Il suo arrivo sul circuito sollevò l’asticella di potenza e velocità di gioco, ma la sua abilità tecnica lo rendeva e lo rende secondo praticamente a nessuno. Eppure di Pete Sampras non si è mai parlato abbastanza, per il suo essere estremamente schivo e per l’arrivo dei Big 3, che ha un po’ offuscato l’incredibile luce portata al tennis dalla stella di Pistol Pete.
Alle origini di Pete Sampras
Chi segue il tennis da molti anni saprà che Pete Sampras è nato a Washington da genitori di origine greca ed ebraica. Lui stesso, da bambino, frequentava regolarmente la chiesa greca ortodossa e questo aspetto della sua cultura familiare ha certamente avuto un’influenza sulla personalità e sul carattere. Forse saprete anche che trovò per caso una racchetta in cantina all’età di tre anni e da lì iniziò a colpire la palla, come poi non avrebbe mai più fatto quasi nessun altro. Dopo che la famiglia si trasferì in California, i primi allenatori di Pete ebbero una notevole influenza sul suo futuro stile di gioco.
A Robert Lansdorf si deve quel dritto micidiale e così personale, oltre all’impostazione da classico giocatore da serve & volley. Tuttavia, molti di voi forse non sanno che Sampras inizialmente giocava con il rovescio bimane, e fu un altro allenatore – Peter Fischer – a convincerlo a cambiare idea. Con Fischer, Pete guardò un numero indefinito di video di Rod Laver, idolo di una vita di Sampras e con il quale riuscì anche a giocare una partitella, quando aveva 11 anni.
Quando il mondo scoprì Pistol Pete
Il mondo scoprì Pete Sampras ai primi di settembre del 1990. Aveva compiuto da poco 19 anni e si ritrovò ai quarti dello US Open da testa di serie numero 12, contro una leggenda vivente come Ivan Lendl. Il giovane Pete si era già fatto notare per aver superato Thomas Muster in quattro set agli ottavi, ma l’austriaco era troppo poca cosa su cemento per potere essere definito un test probante. Lendl, che a Flushing Meadows centrava almeno la finale da otto anni consecutivi (con tre vittorie), lo era eccome.
Pete partì a mille andando avanti di due set, Lendl reagì vincendo i successivi due, ma la freschezza e la clamorosa potenza dei colpi di Sampras lo portarono al 6-4 finale.
Su Telepiù, Rino Tommasi e Gianni Clerici già si erano innamorati di questo ragazzo che andava in controtendenza con quanto accadeva nel circuito, dove il top spin dettava sempre più legge. I suoi colpi erano invece piatti e, anche grazie a una struttura fisica che forse era il suo vero segreto oltre al talento, sprigionavano una potenza inaudita. A questo si aggiungeva un servizio potente e affidabilissimo e un gioco di volo a livello dei migliori di sempre.
Se ne accorse John McEnroe, fermato in quattro set in quella che sarebbe stata la penultima finale Slam in carriera. Va detto che Big Mac aveva a sua volta incantato in quell’edizione, ma la spregiudicata giovinezza di Pistol Pete era semplicemente troppo per lui.
In finale si trovò di fronte Andre Agassi, nel primo dei 34 episodi di una rivalità che sarebbe divenuta epica. Il predestinato, al tempo, sembrava proprio Agassi, mentre Sampras vi arrivava ovviamente più da outsider, ma il campo ribaltò tutto. Le accelerazioni clamorose di Pete tolsero certezze e fiducia a uno dei più grandi ribattitori del circuito, e il punteggio discendente 6-4 6-3 6-2 ben fotografava un dominio totale. Poi Agassi avrebbe a sua volta trovato le contromisure per contrastare il rivale. Alla fine, il bilancio tra i due è terminato con 20-14 in favore di Pistol Pete.
La ricerca dell’equilibrio, poi il dominio
La vittoria improvvisa proiettò Sampras nell’olimpo, ma mentalmente il ragazzo non era ancora pronto a dominare con costanza. Del resto, parliamo di quello che è ancora oggi il più giovane vincitore di US Open nella storia e l’ottavo più giovane di sempre in uno Slam, con i suoi 19 anni e 15 giorni.
Dopo qualche anno interlocutorio in cui dovette domare la potenza “ignorante” di Courier, gli ultimi fuochi della classe di Edberg, la pervicacia di Becker e lo stato di grazia di Stich, Pete Sampras iniziò a dominare il circuito, inanellando vittorie e record. Andre Agassi, che pure aveva avuto un percorso similmente accidentato di maturazione, diventò l’unico rivale che a tratti riusciva a contrastarne lo strapotere.
Per il resto, la sua carriera ha parlato chiaro: i suoi 14 Slam erano qualcosa che nessuno era mai riuscito a mettere insieme, nell’era Open. Il tennista più dominante, fino a quel momento, era stato Roy Emerson con i suoi 12 titoli, tutti però prima dell’era Open.
E che dire dei 7 Wimbledon? Fino a quel momento, vi era riuscito soltanto William Renshaw, ma parliamo di preistoria vera (l’ultimo nel 1889). L’erba londinese era il terreno perfetto per rendere ancora più letali servizio e dritto di Pistol Pete, e la straordinaria abilità nelle volée completavano un arsenale impareggiabile.
Quello che rende davvero Pete Sampras il primo dei moderni, nonostante una impostazione sostanzialmente classica, è il connubio tra classe tennistica e atletismo, che in Sampras ha forse avuto la miglior sintesi di sempre.
Il dritto più letale della storia
Nel video qui sotto si vede un’analisi del suo dritto, che ne spiega bene la particolarità e l’unicità. La mano sinistra appoggiata al collo della racchetta fino a poco prima dell’apertura e poi a preparare e agevolare il movimento di torsione del corpo, l’impatto incredibilmente piatto con la palla, l’armonia del busto che riversa sulla palla tutta la potenza della muscolatura di Pete, il rilascio alto. Uno spettacolo…
Il servizio e il gioco di volo
L’altra grande arma di Pete Sampras, autentico apriscatole del suo gioco, era il servizio. Anche qui, la struttura muscolare dell’americano era essenziale per farne, insieme a un movimento e una tecnica perfetti, un’arma letale, un punto di riferimento incrollabile. Al di là della potenza e delle varietà di soluzioni, l’aspetto più incredibile della battuta di Sampras era la sua spaventosa affidabilità. Tutti i tennisti hanno momenti no, oppure giornate in cui sentono poco feeling con la palla, e Sampras non faceva certo eccezione in questo. Tuttavia, il servizio era sempre lì a dargli una mano quando serviva. Un dato su tutti lo dimostra: in carriera, Pete Sampras ha tenuto il servizio nell’88,9% dei game giocati. Solo pochissimi big server vantano numeri superiori, come ad esempio John Isner con il 91,8%. Tra i big 3, solo Roger Federer ha chiuso la carriera con la stessa percentuale di Sampras, mentre Nadal ha chiuso con l’85,5% e Novak Djokovic ha al momento tenuto l’86,1% dei game in battuta.
Il gioco di volo era poi la ciliegina su una macchina perfetta. Tra i pochissimi attaccanti a non patire differenze di rendimento tra volée di dritto e di rovescio, riusciva ad arrivare a rete con una posizione del corpo quasi sempre perfetta, nonostante il gioco fosse già profondamente cambiato rispetto ai canoni classici.
Perché Pete Sampras ha smesso così presto
Un’altra caratteristica che rende unico Pete Sampras è il suo addio. Chiudere la carriera vincendo uno Slam è il sogno di tutti i grandi campioni, ma solo lui ci è riuscito. Era l’8 settembre del 2002 e Pistol Pete vinse il suo quinto US Open (e 14° Slam in carriera) battendo Andre Agassi 6-3 6-4 5-7 6-4. Allora Sampras non lo sapeva ancora, ma quello sarebbe stato anche l’ultimo match della sua carriera.
Con i canoni odierni, e vedendo quanto sono durate le carriere dei Big 3, ritirarsi a 31 anni sembra davvero presto. Eppure, per un giocatore in cui l’atletismo giocava un ruolo così importante, le continue sollecitazioni a schiena e articolazioni avevano sicuramente prosciugato le riserve energetiche di Pete Sampras.