoi massimi livelli, stabilendo il secondo miglior record per punti in una sola partita: 81, segnati contro i Toronto Raptors nel 2006 (il primo rimane ancora oggi Wilt Chamberlain con 100). Nel 2007 arrivò ai Lakers il centro spagnolo Pau Gasol, con il quale Bryant ristabilì un’intesa simile a quella avuta anni prima con O’Neal: la squadra arrivò alle finali NBA, perdendo con gli storici rivali dei Boston Celtics, ma nei due anni seguenti (il 2009 e il 2010) vinsero il titolo battendo prima gli Orlando Magic e poi i Boston Celtics. Quello del 2010 fu l’ultimo titolo di Bryant, che non riuscì mai a eguagliare Michael Jordan vincendone un sesto: fece ancora stagioni sensazionali, soprattutto per un giocatore della sua età, almeno finché una serie di gravi infortuni avuti nel 2013, condizionarono pesantemente la sua carriera. Nel novembre del 2015 annunciò che si sarebbe ritirato alla fine della stagione, e nell’ultima parte della regular season fece una specie di tour di addio, ricevendo ovazioni in tutti i palazzetti in cui giocò. Giocò la sua ultima partita il 13 aprile 2016, contro gli Utah Jazz, segnando ben 60 punti. Nel 2018 un cortometraggio animato che aveva scritto riguardo al suo addio al basket, Dear Basketball, aveva vinto il premio Oscar. Lo scorso 26 gennaio, il mondo del basket, ma non solo, è rimasto attonito di fronte alla notizia che Kobe Bryant e la piccola ed amata figlia Gianna, di soli 13 anni, avevano perso la vita in un tragico incidente aereo. Il ricordo del campione però, a sei mesi di distanza, riempie ancora i pensieri e le giornate di milioni di appassionati.

 

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