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Nel 2024, l’Italia del poker ha infranto un tabù durato 17 anni. L’autore dell’impresa è Simone Andrian, che lo scorso 9 ottobre ha vinto a Rozvadov il Main Event delle World Series Of Poker Europe, consegnando per la prima volta al Belpaese il braccialetto più prezioso della kermesse creata nel lontano 2007.

Il 31enne di Monfalcone (Gorizia) è una delle nuove stelle del poker italiano. Affacciatosi sulla scena del poker live nel periodo post pandemia, in solo quattro anni ha già collezionato grandi successi: due braccialetti WSOPE (2021 e 2024), un Main Event WPT Prime (Sanremo 2023) e un Main Event “national” dell’EPT (Summer Festival Malta 2023).

La sua storia, tuttavia, non è un caso isolato. Andrian appartiene infatti a quella generazione di “new kids on the block” del poker che si è formata su internet a grinding e GTO, per poi internazionalizzarsi con i tornei live e superare il quasi-blackout del mercato italiano. I nomi dei suoi colleghi sono noti agli appassionati. Parliamo di Enrico Camosci (grande amico di Andrian) e di Alessandro Pichierri, i due pionieri di questo gruppo che conta anche Fabio Peluso, Ermanno Di Nicola, Umberto Ruggeri e altri talenti. Per dare un’idea del loro impatto, basti pensare che i primi quattro hanno portato a casa, da soli, ben 7 braccialetti WSOPE per l’Italia.

Questa pattuglia azzurra attraversa compatta i principali circuiti mondiali di tornei dal vivo, continuando a regalare gioie ed emozioni ai tifosi del Belpaese. Merita quindi di essere seguita e conosciuta. Lo scorso dicembre, abbiamo incontrato Simone Andrian all’EPT di Praga, dove ci ha concesso l’intervista che trovate qui di seguito. Lo ringraziamo per la sua disponibilità e per aver condiviso con noi la sua esperienza.

Simone Andrian (credits RIHL)

Ciao Simone e grazie per la tua disponibilità. Per iniziare, ci racconti come hai scoperto il poker e quando hai deciso di trasformarlo in una professione?

Un saluto a tutti gli amici di PokerStarsnews.it. Seguivo programmi come Poker1Mania e Poker Italia 24, anche perché in quel periodo andavo ancora a scuola e passavo più tempo davanti alla TV che sui libri. È stato amore a prima vista, un interesse che negli anni successivi mi ha aiutato anche a orientarmi. A quel tempo, infatti, ero piuttosto confuso su quale strada intraprendere e su cosa volessi davvero fare. Per me era importante trovare qualcosa che mi appassionasse, ma questo rendeva difficile prendere una decisione. Quando ho scoperto il poker, mi sono detto: “Questo è perfetto, è esattamente quello che voglio fare!”

Riuscirci, però, non è stato semplice, soprattutto a causa di alcuni comprensibili conflitti familiari legati al gioco. I miei genitori avevano molte perplessità sull’ambiente del poker e dubitavano che potessi costruire una professione solida in questo campo. Nonostante tutto, non ho mollato. Dai 18 ai 23 anni mi sono dedicato al poker online, ma poi ho dovuto fermarmi per due anni perché la situazione in famiglia era diventata insostenibile. Ho ripreso a 25 anni, dedicandomi seriamente ai tornei, una specialità che fino a quel momento non avevo mai esplorato. Da lì è iniziata la mia carriera nel poker.

In meno di 4 anni sei andato a premio più di 50 volte nei tornei live, vincendo due braccialetti WSOPE, un ME Eureka (a Malta), un WPT Prime, solo per citare i tuoi risultati più importanti. Qual è la ricetta di questo successo così rapido e spettacolare? Quali pensi siano i tuoi punti di forza nel gioco?

Credo che la ricetta sia una sola, e gli ingredienti fondamentali sono tanto impegno, tanta pratica e un solido studio della teoria, che è imprescindibile per chi vuole approcciarsi seriamente al gioco. Senza una base teorica, devi fare affidamento su una grande capacità di sfruttare al meglio le debolezze del field, cosa che comunque richiede uno studio approfondito. Ma anche in quel caso, un minimo di teoria è necessaria, soprattutto per comprendere i range delle mani. Francamente, credo che oggi emergere nel poker senza uno studio serio sia estremamente difficile.

Sei il primo italiano che riesce a vincere un Main Event WSOP. Come hai vissuto quel momento? A pochi mesi di distanza, il primato che hai stabilito ti carica o senti la responsabilità di dover dimostrare ancora qualcosa?

Vincere quel titolo è sempre stato un sogno per me. Ricordo perfettamente quanto desiderassi un braccialetto, soprattutto agli inizi, quando gli appuntamenti WSOP erano meno numerosi e i titoli in palio più rari. Tuttavia, non voglio rimanere ancorato a quella vittoria. Non ho mai pensato di dover dimostrare qualcosa agli altri, ma solo a me stesso. La vittoria nel Main Event WSOPE è sicuramente importante, ma non cambia le mie motivazioni: continuerò a studiare e a competere ad alto livello, con tornei importanti, high roller, e lo faccio senza pensare di avere il braccialetto al polso.

Com’è stato il tuo percorso nel Main Event? E soprattutto, come sei riuscito a fare quel fantastico hero call che ha cambiato le sorti dell’heads-up?

Il Main Event è iniziato bene. Ho chiuso deep il Day1. Il Day2 è andato ancora meglio, mi pare di aver raggiunto la top 10. Anche la terza giornata è andata bene, fino al penultimo dove ho perso qualche pot e sono rimasto short. Alla fine ho imbustato 15 bui, ma per fortuna nel Day4 è arrivata una run incredibile che mi ha portato a 75bb. A quel punto ho trovato un field più morbido, con giocatori amatoriali sui quali sono riuscito ad esercitare una buona pressione e da lì sono arrivato senza troppi patemi fino all’heads up.

Il call con J5 è stato un buon bluff catch, anche se all’inizio ero incerto. Lui stava attaccando tantissimo, e non riuscivo a capire se stesse hittando tutto o se invece fossero quasi tutti bluff. Lì per lì ho pensato che non bluffasse abbastanza perché le statistiche che avevo su di lui indicavano questo. Alla fine, però, ho trovato la forza per il call ragionando principalmente in termini di frequenza e così ho capito che aveva bluffato molto anche in molti spot precedenti. Da lì in avanti mi sono adattato e alla fine sono riuscito a portargli via tutto lo stack.

Simone Andrian dopo la vittoria nel Main Event WSOPE 2024 (credits WSOP/PokerNews)

Grazie ai braccialetti WSOP(E) e al titolo WPT, puoi ambire al cosiddetto Triple Crown del poker. Ti manca solo un Main Event EPT per diventare il primo italiano a riuscirci: come si affronta un torneo di questo tipo?

Non sono sicuro di poter ambire al Triple Crown, perché mi pare che per il WPT conti solo il Main Event*. Però ci provo, è una motivazione in più! In merito al Main Event EPT, è sicuramente un bel torneo, con una struttura deep che favorisce le skills. In ogni caso, non affronto un torneo in maniera tanto diversa da un altro, piuttosto valuto le differenze tra i giocatori che mi trovo di fronte. Ad esempio, se sono in un HR/SHR tendo a essere più GTO oriented, perché so che i pro usano quell’approccio, mentre contro un player amatoriale non sarebbe altrettanto profittevole.

*NOTA. Simone Andrian ha vinto un Main Event ma del WPT Prime e non siamo certi che sia valido per il Triple Crown. Ci scusiamo per l’imprecisione

Superata la pandemia, il poker sta vivendo un nuovo boom: ritieni sia destinato a durare a lungo?

Il boom del poker live è reale, ma per quanto riguarda il gioco online ho qualche perplessità. I numeri sulle varie piattaforme stanno diminuendo, e credo che una delle cause sia l’eccessiva diffusione dei tornei mystery bounty, che “spalmano” troppo il montepremi, oltretutto in modo casuale. È un peccato, perché il poker online rimane una palestra fondamentale: consente di giocare e analizzare una quantità di situazioni che, nel live, richiederebbero mesi di partite per essere affrontate.

Se oggi un giovane venisse da te e ti dicesse “vorrei provare la carriera da poker pro”, cosa gli diresti? Quali sono i tuoi consigli per chi vuole tentare la “scalata”?

Gli direi che, se vuole davvero intraprendere questa strada, la possibilità c’è. Oggi, grazie ai programmi di studio, è possibile ottenere miglioramenti significativi in tempi relativamente brevi. Deve però esserci una forte passione alla base, perché giocare solo per soldi, prima o poi, porta a vivere male questa professione e, molto probabilmente, ad abbandonarla.

Il rischio più grande è quello di non sentirsi in equilibrio con la propria vita e con se stessi, senza considerare le numerose problematiche che possono emergere. Bisogna ricordare che è un lavoro piuttosto alienante, che richiede di trascorrere molte ore da soli davanti al computer: non è facile. Per questo motivo, ribadisco che la passione è davvero il primo elemento indispensabile!

Un’ultima domanda: dove ti vedremo impegnato nel 2025, almeno nei primi mesi?

Non ho ancora definito un piano completo per il 2025. Inizialmente pensavo di saltare Cipro a gennaio per dedicarmi allo studio, ma la cancellazione dell’EPT di Parigi mi sta facendo riconsiderare questa decisione. Penso quindi di andare a Cipro, posticipando la fase di studio a febbraio.

Parteciperò sicuramente agli altri EPT già annunciati, come Montecarlo e Barcellona, e ho in programma di essere a Las Vegas quest’estate. Per il resto, dipenderà dalla conferma di ulteriori tappe EPT, considerando che sia Cipro che Praga sono ancora in forse. Se queste dovessero saltare, prenderò in considerazione i tornei del WPT e le WSOP Paradise verso la fine dell’anno.

Immagine di testa: Simone Andrian (credits RIHL)

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