Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Prototipo di atleta moderno
Da più parti, quando Giannis Antetokounmpo si è affacciato nel mondo della pallacanestro professionistica americana, si è letto, sentito, prospettato, che un atleta con quella conformazione fisica, quell’apertura alare, quel tipo di coordinazione, avrebbe posto in essere un lauto mix di questi esplosivi ingredienti, creando quello che a tutti gli effetti è il prototipo dell’atleta del futuro.
Ma, si badi bene, la pallacanestro, sport fisico per eccellenza, in cui caratteristiche fisiche come quelle del greco saranno poco meno che la costante degli atleti della nuova generazione, non è il solo sport nel quale i geni la faranno da padrone.
Lo si vede da anni nel tennis, lo si vede nel calcio ormai da decenni, lo si vede in alcune discipline dell’atletica leggera, .
La potenza sprigionata dalla propria massa muscolare e da una struttura scheletrica atta a sopportarla, è il primo cruccio che un buon allenatore di ragazzini si pone quando trova d’avanti quei diamanti rosa che possono avere un domani.
Ma se pensate che questo basti, tornate in un altro momento.
“Lavorate sodo per coronare i vostri sogni”
Quella che avete appena letto è una frase di marcatissimo stampo americano, dove il mito del successo, dell’emulazione verso chi ha raggiunto i traguardi migliori, sono veri e proprio sport nazionali, molto più che da noi, non solo in Italia, ma in Europa in generale, dove si tende a trovare il difetto, più che la magnificazione del gesto, della stagione, della carriera.
La pedissequa e maniacale testardaggine, atta a migliorarsi giorno dopo giorno, in palestra, nel tempo libero, coi compagni in aereo, il tempo dedicato al riposo ridotto all’osso, l’abitudine ad arrivare ben prima di chiunque altro e andare via insieme al custode delle chiavi della palestra, sono cose che alcuni dei predecessori di Giannis hanno mostrato a chiare lettere a tutto il mondo.
Immagino vi sia venuto il in mente il nome di Kobe Bryant, che, è inutile provare a negarlo in nome di una immaginifica mancanza di rapporto scrittore/lettore, è quello a cui pensava anche chi vi scrive.
Sono le stesse parole che Giannis Antetokounmpo ha pronunciato qualche minuto dopo il suo definitivo trionfo casalingo di mercoledì 20 luglio, prendendo ad esempio, quindi, alcuni dei suoi illustri predecessori.
La differenza che fa delle parole del greco un sunto di carica emotiva, pregno di un significato che va al di là del merito sportivo, sta tutta in un vocabolo: l’origine.
Una storia incredibile
Giannis Sina Ougko Adetokunbo nasce ad Atene il 6 dicembre del 1994, da mamma Veronica Antetokounmpo e da papà Charles, arrivati in Grecia dopo una traversata mitologica che ha avuto come punto di partenza la Nigeria, segnatamente Lagos, la parte più povera di Lagos, laddove il futuro è incerto, per utilizzare un eufemismo.
In Grecia la famiglia si allarga e Veronica dà alla luce, nell’ordine, Thanasis, Kostas e Alex, il più giovane della stirpe.
Il quartiere dove crescono i piccoli fratelli, non è certo borghese, e Giannis impara fin da giovanissimo cosa significhi spostare i propri piedini quando arriva il fuoco e non ti devi bruciare.
A Sepolia, infatti, tutti i piccoli aiutano fin da subito papà e mamma a vendere cimeli di ogni tipo per sbarcare il lunario in mezzo a mille difficoltà, genitori che, comunque, assicurano con fatica educazione, scolarizzazione e valori ai propri figli.
Il basket diventa il passatempo principale di Giannis, che, ben più maturo dei suoi 15 anni, vede nella pallacanestro una delle chiavi per provare a mettere in sesto la disastrata situazione economica familiare, ed è proprio nei primi anni della sua adolescenza che mette a frutto questo tipo di concezione, visto che viene immediatamente convocato ai primi raduni di una delle squadre professionistiche della città, il Filathlitikos.
È un successo. Giannis diventa un punto di riferimento della sua squadra aiutandola a vincere partite su partite e si comincia a chiacchierare parecchio sul futuro del “figlio degli immigrati”.
Il passaggio al professionismo
Passano pochi anni e, nel 2011, dopo aver segnato 50 punti in una partita di campionato, tutti capiscono che Giannino può sfondare, ma, soprattutto, lo capisce anche lui, quando il CAI Saragozza lo firma attraverso un contratto di 4 anni per 4 milioni di € a stagione.
Ma in Spagna, Antetokounmpo, non ci andrà mai, perché Milwaukee sa di poter mettere le mani su un prospetto dal futuro praticamente certo e fa carte false per averlo.
Il contratto rimane lo stesso, ma la prospettiva di giocare in NBA è troppo colorata di un azzurro limpido per lasciarsela sfuggire e Giannis Antetokounmpo diventa “The Greek Freek”.
Campione NBA
Il resto della carriera del greco non è un segreto per nessuno, anche perché l’attenzione mediatica per un giocatore che può cambiare le sorti di una franchigia che ha messo le mani sul suo unico titolo NBA nel 1971, diventa pressante.
Giannis ci va vicino per ben due volte, quelle delle stagioni del suo doppio titolo MVP, al termine delle quali, però, è forte la delusione per non aver mai potuto accedere alle Finals NBA, nel 2019 sconfitti dai Raptors, futuri campioni e nel 2020, fermati dai Miami Heat e dalla celestiale difesa di Spoelstra in Semi di Conference.
Ma quest’anno, al terzo tentativo, il vero e proprio esponente della new generation cestistica d’oltre oceano, è stato più forte di tutto e di tutti, dimostrando una forza mentale, ancor più che fisica, che gli ha permesso di superare l’ennesimo infortunio a pochi passi dall’obiettivo, quello che avrebbe rischiato di diventare un macigno pesantissimo per lui, la sua carriera e i Bucks.
Trionfo e passaggio di consegne
Se siete assidui frequentatori di queste pagine, saprete già che abbiamo già trattato in lungo e in largo l’argomento del passaggio di consegne tra i campioni affermati del mondo NBA, Lebron, Durant, Harden, il grande sconfitto di quest’anno, Chris Paul e il nuovo che avanza, rappresentato da gente dal futuro potenzialmente pieno di titoli MVP, come i “nostri” Luka Doncic, Nikola Jokic, e ancora Anthony Edwards, Ja Morant e Zion Williamson.
Antetokounmpo sembra rappresentare il perfetto trait d’union tra la vecchia e la nuova generazione e sarà uno spettacolo, un po’ come quello che sta succedendo nel tennis, assistere alla volontà dei Re del basket professionistico americano, che difficilmente vorranno abdicare a favore delle dispettose nuove leve.
E Giannis? Pronti a scommettere che la sua fame e la sua forza di volontà non si fermeranno, questo è certo.
Ma per mettere al dito altri anelli, sarà necessario un supporting cast almeno di pari livello, rispetto a quello di quest’anno.