La seconda metà degli anni ottanta ha avuto un solo protagonista assoluto nel mondo della boxe, Mike Tyson.
Dal suo primo incontro nel marzo del 1985, “Iron Mike” ha collezionato soltanto schiaccianti vittorie, riuscendo appena tre anni dopo a mettersi addosso tutte le cinture per i titoli WBA, WBC e IBF dei pesi massimi.
Questo per sottolineare come, nel momento in cui si è trovato sul ring contro James “Buster” Douglas, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di pensare a un esito diverso dall’ennesima netta vittoria del campione. E invece, le cose andarono in maniera decisamente diversa, forse non così casualmente.
L’ascesa del mito di Tyson
Con il senno di poi, sappiamo che difficilmente si può mettere Mike Tyson allo stesso livello dei grandi miti della storia del pugilato (probabilmente nemmeno a quello di Evander Holyfield che lo ha battuto per due volte su due).
Eppure la sua fama e popolarità ha raggiunto vette che raramente un pugile è riuscito a raggiungere. Una parte del merito va probabilmente ai suoi primi manager, Bill Cayton e Jim Jacobs, che sono stati molto abili nel riuscire a cucire attorno al personaggio una sorta di alone che i media hanno subito preso in carico.
Di materiale, Mike ne forniva a raffica, dominando gli avversari sul ring in maniera furiosa, con una potenza disarmante. Proprio un video con i suoi migliori K.O. girava tra gli studi della HBO, che comprese immediatamente la possibilità offerta a livello mediatico da quel classico “bad boy” che incarnava tutto quello che il pubblico voleva vedere. Sul ring e fuori.
Quando nel giugno del 1988, appena ventiduenne, spazza via Michael Spinks dopo appena 91 secondi del primo round (alla sua prima sconfitta dopo 31 incontri), Tyson è all’apice della sua carriera e può ormai vantare tutti i titoli della categoria dei pesi massimi.
E più ancora dei titoli, Iron Mike è una vera e propria “Star” anche fuori dal ring, non a caso sposandosi proprio in quell’anno con l’attrice Robin Givens (protagonista insieme a Eddie Murphy de “Il Principe delle donne”).
La cima della parabola
Ma proprio mentre tutto sembrerebbe andare a gonfie vele ed il mondo della boxe è pronto a festeggiare i nuovi record del campione, ecco che la parabola ascendente di Iron Mike, comincia a mostrare i primi segnali di una, inevitabile, caduta.
A dire il vero non sono in molti ad accorgersene in quel momento, ma qualcosa stava davvero cambiando, proprio prima di quel fatidico match contro Buster Douglas. A cominciare dal suo staff, che dopo aver perso Jacobs e D’Amato (sia il manager che il primo allenatore avevano perso la vita nel mentre), doveva fare a meno per problemi vari anche di Cayton e dell’altro allenatore, Kevin Rooney.
Al loro posto, a guidare gli interessi di Mike era arrivato Don King, che oggi conosciamo bene però per fare più il suo bene che quello del pugile. Non a caso proprio lui ha spinto per affidare le cure tecniche ad Aaron Snowell, non proprio una prima scelta (ma fedele allo stesso King).
Se ci mettiamo dentro anche il disastroso finale del matrimonio con la Givens (con tanto di denunce per violenza) e un Tyson decisamente fuori forma e “distratto” da ben altre esigenze (vedi le sue dichiarazioni sulle notte brave in hotel prima del match), ecco che quello che si presenta sul ring la notte dell’11 Febbraio 1990, è una timida copia di quello che aveva portato avanti 37 incontri tutti vincenti fino a quel momento (tra cui tutti gli ultimi sei per K.O.).
Il match al Tokyo Dome
Lo stesso incontro contro Buster, è stato organizzato in quel di Tokyo per attirare quanti più appassionati possibili al Tokyo Dome Live. In patria infatti, l’interesse per un match del genere era ormai scarso, visto che nessuno si aspettava di vedere più di una o due riprese tra i due (l’ultimo avversario, Carl Williams, era durato appunto poco più di novanta secondi), mentre era scontato vedere aumentare lo score del campione, arrivato a 37 vittorie senza nessuna sconfitta.
Tyson insomma, non era soltanto il favorito assoluto, ma si pensava di non assistere nemmeno a un incontro degno di tale nome. E questo non perchè James Douglas fosse un pugile particolarmente scarso, ma per l’appeal assoluto che i media erano riusciti a creare intorno ad Iron Mike, che dal canto suo non faceva altro che mettere a frutto tutta la sua potenza sul ring. Anche se non sempre con avversari di altissimo livello (per cui il suo strapotere risultava ancora più enorme).
Douglas dal canto suo, era un pugile onesto. Non particolarmente affine a “spettacolarismi”, nè alle luci della ribalta di questo sport. La sua strada del resto, doveva inizialmente essere quella di giocatore di basket (era un bestione di 192 centimetri, contro i 178 di Mike), ma su insistenza del padre (e forse proprio per stare di più con lui) aveva scelto di seguirne le orme sul ring.
Morale, uno score di 29 vittorie e 4 sconfitte fino a quel momento (e un pareggio). Non proprio le mostrine del fenomeno, ma da non sottovalutare comunque. Diciamo che tutti si aspettavano una rapida vittoria del campione, per godersi poi il “vero” spettacolo quando avrebbe inevitabilmente incrociato i guantoni con il pretendente numero uno per il titolo: Evander Holyfield.
L’epilogo a sorpresa
A differenza di Tyson però, Douglas si era preparato bene per quell’incontro e per quel specifico avversario. E le prime riprese ribaltarono subito l’interesse e le gerarchie. Douglas procedeva spedito con i suoi jab, evitando abilmente tutti i tentativi, lenti, di Mike.
Lo sfidante continuava a colpire, tanto che già al quarto round è proprio Tyson a doversi curare un occhio sinistro sempre più gonfio (si mormora che lo staff non avesse preso dietro nemmeno il ghiaccio tanto erano convinti non sarebbe servito).
La forza di Tyson è stata imbrigliata tutto il tempo, ma nonostante tutto è sempre lì, pronta a scatenarsi al minimo errore. Che arriva puntualmente, all’ottava ripresa, quando Douglas finisce a tappeto dopo aver ricevuto un colpo in pieno.
Tutti si aspettano il ritorno in scena del campione, ma invece a tornare in azione nella successiva ripresa, è ancora lo sfidante, più determinato ed arrabbiato che mai. Il conto dei round era fino a quel momento nettamente dalla sua parte, ma l’intenzione non era quella di controllare il match, ma di vincerlo.
Il momento fatidico arriva alla decima ripresa, con Douglas che mette a segno una serie di colpi consecutivi che mettono al tappeto il campione (per la prima volta nella sua carriera). Tyson è completamente stordito e malgrado il tentativo di rialzarsi, dovrà arrendersi. James “Buster” Douglas, è il nuovo campione del mondo.
La fine del sogno, per entrambi
Quel sorprendente match, ha segnato di fatto l’inizio della parabola discendente per entrambi. Da una parte Douglas non era minimamente abituato a quello stress e quella pressione, e infatti già nell’ottobre di quello stesso anno, il primo assalto di Holyfield contro Buster andò a segno, chiudendo alla terza ripresa per K.O. e prendendosi tutte le corone in palio.
Dall’altra anche per Iron Mike cominciarono tutta una serie di guai, dirette conseguenze delle scelte e delle azioni degli ultimi anni. Tra le accuse di violenza, il carcere e la gogna mediatica, il tempo di riprendersi il titolo WBC e WBA (contro Frank Bruno e Bruce Seldon), salvo poi perdere per due volte malamente contro Evander Holyfield (tra cui la seconda con l’onta della squalifica per il famigerato morso all’orecchio).
Malgrado altre sporadiche vittorie prima del definitivo ritiro, sul ring nessuno rivedrà più quel devastante pugile che aveva illuminato tutti nei suoi primi anni di carriera.