La delusione del pre-olimpico lascia la nazionale italiana di basket a casa da quella che sarebbe stata la seconda partecipazione olimpica consecutiva. L’entusiasmo di coach Pozzecco e dei suoi ragazzi non è bastato, il campo ha parlato chiaro e ha mostrato un roster che, complici le importanti assenze di Fontecchio, Procida e Spagnolo, ha preso una scoppola pesante contro la Lituania e un’altrettanta, soprattutto nel morale, da Porto Rico.
Alla squadra è mancato il gioco e anche l’atteggiamento, cosa che si era paradossalmente vista nell’amichevole contro la Spagna. Il tutto riporta a uno staff tecnico che viene esaltato per le capacità umane e di creazione del gruppo – questo è innegabile – ma che sembra poi crollare nei momenti che contano, quando ci si dovrebbe aggrappare alle idee di gioco.
L’accoppiata di sconfitte contro Lituania e Porto Rico hanno fatto emergere enormi carenze, facendo esplodere le critiche che qualche giorno prima avevano investito la Nazionale di calcio, uscita malamente dall’Europeo. Scarso lavoro nei settori giovanili, basso livello di strutture, tecnici scadenti, campionato non competitivo, mancanza di fiducia nei giovani: un ritornello che continuiamo a sentire da anni e che vede non poche similitudini tra le attività che dovrebbero essere i portabandiera internazionali dello sport azzurro e che, invece, inanellano brutte figure. Una fotografia da bar, però, che non inquadra con accuratezza la vera situazione.
I giovani ci sono, sono coltivati e le nazionali under vincono, poi manca la trasformazione
Se parliamo di basket infatti, è ingiusto dire che si lavori poco a livello giovanile. Lo dimostra lo splendido argento mondiale conquistato dall’U17 di Beppe Mangone (sconfitta solo dagli USA in finale), lo dicono società come Stella Azzurra, Bassano, e Borgomanero che lavorano quasi esclusivamente sul settore giovanile e lo fanno con serietà e professionalità, creando prospetti veri. Al femminile ancora meglio: bronzo agli Europei U16 l’anno scorso, bronzo a quelli U20 del 2022, doppio oro continentale U18 e U20 nel 2019, a significare che i nostri ragazzi e ragazze sono forti e sanno vincere.
Per non parlare del campionato, che ripropone la stessa finale da quattro anni con il dualismo Milano-Bologna, ma questo ha contribuito ad alzare il livello globale della Serie A e delle loro avversarie, che per stare all’altezza investono quanto possibile. Il problema non è la mancanza di giocatori, perché a conti fatti, ci sono. Ciò che manca è quel momento di passaggio dal mondo Under a quello senior, del professionismo di alto livello. Perché i giovani, in Eurolega, non giocano, e non è una situazione legata alle sole Olimpia e Virtus, ma all’intero torneo. Perché la necessità delle diverse società è di raggiungere playoff o salvezza, il livello è altissimo e non permette il minimo errore, ergo gli allenatori (indirizzati dalle proprietà) spesso preferiscono andare sull’usato sicuro – tante volte straniero – piuttosto che lanciare in pianta stabile un giovane di belle speranze.
La disfatta del pre-olimpico è figlia della malagestione
La tragica avventura portoricana ha ragioni abbastanza evidenti. A partire dalle assenze, che hanno lasciato la squadra senza il punto di riferimento offensivo, Simone Fontecchio, e due ottimi giocatori di corredo come Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, che hanno tolto al team possibilità di creare dal palleggio in un contesto abbastanza piatto, dove l’eccezione è stata Nico Mannion, unico parso in condizione di gambe, idee, forza e coraggio per provarci.
Coach Pozzecco ha ripreso il progetto cavalcato a Tokyo 2020, con uno starting-five fisso e una rotazione scontata. Scelta che, evidentemente, non ha pagato. Se guardiamo i singoli infatti, notiamo l’involuzione di Spissu e Polonara, l’enorme difficoltà a inserire due potenziali grandi addizioni come Abass e Petrucelli, così come quella di rendere Melli un fattore affidabile e costante in attacco. Per poi tornare sul discorso lunghi, con l’esclusione di Tessitori – unico vero centro di ruolo presente nel nostro panorama – che resta inspiegabile in una pallacanestro internazionale che propone centri di stazza e centimetri che dominino l’area pitturata. E infine la scelta di portare Bortolani e Caruso per non farli mai giocare, sprecando due slot avendo una rotazione a soli 10 uomini.
Se i singoli non sono stati all’altezza, di conseguenza non lo è stata la compagine nel complesso. Sono mancati l’approccio e la mentalità, aspetti che vanno in controtendenza rispetto alla personalità di Gianmarco Pozzecco. Come l’Italia di Spalletti, l’Italbasket ha peccato in fisicità, intensità, fame e questo va ricondotto al coaching staff, incapace di trasmettere agonismo e competitività, oltre che idee di gioco, perché la squadra si affidava di continuo al post-up di Gallinari e a qualche accelerazione di Mannion, poco altro.
Un rinnovamento troppo estremo
Uno snodo importante per il prossimo futuro potrebbe risiedere proprio in panchina, con Edoardo Casalone rimasto unico del coaching staff a tenersi una panchina importante in una squadra di Eurolega con la conferma all’Asvel. Il resto dello staff è composto da straordinari ex giocatori e assistenti di primo pelo, ma nessuno ha così tanta esperienza da capo allenatore per dirigere una spedizione (potenzialmente) olimpica. Pozzecco è un gran motivatore e sicuramente un elemento importante per uno staff, nel quale però forse dovrebbe essere preceduto da un coach di maggiore esperienza e solidità. Solo a Sassari è riuscito a concretizzare con la sua personalità un lavoro che altrove non lo ha esaltato e, a fronte di questa disfatta, dovrebbe essere fatta una riflessione. Discorso che vale per Poeta, che inizierà la sua strada da head coach soltanto a settembre con Brescia; Datome, che deve ancora trovare una direzione per il suo futuro e Fois, che ha sempre lavorato da assistente all’estero, a livello collegiale tradotto poi a player-development con i Suns, monti lontani dal nostro.
Sicuramente l’effetto wow iniziale, dello svecchiamento totale ripartendo da zero, è stato positivo e ha fatto riappassionare tantissime persone a Italbasket, ma quel tabula rasa è stato troppo estremo e ora, tornare indietro, è difficile. La soluzione potrebbe essere affiancare il Poz e Casalone a qualcun altro, che possa far rialzare la testa alla Nazionale in vista dei prossimi obiettivi, mantenendo la serenità e la voglia di vestire l’azzurro che l’attuale head coach sa trasmettere – come nessun altro – ma dando una bella limata ai concetti tecnici e all’atteggiamento. Un nome su tutti? Andrea Trinchieri!