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In campo sapeva fare tutto. Tirava e segnava quasi sempre, era abile a trovare i compagni con splendidi assist e aveva anche grandi doti di rimbalzista. Non accettava la sconfitta per nessun motivo, specie se la causa di tale delusione erano i Lakers, gli acerrimi nemici. Non parlava spesso e quando lo faceva era per effettuare del sano trash talking agli avversari. Aveva un’etica del lavoro smisurata, che lo portò a conquistare tre titoli Nba e tre premi di Mvp della Regular Season, senza dimenticare i due Mvp delle Finals e la medaglia d’oro a Barcellona 1992 con il Dream Team. Questo è stato Larry Bird, un “contadinotto” dell’Indiana, un atleta tanto riservato quanto spietato sul parquet.

L’inizio della leggenda

Larry nacque a West Baden Springs nel 1956, ma ben presto si spostò insieme alla famiglia nella vicina cittadina di French Lick. Crebbe in mezzo ai campi e alle pannocchie, tanto da definirsi “the hick from the French Lick”. Era molto legato ai suoi genitori, Georgia e Joe Bird, anche se, quando Larry aveva 19 anni, suo padre, già divorziato da Georgia, decise di lasciare la famiglia, percorrendo la via del suicidio a causa di problemi economici. “Ho sempre pensato che mio padre abbia fatto quello che doveva fare – ha spiegato Bird nel libro “Il Basket eravamo noi”, scritto da Jackie McMullan – È stata una sua scelta. L’unica cosa che gli posso rinfacciare è l’averci abbandonati. In un certo senso non c’era niente che potessimo fare. Aveva i suoi demoni, legati alla guerra, ma penso che avrebbe dovuto voltare pagina e andare avanti. Io l’ho fatto. Non mi guardo indietro spesso”.

Dal 1971 al 1975 Bird vestì la canotta della Spring Valley High School. Al secondo anno di liceo si infortunò alla caviglia, tornando per i playoff e mostrando tutte le proprie qualità. D’estate lavorava duro per provare a migliorare: al suo ultimo anno, cresciuto fino a 2.02 metri d’altezza, portò il suo team alle finali regionali, perdendo però contro la Bedford High School. Poco male, dato che le sirene del college iniziarono a suonare. Tentò prima ad Indiana University, ma, abituato alla calma della sua campagna, il contatto con così tante persone non lo mise a suo agio. Dunque, dopo essere rientrato a casa e aver trovato un lavoro come camionista, fu spinto dai suoi amici e parenti a riprovare. La seconda volta, ad Indiana State, fu quella buona: il suo talento guidò i Sycamores dal 1975 al 1979 e, in particolare, alla finalissima del 1979, persa contro la Michigan State di Magic Johnson.

Lo sbarco in Nba

Come tutti sanno, Larry Bird fu chiamato dai Celtics con la sesta scelta al Draft 1978 (prima, però, avrebbe dovuto concludere la sua esperienza al college) e vestirà la canotta numero 33 di Boston, poi ritirata, fino al termine della sua carriera. Quello che molti non sanno è che, chiusasi la sua stagione 1979 con la sconfitta in finale contro gli Spartans, i Celtics provarono a firmare Bird per le ultime otto gare della regular season Nba. Larry ci pensò e poi declinò gentilmente l’offerta: il suo obiettivo primario era quello di conseguire la laurea e adempiere agli obblighi universitari, tra cui effettuare un tirocinio alla West Vigo High School di Terre Haute, insegnando educazione fisica e diventando assistente allenatore della squadra locale di baseball.
Red Auerbach, leggendario general manager dei biancoverdi, dovette aspettare l’inizio del training camp per vedere Bird in maglia Celtics, per quanto una problematica estiva avrebbe potuto far saltare la trattativa. Il nativo di West Baden Springs infatti, oltre ad allenarsi a basket, giocava a softball quando capitava. Una sera, proprio mentre giocava a softball (insieme, per altro, a suo fratello), la palla lo colpì all’indice, il quale fece un movimento innaturale all’indietro, provocandogli un gran dolore. Avrebbe dovuto operarsi e, forse, non sarebbe mai guarito da quell’infortunio. In tutto ciò, Bird non aveva ancora firmato per Boston e quando Auerbach venne a sapere dell’incidente lo volle incontrare di persona a Boston per testarlo. Per fortuna i suoi jumper andarono tutti a bersaglio e Red scelse di firmare il nuovo asso dell’Indiana, il quale verrà visto come una sorta di salvatore in patria, anche perché i Celtics, nella stagione appena conclusa, avevano vinto solo 29 gare.

I tre titoli

Al primo anno nella lega dei grandi, Bird vinse in maniera schiacciante il premio di Rookie of The Year (63 voti contro i soli 3 per Magic), ma, di fatto, dovette accontentarsi di quel premio, dato che i Celtics furono eliminati al secondo turno e guardarono alla tv i Lakers prevalere sui Sixers.

Mentre Larry si allenava duramente in estate, Red Auerbach fu la mente che creò una squadra nuovamente vincente. Scambiando la prima e la tredicesima scelta con i Warriors in quell’edizione del Draft, si garantì le prestazioni di Kevin McHale e Robert Parish, i nuovi scudieri di Bird. Al termine di quella stagione (1980-81), il figlio di Georgia si accenderà il sigaro insieme ad Auerbach, segno di un altro titolo messo in bacheca, questa volta ai danni dei Rockets di Moses Malone (4-2 la serie finale), il primo per Larry.

Dopo l’addio di coach Finch e l’arrivo di Dennis Johnson, alle Finals 1984 la storia si ripeté, con i Celtics che si sbarazzarono proprio dei Lakers in 7 gare. Una serie in cui Bird fu nominato Mvp e in cui Magic Johnson non riuscì a risultare decisivo per i suoi (errore di valutazione nel finale di gara 2 e due liberi decisivi sbagliati in gara 4). Una vittoria che permise ad Auerbach di accendersi nuovamente il sigaro e che portò la città del Massachusetts a festeggiare tutta la notte. Uno scontro storico, al termine del quale i Lakers saranno definiti “Fakers” e “Magic” diventerà “Tragic”, insomma un’umiliazione che i gialloviola e il loro coach Pat Riley fecero fatica a digerire.

Nel 1985 e nel 1987 i gialloviola però si vendicarono e i biancoverdi furono costretti alla resa in entrambi i casi, lasciando agli avversari la possibilità di festeggiare l’anello. Nel mezzo, ovvero nel 1986, Boston raggiunse un’altra finale, vincendola ai danni dei Rockets per la seconda volta dopo quella del 1981. Inutile dire che fu lo stesso Larry Bird a guadagnarsi il titolo di Mvp delle finali, dopo aver ottenuto anche quello della regular season per tre anni di fila (1984-86).

La rivalità-amicizia con Magic

Larry e Magic esordirono in Nba il 12 ottobre 1979, il primo al TD Garden contro i Rockets, il secondo in quel di San Diego con i suoi Lakers. Si affrontarono 38 volte nella lega cestistica americana più importante e si incontrarono per ben tre volte alle Finals (19 gare totali).

Il profondo rapporto tra Larry e Magic iniziò per davvero nel 1986, quando i due parteciparono insieme ad uno spot della Coverse, loro sponsor, per promuovere una nuova scarpa (le “Weapon”). Una situazione del tutto particolare, dato che, all’epoca, i due sostanzialmente non si parlavano per via della loro rivalità e per via delle loro sfide in campo, anche alle Nba Finals.

Quando fu proposto loro questo spot, Larry decise di accettare, ma ad una condizione: le riprese si sarebbero dovute effettuare nel campo da basket di French Lick, a sua casa. Magic, contro ogni pronostico, accettò e il resto è storia. Quel modello di scarpe divenne subito un successo, grazie allo spot girato a casa Bird, e le Weapon andarono subito a ruba (soprattutto il paio bianconere, più facili da abbinare rispetto a quelle gialloviola). Quel giorno, Larry aprì le porte di casa sua e Johnson fu accolto da mamma Georgia Bird, la quale, tifosissima di Isiah Thomas, fu molto gentile nel servigli un delizioso pranzo. Magic conobbe anche i fratelli del suo rivale ai Lakers e, successivamente, i due iniziarono a parlare del più e del meno, prima di girare lo spot.

Diventeranno grandi amici nel corso della loro vita. Sarà lo stesso Magic a dire che non ci sarebbe più stato un altro Larry Bird nel futuro, un pensiero che fa capire la stima reciproca tra i due. Questi due atleti cambiarono l’Nba, la rivoltarono come un calzino, diventando i volti di un nuovo prodotto: dalla bancarotta, David Stern riuscì, con l’aiuto di Larry e Magic (e poi anche di Jordan), a risolvere i problemi economici della lega, trovando fondi e sponsorizzazioni. Eliminò nel tempo anche i problemi di droga tra i giocatori e rese l’Nba un mondo in cui era possibile fare affari, raddoppiando i profitti, anche grazie alla televisione via cavo. In tutto ciò, come anticipato, la rivalità tra Larry e Magic risultò essenziale anche per riportare i tifosi nelle arene.

Il ritiro e la nuova avventura

I problemi alla schiena e i numerosi infortuni condussero la stella dei Celtics alla decisione di lasciare la pallacanestro giocata, ma solo dopo aver conquistato l’oro alle Olimpiadi 1992. Una condizione congenita che lo accompagnò per buona parte della sua carriera, la causa che lo portò ad avere dolori e fitte continue prima, durante e anche dopo le partite. Larry però era un combattente e il più delle volte giocò sul dolore, rimanendo in campo anche quando qualsiasi altro essere umano sarebbe uscito per farsi medicare.

Bird intraprese la carriera da allenatore, ma solamente per tre anni e solo dopo essere stato assistente speciale dell’Executive Dave Gavitt a Boston (un’esperienza complicata che incrinò il rapporto con la franchigia che aveva amato). Dal 1997 al 2000, convinto dal presidente dei Pacers Donny Walsh, guidò Indiana da capo allenatore, un ritorno a casa particolarmente gradito anche dal pubblico. In quegli anni, Reggie Miller prese per mano i suoi Pacers e li portò a due Eastern Conference Finals consecutive (sconfitte contro i Bulls di Jordan per 3-4 e poi contro i Knicks di Ewing per 2-4), prima della finalissima persa nel 2000 contro i Lakers di Shaq e Kobe, i quali avrebbero poi vinto anche le due successive Finals per uno storico Three-Peat. Larry agguantò anche il premio di coach dell’anno nel 1998, anche se, al termine del 2000, scelse di lasciare la panchina di Indiana come promesso. Tornerà prima come President of Basketball Operations (2002) e poi come Executive (2011), rimanendo sempre un punto di riferimento per la sua casa, Indiana.