“Mentre io e Paul ci dirigevamo verso la panchina lo abbracciai. Più di quindici anni dopo il McDonald’s All-American Game, eravamo di nuovo compagni di squadra e pronti a mostrare a Boston e al resto del mondo cosa sapevamo fare”. La musica e il testo sono di Kevin Garnett che, nel suo libro “Senza Filtro”, ha speso parole di elogio per Paul Pierce, suo compagno di squadra ai tempi dei Celtics. The Truth, come venne soprannominato da Shaquille O’Neal, diventò il simbolo dell’anello conquistato da Boston nel 2008, lui che nel proprio vocabolario aveva scritto una sola parola: resilienza. Non mollò mai, anche quando i Celtics si ritrovarono in difficoltà dal 1998 al 2007. Non abbandonò mai la nave e per questo fu premiato, andando a formare con KG e Ray Allen (oltre che con Rajon Rondo e Doc Rivers) un trio quasi impossibile da fermare.
Da Inglewood a Boston
La storia di Paul Pierce iniziò ad Oakland il 13 ottobre 1977. È un destino beffardo quello che illuminò la strada di Paul, dato che il futuro All-Star dei Celtics crebbe ad Inglewood, in California, luogo in cui sorse il Forum dei Los Angeles Lakers, una franchigia che, nel corso della sua carriera, non riuscirà ad amare particolarmente. Eppure, Pierce frequentò la Inglewood High School e, addirittura, venne scelto per il McDonald’s All-American Game (1995), una partita adatta a pochi, ovvero alle migliori promesse liceali – con lui c’era anche un certo Kevin Garnett.
Il suo talento era palpabile, tangibile, tanto che la prestigiosa Università di Kansas gli mise gli occhi addosso e lo reclutò. Dal 1995 al 1998 indossò la casacca dei Jayhawks, laureandosi anche in criminologia e facendo perdere la testa agli scout Nba. Non c’erano dubbi a riguardo: Paul Pierce avrebbe fatto la storia della National Basketball Association, era solo questione di capire in che squadra sarebbe finito. Al Draft 1998 di talenti ce n’erano diversi, a cominciare da Mike Bibby e Antawn Jamison, passando per Vince Carter e Jason Williams, fino ad arrivare a Dirk Nowitzki. E alla numero 10 ecco Pierce, il quale venne selezionato dai Boston Celtics. Da Inglewood a Boston il passo è breve, così come quello per diventare un campione. E Paul era sicuro dei suoi mezzi.
Tra i grandi
I primi tre anni non risultarono semplici per Pierce e compagni, i quali, guidati in panchina da Rick Pitino (sostituito a metà dalla terza annata da Jim O’Brien), non raggiunsero i playoff dal 1998 al 2001. Nella stagione successiva però, i Celtics assaggiarono il palcoscenico della post-season per la prima volta dopo sette lunghissimi anni, proprio grazie al numero 34 e ad Antoine Walker: le vittorie ai danni dei Sixers e dei Pistons portarono Boston alle Eastern Conference Finals, sconfitti dai New Jersey Nets di Jason Kidd.
La strada intrapresa era quella giusta, dato che i Celtics si qualificarono ai playoff anche nei tre anni successivi, senza però ottenere successi di spicco. Nel 2003 Danny Ainge divenne Executive della franchigia dei Massachusetts, mentre nel 2005 Doc Rivers diventò capo allenatore di Boston, due arrivi che contribuirono alla creazione di una squadra da titolo. Pur non raggiungendo la post-season nel 2006 e nel 2007 (infortunio al piede per Pierce proprio nel 2007), Boston apportò alcuni cambiamenti al roster che cambiarono, in positivo, la storia dei biancoverdi.
Il soprannome The Truth
Correva l’anno 2001, specificatamente il 13 marzo, giorno in cui i Los Angeles Lakers e i Boston Celtics si diedero battaglia allo Staples Center per l’ennesima volta nel corso della loro storia, questa volta in una sfida di regular season. Saranno i gialloviola, guidati da Shaquille O’Neal e privi per l’occasione di Kobe Bryant, ad ottenere il successo per 112-107 – la stessa Los Angeles avrebbe poi vinto l’anello, il secondo del Three-Peat.
Paul Pierce chiuse quella serata a quota 42 punti, facendo registrare un dato clamoroso, ovvero 13 su 19 al tiro complessivo. Una prestazione che non passò inosservata, nemmeno agli occhi del suo avversario di giornata: Shaq, impressionato da Pierce, coniò il soprannome “The Truth” per il numero 34 in maglia biancoverde. Il centro dei Lakers disse ad un giornalista di prendere carta e penna e di segnarsi il nome di Paul Pierce. “Segnati questo: Io sono Shaquille O’Neal, e Paul Pierce è The Truth. Sapevo che era bravo, ma non mi aspettavo fosse così bravo. Paul Pierce è The Truth”. Una vera e propria consacrazione, arrivata dalle parole di quello che, all’epoca, era il miglior centro in circolazione.
Un evento shock
C’è un evento tragico che ha sconvolto la vita di Pierce e che, per fortuna, si concluse con un lieto fine. L’evento in questione risale al 25 settembre 2000, quando The Truth si apprestava a vivere la terza stagione nella lega.
Paul si trovava fuori dal Buzz Club di Boston: tutto ad un tratto scoppiò una rissa e l’ala dei Celtics subì undici coltellate – al collo, alla testa e alla schiena. In un attimo, gli passò davanti agli occhi tutta la sua vita. Il cuore e i polmoni erano in pericolo e Pierce venne portato e operato d’urgenza in ospedale. L’intervento riuscì alla perfezione e in tre giorni fu dimesso, un “miracolo” che gli permise di proseguire la sua carriera e, cosa ancora più importante, la sua vita. La verità più profonda è che quella rissa lo fortificò ancora di più, diventò resistente a qualsiasi tipo di dolore. Un fatto che lo portò fissare nella sua mente un obiettivo specifico: tornare al TD Garden e vincere un anello.
La gloria in maglia Celtics
Come anticipato, un paio di arrivi a Boston permisero ai Celtics di diventare una contender. Paul Pierce si decise a rimanere anche grazie a due nuovi rinforzi nell’estate 2007: Kevin Garnett, in uscita da Minnesota, e Ray Allen, in uscita da Seattle. Nacquero così i Big Three, ai quali si aggiunse anche Rajon Rondo, già presente dall’anno prima e abile a servire i compagni, oltre a metterli in ritmo. Talento da vendere, dedizione al lavoro e gioco di squadra: tutto quello che serve per vincere un titolo.
Su queste basi si impostò una mentalità vincente: 66 vittorie in RS, battute Atlanta, Cleveland e Detroit nei primi tre turni di playoff e Finals conquistate. Contro chi? I Lakers di Bryant naturalmente. The Truth prese per mano i suoi compagni nella serie finale (21.8 punti, 4.5 rimbalzi e 6.3 assist di media) e portò i Celtics alla vittoria dell’anello per 4-2 (in cui si ricorda soprattutto la decisiva gara 6, vinta da Boston al Garden per 131-92). Era il primo titolo per Pierce, che vinse anche il premio di Mvp delle Finals. Era anche il primo per i Celtics dopo ben 22 anni.
Boston non si ripeté nella stagione successiva, sconfitta dai Magic di Dwight Howard, poi finalisti. Ma nel 2010 si disputò il remake delle Finals di due anni prima: ancora Celtics contro Lakers, ancora i Big Three contro Bryant e soci. E questa volta la squadra di Doc Rivers si avvicinò all’anello, senza però conquistarlo. Avanti 2-3 nella serie, i Celtics di fecero superare dai Lakers sia in gara 6 sia in una combattutissima gara 7, vinta dai gialloviola per 83-79.
Lo scambio e la fine della carriera
La favola di quei Celtics e di quei Big Three si concluderà definitivamente con l’avvento dei Miami Heat targati Wade-James-Bosh. Il simbolo finale fu la sconfitta nel settimo atto delle Eastern Conference Finals 2012: a risultato (negativo) già acquisito, coach Rivers concesse una standing ovation ai suoi tre tenori, un segnale inequivocabile del fatto che quei Celtics avessero ormai fatto il proprio tempo.
Ray Allen fu scambiato a Miami nell’estate 2012, mentre il 28 giugno 2013 Pierce e Garnett finirono a Brooklyn in una trade che coinvolse otto giocatori in totale, più alcune scelte al Draft. Un anno ai Nets e poi in volo verso Washington, con cui The Truth agguantò il secondo turno dei playoff 2015, perdendo con gli Hawks per 4-2 (in quel frangente fu anche autore di un buzzer beater in gara 3 baciando il tabellone).
Nelle successive due annate si trasferì a Los Angeles, sponda Clippers, dove ritrovò il suo ormai ex allenatore Doc Rivers, compagno di mille battaglie. Il 5 febbraio 2017 tornò al TD Garden proprio indossando la maglia dei Clippers: una festa in cui il pubblico decise di tributargli un applauso caloroso anche al tramonto della sfida. Negli ultimi istanti di gioco, infatti, Pierce prese palla e infilò l’unico canestro da oltre l’arco della sua serata. Alzò il braccio al cielo, salutando un’ultima volta i suoi ormai ex tifosi. La franchigia del Massachusetts lo firmò per un giorno nell’estate 2017 in modo da farlo ritirare con la maglia che aveva onorato nel miglior modo nel corso della sua carriera. Una canotta, la numero 34, che venne ritirata dai Celtics.