Vai al contenuto

Immaginate di essere un lungo e muovervi come una guardia. Immaginate anche di essere una sorta di ballerino del parquet: finta da una parte, anche più di una, e canestro dall’altra, il tutto in un corpo di 213 centimetri per 116 chili. Questo e molto altro è stato Hakeem Olajuwon, soprannominato “The Dream”, il quale ha vinto due anelli ed è stato una leggenda degli Houston Rockets degli anni Novanta.

Alle origini

Houston, Texas. Torniamo indietro nel tempo, nel 1981, anno in cui un giovane ragazzo di belle prospettive si apprestava ad iniziare il college a Houston. Si chiama Akeem (o Hakeem, dal 1991, ovvero da quando si avvicinò all’Islam) ed è nato a Lagos in Nigeria. Fino ai 15 anni non toccò mai una palla da basket, ma solo una da calcio, con le mani per altro, dato che il suo ruolo era il portiere. La sua agilità e il suo atletismo, scoperti da Richard Mills, gli permisero di far parte, al college, della squadra di pallacanestro dei Cougars di coach Guy Lewis, la stessa di Clyde “The Glide” Drexler, con il quale condividerà lo spogliatoio anche in Nba.

Ma andiamo con ordine. Dal 1982 al 1984 Hakeem e il suo team (conosciuto come “Phil Slama Jama”) raggiunsero tre Final Four consecutive, senza mai però agguantare il bersaglio grosso (sconfitti prima dalla North Carolina di MJ e Worthy, poi da North Carolina State e infine dalla Georgetown di Pat Ewing). Nonostante questo, Olajuwon venne eletto giocatore più spettacolare della Ncaa nel 1983 e la sua strada verso la National Basketball Association risultò spianata: al Draft 1984, uno dei migliori di sempre, Hakeem venne scelto con la prima chiamata proprio dagli Houston Rockets, davanti a Michael Jordan (numero 3), Charles Barkley (numero 5) e, tra gli altri, John Stockton (numero 16).

Le Twin Towers e la prima finale

The Dream raggiunse ai Rockets un altro centro imponente, Ralph Sampson, 224 centimetri per 100 chili, formando una coppia di spessore sotto canestro. Nella prima stagione di Hakeem, 1984-85, Houston chiuse con 48 vittorie e 34 sconfitte la regular season, anche se poi ci pensarono i Jazz di Stockton a giustiziare i Rockets al primo turno di playoff. E Olajuwon concluse con una doppia-doppia di media per punti e rimbalzi già nel suo anno da rookie, sia in RS sia nella post-season.

E già al suo secondo anno nella lega agguantò le Nba Finals. Dopo aver battuto Kings, Nuggets e Lakers però, i Rockets si trovarono opposti ai Celtics, una squadra imbattibile e formata da giocatori del calibro di Larry Bird, Kevin McHale, Danny Ainge e Robert Parish. Nonostante la sconfitta per 4-2, il lungo nativo di Lagos fece una gran bella figura: 24.7 punti, 11.8 rimbalzi e 3.2 stoppate nelle sei gare disputate, ovviamente il migliore di Houston.

Il buio prima della luce

Giunsero successivamente anni difficili per i Rockets. Scambiato Ralph Sampson nel 1988, Houston non riuscirà ad andare oltre il secondo turno di playoff dal 1987 al 1994. Una situazione difficile, ma la dirigenza texana riuscì ad uscirne pescando tre giocatori di talento: Kenny Smith (dal 1990), Robert Horry (Draft 1992) e Sam Cassell (Draft 1993). Proprio nel 1993, furono ancora i Seattle Supersonics a sconfiggere i Rockets al secondo turno, prima della trionfale annata 1993-94.

Olajuwon disputò una stagione fantastica, culminata con la vittoria di tre premi individuali (Mvp regular season, miglior difensore e Mvp Finals) e soprattutto dell’anello, il primo personale e anche il primo della franchigia texana. Houston superò Portland, Phoenix, Utah e, nella finalissima, i New York Knicks del duo Pat Ewing-John Starks: il duello fra lo stesso Ewing e Hakeem rimarrà nella storia dell’Nba, senza se e senza ma. Una finale in cui New York sembrava destinata al titolo, anche perché, guidata in panchina da Pat Riley, si portò avanti 3-2 nella serie, prima che successe l’impensabile. Gara 5 (vinta dai Knicks), come abbiamo già raccontato su questi schermi, venne ricordata come la partita “che nessuno vide”, in quanto tutti erano focalizzati sulla fuga di O.J. Simpson, accusato di duplice omicidio. Nel sesto atto della serie, New York ebbe la possibilità di portare a casa il titolo, ma Starks, infuocato in quella partita (27 punti), sbagliò la tripla della vittoria, tiro forse anche stoppato da Olajuwon. E nella decisiva gara 7, i Rockets approfittarono della pessima prestazione del playmaker dei Knicks per agguantare il primo storico anello, in trasferta al Madison Square Garden. “Per Starks non ci fu lieto fine – scrisse Chris Herring nel suo libro “Sangue al Garden, la storia dei Knicks anni Novanta” – sbagliò gli ultimi tre tentativi di gara 7, terminando con un impensabile 2 su 18 dal campo e 1 su 11 da tre. (…) Houston vinse 90-84, conquistando la partita e l’anello che New York sentiva di meritare. I Knicks potevano sentire le urla festose dei Rockets attraverso le pareti degli spogliatoi”.

Back to back

E se i Rockets ottennero il primo titolo quasi da “underdogs”, in una serie finale che vedeva New York come la favorita, nella stagione 1994-95 Houston compì un vero e proprio capolavoro. Olajuwon, Horry, Cassell e Smith rimasero alla corte di coach Rudy Tomjanovich, il quale poté contare anche su un certo Clyde “The Glide” Drexler da metà febbraio, in arrivo da Portland in cambio di Otis Thorpe. Raggiunti i playoff, Houston batté in rapida sequenza i Jazz di Malone (3-2), i Suns di Barkley (4-3 col brivido), gli Spurs di Robinson (4-2) e, alle Finals, i Magic di Shaquille O’Neal senza difficoltà (4-0).

In tutto questo, Olajuwon risultò decisivo e impossibile da fermare. Chiuse a 33 punti, 10.3 rimbalzi, 4.3 assist e 2.8 stoppate di media i playoff 1995, risultando il miglior realizzatore in tutte e quattro le partite di finale contro Orlando (31 punti in gara 1 e gara 3, 34 in gara 2 e 35 in gara 4). Inutile dire che tali prestazioni gli valsero, per il secondo anno in fila, il titolo di Mvp delle Finals.

Il ritorno di Jordan e le Olimpiadi di Atlanta

Sua maestà MJ decise di lasciare la pallacanestro per il baseball, giusto nei due anni in cui Hakeem e i Rockets vinsero il back to back title. Una volta tornato però, Jordan e i suoi Bulls si ripresero lo scettro, ottenendo un altro Three-Peat, il secondo nell’arco di otto anni, lasciando a bocca asciutta tutte le altre squadre, tra cui Houston. Quest’ultima riuscirà a raggiungere le Western Conference Finals nel 1997, ma i ragazzi di coach Rudy Tomjanovich incontrarono sul proprio cammino i lanciatissimi Utah Jazz di Stockton e Malone. Pur con un Charles Barkley in più nel quintetto, i Rockets cedettero il passo agli avversari, così come al primo turno dell’annata successiva. Fuori al primo giro anche nella post-season 1999, la franchigia del Texas non raggiunse i playoff nelle successive due stagioni, anche perché Drexler e Barkley si ritirarono rispettivamente nell’estate 1998 e 2000. Olajuwon nel frattempo perse lo smalto dei tempi migliori (anche a causa di qualche infortunio) e scelse di chiudere la carriera a Toronto, stagione 2001-02.

Il Dream Shake

Il movimento prediletto di Olajuwon era il Dream Shake, una mossa cestistica quasi da ballerino, lui che era una sorta di guardia nel corpo di un centro. Sapeva muovere rapidamente i piedi, giocando con il cosiddetto piede perno, e poteva battere chiunque, persino dal palleggio. Il suo luogo di comfort era il post basso, nemmeno troppo profondo: con una finta disorientava l’avversario e poi si dirigeva dalla parte opposta, segnando in qualsiasi modo – schiacciata, jumper dalla media, appoggio in lay-up. In un’intervista alla rivista SLAM del 2013 è stato lo stesso Hakeem a spiegarci il suo modo di stare in campo. “È stato uno sviluppo del movimento di quando giocavo a calcio. Si è tradotto nella pallacanestro nella seconda parte della mia carriera, quando è diventato più istintivo. Quando il mio avversario non mi sta regalando nulla, la mia prima reazione è leggere quello che la difesa mi sta concedendo e prenderlo, quella è l’efficienza di un giocatore in grado di leggere quello che gli viene dato e prenderlo. Se mi dai un tiro in sospensione, lo prenderò; se diventi fisico, vado in testacoda; se sei indeciso, ti costringerò a impegnarti in qualcosa”. In poche parole, Hakeem considerava (e considera tutt’ora) la pallacanestro come uno sport intelligente, in cui da giocatore e anche da allenatore devi saper leggere le situazioni e, in un secondo, devi saper reagire a ciò che ti sta succedendo intorno. E lui, su un campo da basket, sapeva fare tutto questo e molto altro.

Un maestro del parquet

E proprio i movimenti sul parquet di Hakeem sono stati studiati nel corso del tempo da tantissimi atleti Nba. Kobe Bryant e Lebron James su tutti, ma anche Dwight Howard presero lezioni da Olajuwon per studiare e assimilare le sue movenze e il suo Dream Shake, per quanto fosse impossibile replicarlo nella stessa e perfetta maniera del lungo ormai ex Houston. Il nativo di Lagos si ritirò nel 2002 e verrà inserito nella Basketball Hall of Fame, oltre che nella lista dei migliori 75 cestisti Nba di tutti i tempi. È ancora oggi il miglior stoppatore della storia dell’Nba (3830 totali), oltre ad aver messo a referto 26.946 punti e 13.748 rimbalzi complessivi nel corso della sua gloriosissima carriera.