D-Wade non è mai stato un predestinato, non ha nemmeno mai goduto dei favori del pronostico e, anzi, spesso è stato sottovalutato. Nonostante ciò, ha continuato a lavorare in maniera maniacale per dimostrare a tutti che si sbagliavano e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Tre sono gli anelli che ha conquistato in carriera, uno dei quali, quello del 2006 al fianco di Shaq, si può considerare storico per il capolavoro che Flash è riuscito a realizzare nella serie finale contro Dallas.
Agli albori
Non deve essere facile quando nasci nei sobborghi di Chicago, un luogo decisamente poco sicuro degli Stati Uniti. Non deve essere facile specialmente se i tuoi genitori si separano qualche mese dopo che sei nato e tua madre entra in un pessimo giro di droga, tanto da finire persino in prigione (per fortuna, mamma Jolinda riuscì ad uscirne dopo diversi anni). Eppure, la storia di Dwayne Wade iniziò esattamente in questo modo, lui che nacque il 17 gennaio 1982 a Windy City. Verrà “accudito” dalla sorella Tragil, che lo portò a vivere con il padre, il quale utilizzò metodi abbastanza duri per educare Dwayne. Quest’ultimo entrò nella squadra della Richards High School di Oak Lawn, anche se il suo fratellastro Demetrius McDaniel sembrava più dotato di Flash. Dwayne praticò anche il football, ma nel suo ultimo anno di high school si mise in mostra soprattutto su un campo da basket, ricevendo anche offerte per il college, in particolare da Marquette, DePaul e Illinois State. Il suo rendimento a scuola era un problema e Wade, dopo aver scelto l’università dei gesuiti (Marquette) nel 2001, fu costretto a stare fermo proprio per colpa del rendimento di cui sopra.
Già nel 2002 sposò Siohvaughn Funches, dalla quale ebbe due figli, Zaire e Zion, anche se, successivamente, si separò dalla ragazza tramite un’intensa battaglia legale, prima di legarsi sentimentalmente a Gabrielle Union, attrice con cui si è sposato nel 2013. E le sue prestazioni sul parquet migliorarono decisamente al terzo anno di college, trascinando letteralmente Marquette ad una insperata Final Four (che mancava dal 1977), dopo aver eliminato la Kentucky dei grandi grazie ad una clamorosa tripla doppia (29 punti, 11 rimbalzi e 11 assist). Quella partita finì 83-69 e Wade, all’epoca compagno di squadra di Travis Diener, illuminò la scena anche con 4 stoppate, il tutto sotto gli occhi di Pat Riley. Gli Eagles cadranno poi in semifinale contro una Kansas infarcita di talenti (Keith Langford, Kirk Hinrich, Nick Collison), ma Dwayne si mise decisamente in mostra nel torneo, tanto che l’Nba bussò alla sua porta.
Il primo anello
Il Draft 2003 lasciò il segno, senza ombra di dubbio. Escluso Darko Milicic, scelto alla numero 2, quella edizione portò con sé una serie di talenti che avrebbero dominato l’Nba negli anni a venire. Oltre a Lebron James, Carmelo Anthony e Chris Bosh, uno di questi fu proprio Wade, chiamato con la pick 5 dagli Heat di Pat Riley.
Flash, come venne soprannominato, portò Miami ai playoff nel suo anno da Rookie (16.2 punti, 4 rimbalzi e 4.5 assist) e anche nella seconda stagione, il tutto con Stan Van Gundy in panchina. Due annate che però si fermarono prima al secondo turno (contro Indiana di Reggie Miller) e poi alle Eastern Conference Finals (contro i Pistons), ma la strada intrapresa era quella giusta, anche perché gli Heat avevano appena fatto firmare un contratto a Shaquille O’Neal. La sfida contro Detroit si ripresentò alle Eastern Conference Finals 2006 e questa volta, con Wade a pieno servizio, fu Miami ad uscirne vincitrice, battendo gli avversari per 4-2 nella serie.
E qui il miracolo. Nella finalissima del 2006, gli Heat si ritrovarono sotto 2-0 contro i favoritissimi Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Nel terzo atto della serie, i Mavs sembravano avere il controllo totale delle operazioni, ma qualcosa andò storto: avanti di 13 punti a poco più di 6 minuti dal termine, D-Wade entrò in modalità Mvp, mettendo a referto 15 dei suoi 42 punti nell’ultimo periodo – ben coadiuvato da Gary Payton. Miami vincerà quella e le successive tre partite, agguantando con le unghie e con i denti un titolo che sembrava perso nei primi 138 minuti della serie. A soli 24 anni, Wade vinse anello, il primo della sua storia e anche di quella degli Heat, e premio di Mvp delle Finals, letteralmente dominando (34.7 punti, 7.8 rimbalzi, 5.4 assist e 2.7 rubate di media). Era la rivincita, la prima, di un atleta fino a quel momento fin troppo sottovalutato.
La nazionale
Tra le innumerevoli gesta sul parquet di Wade non possiamo non ricordare anche quelle con la canotta di Team Usa. Due sono i bronzi conquistati da Flash, il primo alle famosissime Olimpiadi di Atene 2004 e il secondo ai mondiali in Giappone del 2006, in entrambi i casi una spedizione considerata fallimentare per la squadra a stelle e strisce. E poi l’oro nel 2008, quello tanto sudato quanto fortemente voluto: il Redeem Team, in cui figuravano anche i nomi di Lebron James e Kobe Bryant, conquistò Pechino senza perdere nemmeno una partita. La finalissima, vinta contro la Spagna, fu da consegnare ai posteri, con Wade che fece il bello e il cattivo tempo, ergendosi ad eroe in un primo tempo in cui Lebron e Kobe ebbero problemi di falli (ve l’abbiamo raccontata qui).
I Big Three e altri due titoli
Nonostante qualche infortunio di troppo, Flash vinse anche il premio di capocannoniere dell’Nba nella stagione 2008-09, segnando ben 30.2 punti a partita. Shaq però partì nel 2008, direzione Suns, e gli Heat non riuscirono più a superare il primo turno di playoff fino al 2010, estate in cui Chris Bosh e soprattutto Lebron James presero la decisione di unirsi a Wade a South Beach. Il resto è storia (ne abbiamo parlato anche qui), con gli anelli sfuggiti nel 2011 (proprio ad opera dei Mavericks) e nel 2014 (ad opera degli Spurs) e poi riconquistati nel 2012 (ai danni di OKC) e nel 2013 (ai danni degli stessi Spurs, dopo una battaglia durata 7 gare). In tutto questo Dwayne Wade, da grande campione, si adattò alla nuova squadra, rendendosi utile e passando il testimone allo stesso James, il tutto per conquistare i titoli di cui sopra. Una scelta che, di fatto, lo rese ancora di più un giocatore leggendario, se mai ce ne fosse bisogno dopo l’anello del 2006. In queste quattro stagioni, infatti, passò dai 30.2 punti a circa 20 di media, permettendo a LBJ (e anche a Bosh) di attuare una crescita essenziale per raggiungere il trono dell’Nba.
La chiusa
L’addio di James e i problemi fisici di Bosh (ritiratosi ufficialmente nel 2017) portarono ad una sorta di ricostruzione a Miami. Gli Heat saltarono l’appuntamento con i playoff nelle successive due stagioni, prima di tornarci nel 2016, sconfitti dai Raptors al secondo turno. È l’ultimo sussulto di Wade in maglia Heat, anche perché Dwayne, in quella stessa estate, firmò con i Bulls, sostanzialmente a casa sua, a Chicago, dove tutto era partito. Un paio di anni, poi il passaggio ai Cavs, prima del ritorno a Miami: un ultimo ballo (2018-19) che sancì la definitiva chiusura di una carriera immensa.
L’ultimo match della carriera di Flash, disputatosi a Brooklyn, lo vide grande protagonista, di fronte agli occhi di alcuni suoi grandi amici: Lebron James, Chris Bosh, Carmelo Anthony e Chris Paul. Una clamorosa tripla-doppia (25 punti, 10 rimbalzi e 11 assist) in un match perso dai suoi Heat contro i Nets: un ultimo grande show da parte di Wade, il cui ultimo assist utile per raggiungere la tripla-doppia ebbe come destinatario Udonis Haslem, suo compagno a Miami per 14 anni. Un’ultima sceneggiatura da premio Oscar.
La maglia numero 3 di Wade è stata ritirata dagli Heat e non poteva essere altrimenti. Il nativo di Chicago è stato anche inserito nella Basketball Hall of Fame 2023, oltre a far parte della lista dei 75 giocatori migliori di sempre dell’Nba. Riconoscimenti meritati per un giocatore che ha lasciato il segno e ha vinto praticamente tutto quello che c’era da vincere. Ed è addirittura stato omaggiato di una statua in suo onore al di fuori del Kaseya Center di Miami, anche se le fattezze del volto non ricordano propriamente la leggenda degli Heat. Poco importa, anche perché Wade ha deciso di godersi il momento, lui che è partito dal basso e, col duro lavoro e con un talento immenso, è arrivato a toccare il cielo.