La storia della pallacanestro professionistica americana è piena zeppa di giocatori che, dopo un inizio di carriera promettente, hanno disatteso tutte le loro speranze di diventare dei super campioni.
In questo articolo troverete tutto ciò che volete sapere di Ben Simmons, che siate i suoi più acerrimi detrattori, o i maggiori estimatori, o anche se, più semplicemente, vi piace l’idea di soddisfare la vostra insaziabile voglia di NBA.
Benjamin “Fresh Prince” Simmons
Come quasi tutti voi saprete, Ben Simmons nasce in Australia, a Melbourne nel 1996, è alto 211 Centimetri e pesa poco più di 100 Kilogrammi.
Gioca a pallacanestro da professionista nel ruolo di Point Guard, ma in più di un sito del settore troverete la dicitura “Playmaker” accanto al suo nome, anche perché, per quanto in disuso possa essere questo termine, gli allenatori passati da Philadelphia in questi anni, che poi alla fine sono 2, Brett Brown e Doc Rivers, gli hanno sempre assegnato la costruzione del gioco dalla metà campo sulla quale la squadra ha appena terminato il proprio possesso difensivo.
Ci sono tante ragioni per spiegare questo fatto, ma sul discorso tecnico ci ripromettiamo di tornare successivamente.
Poco prima dei 18 anni, Simmons si trasferisce con la famiglia in quel di Montverde, in Florida e comincia a giocare immediatamente nella squadra dell’omonima High School, dove vincerà immediatamente il titolo nazionale in finale contro i New Jersey’s Benedict’s.
Rugbista mancato
Figlio di Dave e Julie, Ben cresce con 5 fratelli, in realtà tutti fratellastri esclusa una sorella, Olivia, e pratica tutti gli sport più popolari in Australia.
Fa incetta di MVP in tutta la sua carriera nelle giovanili di Rugby e Calcio Australiano, scegliendo di dedicarsi anima e corpo alla pallacanestro, solo completato il ciclo della sua preadolescenza.
Il suo spirito fortemente agonistico e competitivo, lo ha portato a imporsi anche nei primi anni di college in Florida, durante i quali si mette in evidenza e proponendosi con prepotenza agli occhi degli osservatori che cominciano a far girare il nome di Simmons con una certa frequenza.
Il primo anno in NBA e la 1 al draft 2016
Non tutti sanno che Brett Brown, allora allenatore dei 76ers, è molto amico della famiglia Simmons e non furono poche le sopracciglia sollevate per l’insistenza del coach sulla scelta di Simmons alla 1 nel draft del 2016.
La pick più alta di quell’anno si rivelò da prima foriera di speranze e aspettative, visto che Simmons si mise in evidenza durante la Summer League di Las Vegas e, anche se il problema del tiro da fuori era già “carta conosciuta”, la capacità di creare spazio per i compagni, inserirsi in penetrazione e distribuire assist a larga mano, impressionò in modo che fu poi determinante.
In realtà la scelta si rivelò, col senno di poi, disastrosa.
I primi anni NBA
Poco prima dell’inizio della stagione, Simmons si rompe il quinto metatarso e, nonostante tutta una serie di cure e trattamenti, da un iniziale bollettino medico che parla di 4 mesi di assenza, in realtà l’australiano non giocherà nemmeno una partita.
Quella che in origine sarebbe dovuta essere la sua season da sophomore, diventa all’improvviso quella da Rookie e non va per niente male.
Simmons è tra i protagonisti dell’intera stagione, durante la quale i Sixers battono il record di partite vinte consecutivamente, ben 16 e lui si prende il premio di Rookie Of The Year chiudendo con 15,8 punti, 8,1 rimbalzi e 8,2 assist di media a partita, inanellando la bellezza di 12 triple-doppie.
Il suo secondo effettivo anno NBA ricalca sostanzialmente quello del suo esordio, ma ad osservatori e, soprattutto, tifosi, comincia quasi subito a non bastare più.
I problemi al tiro e oltre
A fine 2019 cominciano a venire a galla i problemi.
I Sixers, forti dell’ormai obsoleto “The Process” che non porta a casa alcun risultato tangibile, sono travolti dalle critiche e Simmons viene additato come uno dei principali responsabili dell’ennesima delusione della stagione, soprattiutto alla luce del mortifero tiro di Khawi Leonard sulla sirena che regalò la finale di Conference agli allora futuri campioni di Toronto.
Simmons gioca una serie del tutto insoddisfacente, andando una volta sola oltre i 20 punti, in Gara 6 vinta 112-101.
Per il resto una dimostrazione piuttosto avvilente di un gioco monocorde al quale tutti gli avversari di Philadelphia si adattano praticamente sempre.
Simmons non ha varietà nelle sue azioni d’attacco ed è piuttosto facile per le difese avversarie aspettarlo sullo smile per proteggere il ferro.
Manca la benché minima intenzione di provare il tiro da fuori, ma non si tratta di tiri dalla lunga distanza, si parla anche di mid range, arma quasi totalmente assente nell’arsenale dell’australiano.
Le ultime due stagioni le cose non vanno meglio e nemmeno il cambio di allenatore, con l’arrivo di Rivers, pare cambiare la situazione.
Tiri liberi e pigrizia
A fare da corollario a questa situazione già di per sé abbastanza spinosa, va aggiunto l’atavico problema di Simmons al tiro libero, che, a differenza di quello che succede per altri casi conclamati, non dipende da più o meno fantomatiche condizioni psicologiche, ma da una meccanica di tiro che cambia in modo sconcertante di mese in mese.
Il problema va analizzato sotto un punto di vista più ampio, poiché entrano in campo variabili altre, la più importante delle quali attaccamento alla maglia, che a Philadelphia cresciuta a pane e Allen Iverson, è molto più sentito di quanto si pensi e, soprattutto, l’impegno.
In tanti hanno messo in dubbio la professionalità di Ben Simmons, anche se il discorso rientra in una sfera leggermente meno “quantificabile” rispetto alle statistiche che vengono fuori dai tabellini di fine partita.
Agli sgoccioli?
All’indomani della sconfitta fatale in Gara 7 contro Atlanta, durante la quale Simmons ha segnato la miseria di 19 punti nelle ultime tre partite, è stato lo stesso giocatore australiano a fare mea culpa, parlando di “scarso apposto offensivo” e scusandosi con i tifosi dei Sixers.
Il problema è che le parole sembrano non bastare più, tanto che, in più di una occasione, coach Rivers, che ha preso la squadra all’inizio del 2020, è apparso piuttosto deluso dall’andamento della post season dei suoi uomini e, più in particolare, proprio del 25.
È notizia delle ultime ore la rinuncia ufficiale alla partecipazione alle Olimpiadi di Tokio con l’Australia per, a detta dello stesso Simmons, “migliore il pacchetto offensivo che posso produrre per aiutare la squadra“.
Queste parole denotano una situazione che questa volta sembra piuttosto grave ed è necessario, da parte della Point Guard, evitare di perdere ulteriore valore in quella che può essere una delle trade più interessanti della prossima pre-season, nel caso i Sixers si convincano a liberarsi dell’australiano.
In generale a Philadelphia non vorrebbero rompere il connubio costruito nell’arco degli anni insieme a Joel Embiid, ma occorre soffermarsi su cosa si può ottenere come contropartita.
Minnesota Timberwolves per aiutare KAT
Qualche giorno fa si è fatto pressante l’interessamento dei Minnesota Timberwolves, alla caccia di una figura di questo tipo per affiancare finalmente un giocatore di qualità a Karl Anthony Towns, in preda ormai a quelli che la stampa di quelle parti definisce “mal di pancia definitivi”.
Il centro dei Wolves vorrebbe competere per provare a vincere il titolo nei prossimi anni, cosa che con i compagni attuali è semplicemente utopia. Inoltre Malik Beasley, a prescindere dai suoi indubbi problemi caratteriali e nonostante un inizio di stagione promettente, non è sembrato il prospetto che si aspettavano in quel di Minneapolis e potrebbe essere una decente moneta di scambio, o almeno parte di essa, rispetto a ciò che potenzialmente chiederanno i Sixers per sostituire l’australiano.
Con Anthony Edwards, lo stesso KAT e/o D’Angelo Russell, l’innesto migliorerebbe non poco il proprio roster, ma non è difficile pensare che se l’affare dovesse essere condotto in porto, l’eventuale trade riguarderebbe anche altri giocatori, quasi sicuramente di altre squadre.
Intanto Ben ricomincerà a breve gli allenamenti, ma stavolta i miglioramenti dovranno essere tangibili.