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Se Reggie Miller avesse segnato la tripla in gara 4 delle Finals 2000 contro i Lakers la storia sarebbe cambiata e ci sarebbero state grandi possibilità di titolo per i Pacers, come aveva ricordato all’epoca il telecronista di Tele+ Flavio Tranquillo. Purtroppo per Indiana, quel tiro prese solo il primo ferro e i Pacers, così come lo stesso Miller, rimasero a bocca asciutta, sconfitti per 4-2 nella serie dal duo Shaq-Kobe. Lo sappiamo, con i se e con i ma non si fa la storia, per cui ci dobbiamo concentrare solo su quello che è stato e non su quello che sarebbe potuto essere: Reggie Miller, il re di Indiana, pur senza anello. Numerosi ricordi balzano alla mente, uno su tutti gli 8 punti in 16 secondi messi a referto al Madison Square Garden contro i Knicks del regista Spike Lee nel 1995. Un tiratore mortifero che, quando si accendeva, era letteralmente impossibile da fermare. Benvenuti al “Reggie Miller Time”.

Le prime difficoltà e la scelta di UCLA

Miller non partì con i favori del pronostico, dato che nacque con una deformità all’anca, un difetto congenito che lo portò a dover utilizzare dei tutori per le gambe. Un inizio di vita non semplice e molti, medici compresi, si stavano chiedendo quando e se avrebbe potuto togliere questo apparecchio per l’assistenza. Nel frattempo, i suoi fratelli e sorelle eccellevano in diversi sport: la sorella Cheryl giocava anche lei a basket (campionessa Ncaa per due anni di fila), il fratello Darrell si era dato al baseball (raggiungendo anche la MLB), mentre la seconda sorella Tammy si dedicava alla pallavolo. Insomma, una famiglia di sportivi, in cui lo stesso Miller sarebbe potuto essere l’unico, per i problemi di cui sopra, a non praticare nessuno sport. Invece, all’età di 5 anni, Reggie si “libererà” dell’apparecchio di assistenza e la sua vita chiaramente cambiò in meglio. Era comunque magro e gracile, per cui era difficile pensare che sarebbe potuto diventare una leggenda della National Basketball Association. Eppure, passo dopo passo, riuscirà a raggiungere un obiettivo che, per la maggior parte dei comuni mortali, resta impensabile.

Nato a Riverside (California) il 24 agosto 1965, Miller frequentò la prestigiosa UCLA dal 1983 al 1987, quattro anni in cui riuscì a mettersi decisamente in mostra. A tal punto che i Bruins decisero di ritirare la sua maglia numero 31 e i Pacers, nel Draft 1987, scelsero di aggiungerlo al proprio roster.

L’entrata in Nba

Non tutti ad Indiana furono d’accordo nello scegliere Reggie Miller con la chiamata numero 11 al primo round, specialmente i tifosi più accaniti dei Pacers. Questo perché si rese eleggibile in quella edizione del Draft anche Steve Alford, eletto Indiana Mr. Basketball nel 1983 e campione Ncaa proprio nel 1987 con la maglia, pensate un po’, degli Indiana Hoosiers di Bob Knight. In Nba però Alford riuscì a disputare solo tre stagioni, per la maggior parte con la canotta dei Mavericks, senza lasciare il segno – lo stesso che, al contrario, lascerà Reggie Miller. Quest’ultimo, dicevamo, venne chiamato dalla lungimirante dirigenza dei Pacers e nel primo anno ad Indiana partì una sola volta in quintetto base (10 punti e 2.3 rimbalzi di media).

L’adattamento tra i grandi proseguì serrato: Miller passò da 10 a 24 punti di media in due stagioni, diventando definitivamente il giocatore di riferimento della squadra, anche perché poteva contare su un tiro da tre punti di cui in pochi si potevano vantare negli anni Novanta.

La rivalità con i Knicks e il trash talking

Nel corso degli anni la guardia tiratrice dei Pacers divenne un maestro nel cosiddetto trash talking, riuscendo a far deragliare, a livello mentale, qualsiasi avversario, anche perché nella metà campo offensiva rispondeva trovando quasi sempre il fondo della retina. E gli anni Novanta sono anche conosciuti per una rivalità sportiva che vide opposti Pacers e Knicks, due squadre che spesso si ritrovarono a fronteggiarsi ai playoff.

Dal 1990 al 1999 Indiana non raggiunse la post-season solo in un’occasione, ovvero nel 1997, e sfidò New York per ben cinque serie ai playoff, con risultati alterni. I Knicks si imposero al primo turno nel 1993, alle Eastern Conference Finals del 1994 e del 1999, mentre i Pacers superarono gli avversari nel 1995 (4-3 al secondo round) e nel 1998 (4-1 sempre al secondo turno). In generale, Miller si caricò sempre la squadra sulle spalle, aiutato anche dal lungo olandese Rik Smits, un centrone di 223 centimetri entrato in Nba nel 1988. Per altro, nel 1997 Indiana venne condotta in panchina da un’altra leggenda vivente, Larry Bird, che andò a sostituire un altro Larry, al secolo Brown.

Miller, soprattutto nelle serie contro New York, diede spettacolo, come successo in gara 5 delle Eastern Conference Finals 1994. Al Madison Square Garden, New York ebbe la possibilità di portarsi in vantaggio 3-2 nella serie, un’occasione ghiotta proprio di fronte agli occhi attenti del proprio pubblico e dell’attore Spike Lee, fan sfegatato dei Knicks. Invece Reggie decise che era venuto il momento di fare sul serio: mandò a bersaglio 39 punti totali, con i Pacers che vinsero la partita per 93-86 dopo essere stati sotto 61-72 (ma non la serie, battuti in gara 7). Nello specifico, Miller realizzò 25 punti nel solo ultimo periodo, con 5/5 da tre punti e un trash talking continuo, soprattutto in direzione di Spike Lee a bordo campo. Il gesto delle mani al collo, con cui idealmente stava soffocando la resistenza degli avversari, diventò iconico ed è ricordato ancora oggi.

7 maggio 1995

E poi un altro capolavoro. Gara 1, semifinali di Conference al Madison Square Garden. La storia si ripete, i Knicks sfidano gli ormai acerrimi rivali dei Pacers. E Miller è decisamente carico. Sotto di 6 punti a circa 18.7 secondi dal termine della partita, Indiana si affida al suo condottiero, che si prende le luci della scena in maniera nemmeno troppo “gentile”. Miller realizza la prima tripla direttamente dalla rimessa laterale per accorciare, inizia una scarica paurosa. Poi New York pasticcia sulla rimessa da fondo e regala palla ancora a Reggie: due passi indietro e di nuovo tripla scagliata e mandata a bersaglio. Il dramma si sta consumando al Madison, nel teatro dei sogni. La parità è servita. I Knicks sbagliano ancora e Miller segnerà anche gli ultimi due decisivi punti, chiudendo con 31 a referto, 8 dei quali negli ultimi 16 secondi. “È il tipo di ragazzo che, quando giochi contro di lui, vuoi schiaffeggiarlo – ha detto all’epoca Pat Ewing, il suo rivale – Ma quando giochi con lui, gli copri le spalle. Avete il massimo rispetto per lui. È uscito, ha giocato duro e ha fatto quello che doveva fare per aiutare la sua squadra a vincere… Abbiamo avuto le nostre battaglie, abbiamo avuto le nostre guerre. Ho il massimo rispetto per lui”.

Finalmente le Finals

A cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo secolo, i Pacers raggiunsero le tante agognate finali. Il gruppo di coach Larry Bird chiuse la stagione regolare a quota 56 vinte e 26 perse, per poi imporsi nella post-season ai danni di Bucks, 76ers e Knicks, prima del grande ballo contro i Los Angeles Lakers. Questi ultimi erano guidati dal duo Bryant-O’Neal e nel roster figuravano anche i nomi di Harper, Rice, Fisher, Fox e Horry, insomma una squadra sostanzialmente impossibile da battere. Nonostante gli sfavori del pronostico, Indiana fece sudare fino in fondo gli avversari, anche perché Miller viaggiò a 24.3 punti di media in queste Finals.

I Lakers vinsero i primi due atti della serie grazie ad un O’Neal incontenibile (43 punti la prima, 40 la seconda), ma i Pacers si aggrapparono a Miller (33 punti) e Jalen Rose in gara 3, agguantando un successo essenziale. In gara 4 però, pur senza Shaq (6 falli), fu Kobe Bryant a decidere il match, nonostante un Miller encomiabile da 35 punti finali: sul 120-118 a 5 secondi dal termine, Indiana ebbe un’ultima possibilità di vittoria e il tiro se lo prese, in uscita dai blocchi e da oltre l’arco, la guardia tiratrice nativa di Riverside. La parabola sembrava perfetta, ma colpì il primo ferro e Los Angeles poté celebrare così un’altra vittoria nella serie, questa forse la più importante. Anche perché, dopo il successo nel quinto atto da parte di Indiana, i Lakers chiuderanno i conti nella decisiva gara 6, vinta per 116-111 allo Staples Center.

Per i tre anni successivi Indiana, guidata in panchina da Isiah Thomas, si fermerà sempre al primo turno dei playoff. Nella stagione 2003-04, quella che vide l’arrivo di Rick Carlise come capoallenatore, un ultimo sussulto (Eastern Conference Finals, sconfitti dai Pistons), prima che la famosa rissa a Detroit dell’annata successiva compromise l’ultima stagione della carriera di Miller, ritiratosi nel 2005.

2.560 tiri da tre punti segnati, 25.279 punti totali in carriera e soprattutto 18 stagioni in Nba tutte con la stessa maglia, senza dimenticare la medaglia d’oro ad Atlanta 1996 con Team Usa. Un Campione, con la C maiuscola, a cui è solo mancata la gioia di un anello, per quanto verrà ricordato come uno dei più grandi di sempre, specie come tiratore.

Come detto, Miller concluse il suo straordinario viaggio a Detroit, in gara 6 del secondo turno dei playoff, match in cui mise a referto 27 punti in 33 minuti di gioco all’età di 40 anni. Riavvolgendo il nastro, un evento balza all’occhio: pur essendo stato avversario di mille battaglie, Reggie è stato omaggiato con una standing ovation dal pubblico dei Knicks alla sua ultima partita al Madison Square Garden, con annesso abbraccio a Spike Lee, avversario di trash talking direttamente dalla prima fila (chiuse la sfida con 13 punti).

E sempre nel tempio della pallacanestro a New York, sarà lo stesso Miller, ormai diventato telecronista Nba, ad osservare con i propri occhi il record raggiunto da Steph Curry, il quale ha superato ormai due anni fa Ray Allen come miglior tiratore da tre punti di tutti i tempi. Inutile dire che Miller, la cui maglia numero 31 venne ritirata dai Pacers, verrà inserito anche tra i migliori 75 giocatori di tutti i tempi, oltre che nella Basketball Hall of Fame nel 2012.