Scrivere di particolari infortuni nella storia dei campioni della pallacanestro, non è mai una cosa semplice e se occorre ricordare i più impressionanti, diventa quasi un’impresa. Oggi ci occupiamo di quello terrificante occorso a Boban Jankovic.
Quelli un po’ più avanti con l’età lo ricorderanno bene, perché un infortunio, se così lo possiamo chiamare, di questa entità non può passare inosservato, non può non lasciare una traccia indelebile in coloro che videro quelle immagini.
Jugoslavia, terra di campioni
Abbiamo più volte parlato, in queste pagine, della terra dalla quale sono usciti alcuni tra i più talentuosi fenomeni del basket europeo, quella che copriva i territori dell’intera ex Jugoslavia.
Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia hanno contribuito, chi più chi meno, al consolidamento di tale enunciato ed è inutile citare i campioni che poi hanno fatto la storia del basket continentale e internazionale, in primo luogo perché sarebbero troppi e poi, pur provando a fare una cernita tra coloro che vengono ricordati più di altri, si rischierebbe di lasciarne per strada qualcuno.
Molti di essi arrivarono in Italia proprio nel momento in cui guerre tra le fazioni originarono il frazionamento in alcuni piccoli territori che ancora oggi non hanno messo fine alle loro diatribe.
Le origini di Boban Jankovic
Uno dei territori più fertili sotto il punto di vista della fioritura di tali talenti, è senza ombra di dubbio la parte centrale della Serbia, dove, tra gli anni 60 e 70 videro la luce per la prima volta un nugolo di giocatori destinati a regalare emozioni a milioni di appassionati di pallacanestro.
Boban Jankovic nasce a Lučani il 15 dicembre del 1963, originario di una delle innumerevoli famiglie che avrebbero dovuto lottare con il proprio destino per sbarcare pedissequamente il lunario.
Esattamente come migliaia di suoi coetanei, il passatempo preferito del piccolo Boban si rivelò ben presto un pallone arancione a spicchi da lanciare verso un ferro quasi sempre privo dello smalto rosso con il quale originariamente era uscito dalla fabbrica.
Eh, sì, erano comunque tempi abbastanza duri e, nonostante la pallacanestro fosse per molte di quelle parti una sorta di sport nazionale mai ufficializzato, i fondi per i materiali di prima qualità scarseggiavano.
Cenni della carriera
Non vogliamo trattenerci nel racconto stucchevole della carriera di Jankovic, ci limiteremo a informarvi del fatto che Sloby iniziò a giocare da semi professionista molto presto, a 17 anni circa, quando venne prelevato dalla Stella Rossa di Belgrado, dinastia cestistica tra le più nobili della storia del basket.
Era il 1980, quindi, quando il serbo cominciò la prima delle sue 10 fantastiche stagioni nella squadra di Belgrado, completata dall’ultima dopo il trasferimento momentaneo al Vojvodina di Novi Sad dove rimase per un solo anno, il 1991.
La parola fine della sua carriera in Serbia, arrivò all’inizio della stagione 1992/93 quando decise di provare un’avventura all’estero, esattamente al Panionios di Atene.
Quella terribile testata
In primavera, il 28 aprile del 1993 durante un accesissimo derby casalingo contro i cugini del Panathinaikos, Sloby e la sua squadra erano in vantaggio di 6 punti a circa 8 minuti dalla fine.
La squadra di casa aveva l’opportunità di volare sul +8 grazie a un sottomano di Jankovic, prontamente annullato dall’arbitro dell’incontro, Stelios Koukoulekidis, che ravvisava un’azione offensiva non regolamentare proprio nell’atto del “cameriere” del giocatore serbo.
Il giocatore del Pana che subì lo sfondamento, Fragkiskos Alvertis, fu inconsapevole e incolpevole vittima e carnefice allo stesso momento di uno dei momenti più tragici della storia della pallacanestro, quando osservò Jankovic scagliarsi violentemente sul supporto del canestro.
Era il quinto fallo del serbo che, a seguito di quel terribile gesto, rimase paralizzato per il resto della sua vita: l’impatto gli causò infatti la frattura della terza vertebra cervicale e una lesione del midollo spinale.
Le conseguenze
Quel terribile incidente portò, come un tragico domino, tutta una serie di conseguenze immediate.
Intanto, ovviamente, la vita cambiò immediatamente, fin da quando, a terra e con il volto insanguinato, Jankovic confessò disperato al suo dottore di non sentire le mani, di non poterle muovere.
Rimase per settimane in un letto di ospedale e la diagnosi arrivò praticamente subito: tetraplegia.
Meno immediata fu la decisione della ex moglie di abbandonarlo e la solitudine lo lancinò ancor più del dolore fisico.
Un figlio per tenersi in vita
All’epoca Vladimir, l’unico figlio dell’ormai ex coppia, aveva poco più di tre anni ed era letteralmente l’unica cosa che rimase a Slobodan.
Si aggrappò a lui, gli trasmise la passione per il basket e, ancora oggi, “Vlado” gioca ai massimi livelli del campionato greco, nel AEK di Atene, dopo aver girato tutta una serie di squadre, tra le quali lo stesso Panionios, il Panathinaikos ed il Valencia.
La vita di papà Slobo, dal momento dell’incidente, fino al giorno della sua morte, è proseguita sempre e soltanto in compagnia della pallacanestro, tanto che riuscì perfino a diventare un allenatore, prima di una squadra di atleti normodotati, nella quale allenò per un breve tempo anche il figlio e poi di una di basket in carrozzina.
L’infarto che interruppe il dolore
Diceva sempre che il rapporto con le persone che hanno la fortuna di camminare, non è mai facile, non sanno cosa significa non poter fumare una sigaretta da soli, non poter andare a letto se non grazie ad una imbracatura che lo trasferisce dalla sua carrozzina fin sopra il materasso.
Slobodan Jankovic esalò il suo ultimo affannoso respiro durante una gita in barca a Rodi, quando, ormai consumato dal sovrappeso e dall’ormai insopportabile dolore che non gli dava tregua, fu colto da un infarto che lo portò via il 28 giugno del 2006.
Negli ultimi anni della sua vita, Slobodan fu supportato da tutta una serie di amici giocatori che più di una volta organizzarono partite di esibizione per aiutarlo nel pagamento delle folli spese mediche.
Al funerale parteciparono campioni del passato come Rebrača, Paspalj e Fasoulis, altri tre amici che lo aiutarono tantissimo durante la sua sfortunata vita da tetraplegico.
Ancora oggi, durante tutte le partite casalinghe del Panionios, i tifosi gli dedicano un coro, un tributo, uno striscione.