Quella che vi raccontiamo oggi è una storia di sport e di vita, che parte dalla terra della Puglia e arriva ai livelli più alti del basket mondiale: l’epopea di Gianluca Basile, per tutti Baso.
Primi calci… in strada
Nato a Ruvo di Puglia nel 1975, Gianluca era una bambino come tanti, che non amava particolarmente scuola e compiti, piuttosto stare in strada e giocare con gli amici. Bastavano due pietre, o due scarpe a fare da pali e un paio di scarpe ai piedi e via a dominare il quartiere con infinite partite di calcio, con il solo stop dettato dal brutto tempo o dal rumore delle moto dei vigili urbani, pronti a sequestrare il pallone scagliato di continuo contro garage e vetrine dei negozi.
Il calcio era un gioco per lui, nel quale non eccelleva: lo dissero anche al padre, che lo portò a forza a fare un provino al Bari calcio, convinto da appassionato che con un po’ di allenamento il figlio avrebbe potuto muovere passi importanti nel pallone. E invece non fu così, ma il Sig. Basile dovette affrontare in primis un’altra grana: a metà terza media infatti Gianluca non aveva più voglia di andare a scuola. Nonostante questo però portò a termine quella dell’obbligo, pur non senza faticare. Per lui le uniche ore di vero coinvolgimento erano quelle di educazione fisica.
A 15 anni l’illuminazione: il basket! Spinto sin dalle elementari dal suo insegnante Biagio Di Gioia – un cestista dell’A.S. Ruvo che gli metteva sempre la palla a spicchi tra le mani – Gianluca si innamorò di quello sport, tanto che il tragitto a piedi dalla palestra a casa diventò una simulazione continua di corsa, arresto e tiro. L’abbandono degli studi però portò Gianluca a lavorare col padre, che da contadino laureato faticava ad accettare che il figlio terminasse di studiare anzitempo.
Sveglie alle 5 e servizio militare
Costretto ad alzarsi all’alba per andare nei campi, Gianluca apprese la cultura del lavoro e il valore della fatica, trovandosi da adolescente a svolgere la vita ostica del contadino, pur immerso nell’aria salutare della sua Puglia. Constatò che forse la scuola non era poi così faticosa e, continuando a giocare a basket, trovò in quello la via di fuga da quel mondo così lontano dai suoi sogni. Il padre cercò di rilanciare con l’istruzione, portandolo in Brianza, terra di diversi istituti specializzati e al contempo dell’allora Clear Cantù, dove Gianluca fece un provino ma non venne preso, né lì, né a scuola. Tornato in Puglia Gianluca sapeva di dover scegliere una strada: sfondare nel basket o fare il contadino per la vita. Passarono tre anni, nei quali si spezzò la schiena sotto il solo nelle campagne delle Murge pugliesi, e pur di non continuare così decise di fare il militare (leva obbligatoria), capendo presto che avrebbe preferito il suolo del Carabiniere: posto fisso, stipendio sicuro e meglio pagato.
Nel frattempo col basket i risultati arrivavano, tanto che da Reggio Emilia qualcuno si accorse di lui: Virginio Bernardi, che insieme all’allora responsabile del settore giovanile Giordano Consolini stava costruendo la Reggiana neopromossa in A1. Decisero di puntare sul talento pugliese: vitto e alloggio più 200.000 lire di paghetta. Qualche mese prima della partenza però, mentre giocava in un camp estivo, Gianluca si ruppe il braccio. Il terrore di suscitare dei ripensamenti nei dirigenti reggiani era grande, così pur non essendo ancora perfettamente guarito, il giorno prima della partenza decide di sfilarsi da solo il gesso e da lì iniziò la sua avventura da cestista professionista.
Inizio difficile e quell’1v1 mancato con Andrea Meneghin
L’ambientamento al nord non era affatto facile per un 18enne pugliese mai uscito da Ruvo di Puglia. La vita in foresteria tosta, il livello cestistico molto più alto rispetto a quello del sud e non c’era giorno in cui Gianluca, guardando la sua carta d’identità con su scritto “bracciante agricolo”, non si chiedeva: “Ma che ci faccio qui?”. Eppure, dietro di sé, era sempre forte il sostegno della famiglia, che l’ha costantemente spinto a lottare, a migliorarsi, a crescere.
Lavorava tanto, si fermava in palestra più degli altri, per combattere quella sensazione di essere più scarso dei compagni. Carichi di lavoro che però il suo braccio, mai pienamente sistemato, mal sopportavano, tanto da causargli diverse fratture. All’ennesima ricaduta, la dirigenza emiliana lo spedì in pianta stabile nella squadra Juniores, per nulla convinta della scelta fatta su di lui. Sembrava che la sua avventura a Reggio potesse durare solo 12 mesi e quando la società di origine in Puglia chiese di completate l’intero acquisto del cartellino, la Reggiana parve pronta a liberare il suo posto in foresteria. Ancora una volta fu il padre a fare un passo per lui, sobbarcandosi la spesa del cartellino (allora 2 milioni di lire) regalandogli un’altra possibilità, rivelatasi poi vincente.
Così iniziò il suo secondo anno a Reggio Emilia, fatto di continui avanti e indietro da Firenze, perché nel frattempo era arrivata la cartolina di leva e Gianluca, che aveva fatto domanda per arruolarsi nell’Arma, dovette accettare. Tre mesi di naia a Chieti prima di essere trasferito nel capoluogo toscano, dove trascorse la maggior parte della stagione, nel disappunto della dirigenza reggiana. Baso sapeva che non gli sarebbe stata data un’altra chance, tantomeno voleva tradire la fiducia di suo padre e, ultima ma non meno importante cosa, sapeva che perdere questa opportunità avrebbe voluto dire tornare a faticare in campagna sotto il sole. Nonostante gli sforzi però Bernardi lo tenne ancora ai margini della squadra, senza mai farlo esordire tra i pro benché alla soglia dei 20 anni. Preferirono puntare su altri più presenti e gli proposero di andare in prestito a Chieti, ma lui non accettò. Dopo una salvezza all’ultimo nel 93-94, la Reggiana retrocesse nella stagione successiva, rischiando di fallire perché senza fondi.
Nel frattempo Basile ottenne un provino a Varese, dove coach Edoardo Rusconi restò impressionato. Nel ruolo di guardia però c’era già Andrea Meneghin, che Baso sfidò in 1vs1 per dimostrare il suo valore. Menego rifiutò il guanto, restando al suo posto, con Basile ancora alla Reggiana, che nel frattempo aveva affidato la panchina a Giordano Consolini, che a sua volta si fidò e affidò a tanti ragazzi del vivaio, tra cui Gianluca. Essere finalmente dentro il roster dell’A2 non bastava comunque al ragazzo pugliese, che si sentiva sempre inferiore agli altri, e allora lavorava più di loro, migliorando in ciò che i compagni sapevano fare meno. Corsolini era un sergente di ferro e Gianluca, abituato alla naia e al lavoro duro nei campi, tenne il passo, così come i suoi compagni e la Reggiana centrò un clamoroso terzo posto ponendo le basi per quello che sarebbe diventato uno dei cicli migliori di sempre.
Nella stagione 96-97 Basile raddoppiò il suo minutaggio triplicando i punti fatti, risultando decisivo per la promozione in A1, pur mantenendo la timidezza di sempre. Sul parquet era ormai il leader: con 80 punti in 4 partite guidò la squadra alla vittoria della finale playoff contro Gorizia, risultando immarcabile. Su di lui si accesero i riflettori delle due squadre bolognesi, pronte a prenderlo, così come grande attenzione su di lui la mise il Ct della Nazionale, Ettore Messina.
Il 30 dicembre 96 l’Italia giocò in amichevole a Livorno contro la rappresentativa della North Carolina, in cui militavano due future star NBA come Vince Carter e Antawn Jamison. Nonostante avesse giocato solo in A2, Messina convocò Basile all’ultimo momento al posto di Myers infortunato. L’Italia perse 74-81, ma quello fu l’inizio della lunga storia d’amore tra Baso e la Nazionale.
Nozze al volo e playoff
Gianluca decise di restare a Reggio Emilia, dove fu titolare fisso in A1 collezionando numeri pazzeschi: 13.2 punti e 4.3 rimbalzi di media, anche grazie all’intuizione del nuovo coach Dado Lombardi, che lo spostò in regia, ruolo che Gianluca aveva ricoperto da ragazzino. Fino all’ultima giornata Reggio rischiò la retrocessione, salvo poi espugnare il campo della Fortitudo Bologna accedendo addirittura ai playoff, dove la squadra si trasformò: agli ottavi eliminò l’Olimpia Milano e ai quarti affrontò la Benetton Treviso di coach Zelimir Obradovic. Arrivati a gara 5 sul 2-2 contro una squadra che quell’anno disputò le Final Four di Eurolega, realizzarono l’impresa grazie, guarda un po’, a Basile: 24 punti, 6 rimbalzi, 3 recuperi, 12/14 ai liberi con 11 falli subiti e passaggio in semifinale, dove incontrarono la Fortitudo. Nel mentre Gianluca trovò il tempo di sposarsi con la fidanzata Nunzia – con la quale aveva organizzato il matrimonio l’anno prima, non aspettandosi minimamente di arrivare a quel punto dei playoff. Tra gara 1 e 2 Baso prese un treno, scese a Ruvo, si sposò e rientrò a Reggio Emilia. Perse quella semifinale, ma si qualificò per la Coppa Korac, con Basile che da promessa diventò di fatto una delle grandi stelle del basket italiano.
Da qui fu un susseguirsi di emozioni e gloria, con quella timidezza sempre presente, ormai sopraffatta dalla fiducia e dalla convinzione di essere diventato un giocatore vero, di altissimo livello. I successivi 10 anni li passò alla Fortitudo Bologna, dove scrisse le pagine più importanti della storia del club, vincendo 2 scudetti da MVP nel 2004 e nel 2005. Anno, il primo, nel quale con la Nazionale ottenne il miglior risultato di sempre: l’argento olimpico in una squadra mitologica con Meneghin – che diventò suo grande amico nonostante quella sfida mancata da giovani – Pozzecco, Galanda e tutti gli altri campioni di quegli anni.
Barcellona e l’Eurolega
L’epopea di Gianluca Basile era nel suo miglior momento. Negli anni della F, oltre all’argento olimpico, mise insieme con la Nazionale anche l’oro agli Europei di Francia nel 1999, il bronzo a quelli del 2003 in Svezia e l’argento ai Giochi del Mediterraneo nel 1997, giocati nella sua Puglia, a Bari.
La sua fama ormai lo precedeva e anche all’estero si interessavano a lui, tanto che il Barcellona lo prese nel 2005, tenendoselo stretto fino al 2011. Anche con la maglia balugrana fece la differenza, vincendo 2 campionati spagnoli, 3 coppe del Rey, 2 supercoppe spagnole ma soprattutto l’Eurolega 2009-10, traguardo storico per lui e per la società catalana. Sei stagioni nelle quali Gianluca si dimostrò uno dei più forti tiratori di tutti i tempi – tutti ricordano il suo “tiro ignorante”, marchio di fabbrica dai tempi della Fortitudo -, chiudendo con due infortuni al quinto metatarso del piede sinistro che richiesero altrettanti interventi chirurgici e un’assenza di circa sette mesi dai campi.
Capo d’Orlando e il ritorno alle origini
Al termine dell’esperienza catalana Gianluca tornò in Italia, giocando un anno con Cantù, uno con l’Olimpia Milano e gli ultimi tre anni con l’Orlandina, firmando in Divisione Nazionale A Gold, che all’epoca era il secondo livello del campionato italiano, conquistando la promozione in massima serie. Un finale di carriera che l’ha visto scendere di livello ma restare un mito per tutti quei tifosi siciliani (e non) che insieme a lui hanno potuto raggiungere una storica Serie A, creando con Baso un rapporto che ancora oggi lui racconta con enorme affetto e che l’ha convinto a fermarsi in terra sicula, a vivere.
Alla fine di tutto, come a chiudere un cerchio, Gianluca Basile è tornato alla terra, non la sua, ma quella acquisita: la Sicilia. A fare cosa? Il contadino! Dopo averla inizialmente ripudiata e temuta, è tornato alla terra rincorrendola, riapprezzandola e godendosela in una quotidianità semplice e genuina. Oggi si dedica all’agricoltura, alla pesca (sua grande passione) e ad accudire cani randagi insieme alla moglie, facendolo con passione, impegnandosi di giorno in giorno in obiettivi nuovi e diversi, che non prevedono più la palla tra le mani ma che ugualmente lo attivano, fisicamente e mentalmente, trovando la felicità in ciò che lo fa stare bene.
La storia di Basile, uno dei più grandi giocatori della storia del basket italiano, è bella perché vera, dura, genuina, e dà spunto ai giovani che al giorno d’oggi vedono sacrificio e fatica come spauracchi dai quali discostarsi. Un esempio di come, con l’aiuto dei giusti compagni di viaggio (per il Baso furono i genitori), si possano affrontare le difficoltà mettendo anima e corpo nelle proprie passioni, sporcandosi le mani nella terra sapendo che quel sacrificio tornerà utile in qualsiasi momento.