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La franchigia della Florida può vantare già 3 titoli vinti e 6 apparizioni alle Nba Finals nei suoi quasi 37 anni di storia, sicuramente un bel traguardo per un team relativamente giovane. Tanti sono i campioni passati da South Beach, uno su tutti Dwayne Wade, al quale gli Heat hanno recentemente dedicato anche una statua (dalle sembianze per la verità bizzarre), senza dimenticare una figura di riferimento come quella di  Pat Riley. Andiamo dunque ad analizzare gli anelli ottenuti da Miami, dopo avervi raccontato nelle precedenti puntate quelli agguantati da Celtics, Lakers, Pistons e Bulls.

Gli inizi

La nascita dei Miami Heat, come expansion team, risale al 1988, lo stesso anno in cui furono fondati anche gli Charlotte Hornets. Miami, guidata da coach Ron Rothstein, vinse solamente 15 partite nella prima stagione della propria storia (1988-89), per poi aumentare progressivamente il numero dei successi, diventati 38 nel 1991-92 e 42 nel 1993-94 – in entrambi i casi sconfitta al primo turno di playoff, rispettivamente contro i Bulls e gli Hawks. Tutto questo fu reso possibile anche grazie al contributo di Glen Rice, scelto con la chiamata numero quattro al Draft 1989 e che nel 2000 vincerà anche un titolo con i Lakers. Dal 1994 però la musica iniziò a cambiare, a partire dai vertici alti: la famiglia Arison acquistò la franchigia e Dave Wohl diventò executive degli Heat.

La controversa firma di Pat Riley

A South Beach sbarcò anche coach Pat Riley, non senza questioni legali annesse. Stanco dell’aria di New York dopo quattro stagioni (dove aveva portato la squadra ad essere una vera contender), Riley iniziò a guardarsi attorno e venne attirato dalle sirene di Miami. L’ormai ex allenatore, tra le altre, anche dei Lakers, era in buoni rapporti con l’imprenditore Dick Butera, il quale avrebbe voluto rilevare gli Heat, in quel momento in vendita – e Riley lo avrebbe seguito volentieri nel caso in cui Butera avesse comprato la franchigia. Le quote di maggioranza invece andarono, come detto, a Micky Arison (presidente della Carnival Cruises Line), con quest’ultimo che, prima di un partita alla Miami Arena tra Heat e Knicks del 16 febbraio 1995 (regular season), riuscì incredibilmente a scambiare due chiacchiere con l’allora allenatore dei Knicks Pat Riley, chiedendogli se fosse interessato a parlare. Il rapporto tra il front office di New York e Riley continuava a deteriorarsi e i Knicks quell’anno uscirono in gara 7 contro i Pacers alle Eastern Conference Semifinals: quella partita sarà l’ultima di Riley sulla panchina di New York. La sera stessa Pat telefonò a Butera, il quale chiamò il proprietario degli Heat, Micky Arison, spiegando quale fosse la richiesta pecuniaria del coach per allenare a Miami: 50 milioni di dollari per 10 anni, un’enormità per l’epoca, ma che verrà accettata.

E qui il fatto principale. Riley rassegnò le dimissioni ai Knicks il 15 giugno 1995, anche se aveva ancora un anno di contratto con New York, il che significava che se un’altra franchigia avesse avuto la volontà di contattare l’allenatore, avrebbe prima dovuto chiedere ai Knicks. Miami non lo aveva fatto e New York intentò e vinse una causa per tampering, ottenendo dagli Heat la prima scelta del 1996 e quattro milioni di dollari. Poco male per Miami: il 2 settembre 1995 Pat Riley diventò il nuovo capo allenatore degli Heat.

I nuovi Miami Heat

A South Beach, oltre a Riley, giunsero anche il lungo Alonzo Mourning nel 1995 (via Glen Rice, scambiato agli Hornets) e Tim Hardaway nel 1996, un duo che fece le fortune di Miami in quegli anni. Addirittura, nel primo anno insieme portarono il team a vincere 61 partite in regular season e fino alle Eastern Conference Finals, sconfitti dai Bulls (1-4). Insomma, gli Heat risultarono ben riconoscibili sulla “cartina” dell’Nba, trasferendosi anche dalla Miami Arena all’American Airlines Arena nel 1999, anche se del titolo non si vedeva ancora l’ombra. Nel 2003 Riley abbandonò la panchina, sostituito da Stan Van Gundy. D’altro canto, Miami scelse Dwayne Wade al Draft, in una delle edizioni più incredibili di sempre – Lebron James pick 1, Carmelo Anthony pick 3 e Bosh pick 4. Con l’arrivo di Wade, ma anche di Odom e Haslem, la storia della franchigia cambiò per sempre, anche perché nel 2004 giunse in Florida Shaquille O’Neal.

Il primo anello

Pat Riley diventò presidente degli Heat e, nella stagione 2005-06, subentrò a Stan Van Gundy in panchina. Un evento essenziale, come gli arrivi di Gary Payton e Jason Williams agli Heat (e il ritorno di Mourning), in una stagione regolare che Miami chiuse a quota 52 vittorie e 30 sconfitte. La cavalcata ai playoff si rivelerà trionfale: battuti i Bulls al primo turno (4-2), i Nets al secondo (4-1) e i Pistons alle Eastern Conference Finals (4-2), gli Heat pescarono alle Finals i favoritissimi Dallas Mavericks. I Mavs, guidati da Nowitzki e Jason Terry, vinsero da pronostico le prime due partite, portandosi in vantaggio per 2-0 nella serie e aumentando notevolmente le proprie chances di vittoria.

Poi successe l’impensabile. In gara 3 Dallas conduceva agilmente su una Miami in assoluta difficoltà e intravedeva la possibilità di agguantare un 3-0 che avrebbe avuto il sapore di un ko tecnico. Invece Dwayne Wade prese per mano la squadra ed entrò nella leggenda, realizzando ben 42 punti totali: un’onnipotenza cestistica che permise al gruppo di coach Riley di vincere la partita di due lunghezze (98-96). Il tiro decisivo in quella gara lo segnò però Payton, fino a quel momento silente, prima che Wade chiudesse definitivamente i conti dalla lunetta e in fase difensiva. Quella spinta permise a Miami di dominare anche gara 4 (98-74 con altri 36 punti di Wade), per poi ottenere il successo anche in gara 5 (100-101) e gara 6 (95-92), decisamente più combattute. Nel quinto atto della serie per altro fu ancora il numero 3 degli Heat a segnare i due liberi della vittoria, arrivando a quota 43 punti, mentre nella decisiva gara 6 nessun colpo di scena, con i Mavs che non riuscirono a trovare il fondo della retina per il pareggio. Al suono della sirena, Wade lanciò il pallone in aria dalla gioia: Miami era campione per la prima volta nella sua storia e molto del merito fu proprio del numero 3 degli Heat, autore di una serie finale in cui mise a referto 34.7 punti, 7.8 rimbalzi, 5.4 assist e 2.7 rubate di media.

I Big Three

Erik Spoelstra sostituì in panchina Pat Riley all’inizio della stagione 2008-09. Miami era in assoluta ricostruzione, anche perché, dopo l’anello, numerosi infortuni falcidiarono il team a partire dalle punte di diamante e dunque la società decise di effettuare degli scambi. L’estate del 2010 risultò fondamentale in questo senso, dato che Chris Bosh e soprattutto Lebron James scelsero di portare il proprio talento a South Beach, unendosi all’estro di Wade e formando un nuovo talentuoso trio. Proprio nell’annata 2010-11, Miami raggiunse le Finals, ancora una volta contro i Dallas Mavericks. In questo caso però, i valori delle squadre erano opposti, dato che, ad essere favoriti, erano gli Heat di coach Spoelstra. Il destino beffardo volle che a vincere l’anello fossero i Mavs di Dirk Nowitzki, cinici e spietati in una serie vinta per 4-2. A Miami piovvero critiche dopo la sconfitta, con i big three subito messi al patibolo.

Passò una sola stagione prima che gli Heat tornassero alle Nba Finals, un’annata chiusa a 46 vittorie e sole 20 sconfitte in Regular Season. Ai playoff Lebron James si scontrò con fantasmi del suo passato: alle Eastern Conference Finals infatti, Miami si trovò sotto 3-2 nella serie contro i Boston Celtics e tornarono a galla le paure di un’altra annata fallimentare. Invece LBJ guidò i suoi in gara 6, realizzando 45 punti al TD Garden con annesso successo, prima della decisiva gara 7 in cui a vincere saranno ancora gli Heat. Alle Finals questa volta l’avversario furono i giovani ma terribili Thunder, guidati da Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden, anche se la serie risultò a senso unico (4-1), con Miami che, pur perdendo gara 1, vinse il secondo anello della propria storia.

I Big Three si erano appena consacrati e, grazie anche alla firma di Ray Allen, riuscirono a tornare alle finali anche nelle successive due stagioni, sempre contro lo stesso avversario: i San Antonio Spurs. Sotto 3-2 nella serie del 2013, Miami rischiò di capitolare definitivamente, quando gli Spurs di Duncan, Parker, Ginobili e Leonard raggiunsero anche i 10 punti di vantaggio all’inizio dell’ultima frazione. A 10 secondi dal termine fu ancora San Antonio a condurre (95-92) ed è qui che entrò in scena il genio di Ray Allen: James sbagliò la tripla, Bosh catturò forse il rimbalzo più importante della sua carriera e cedette la sfera ad Allen, il quale si posizionò oltre la linea dei tre punti. Il resto è storia. La tripla, ovviamente, andò a bersaglio e gli Heat vinsero poi al supplementare, prima di concludere la pratica nella decisiva gara 7, agguantando il back to back, nonché il terzo anello della propria storia. “Nessuno può segnare questo tiro se non si chiama Ray Allen”, sentenziò il telecronista di Sky Sport Flavio Tranquillo. Neanche a dirlo, aveva ragione.

Nel 2014 invece Miami capitolò alle Finals, questa volta in maniera netta. Gli Spurs, con Leonard Mvp, lasciarono solo le briciole agli avversari, vincendo gara 4 e gara 5 rispettivamente di 21 (107-86) e 17 punti (104-87). Fu la fine dei Big Three e l’inizio di un nuovo rebuilding per Miami.

Le ultime Finali raggiunte

Un flash forward ci porta direttamente alle finali 2020, quelle della bolla di Orlando. In una stagione decisamente particolare, gli Heat si compattarono e, sulle ali di Jimmy Butler (ma anche di Tyler Herro e Bam Adebayo), superarono i Celtics in semifinale (4-2), prima di raggiungere i Lakers alla finalissima. Butler disputò una serie a dir poco clamorosa (saranno 40 i suoi punti nella vittoriosa gara 3 e 26.2 di media), ma dall’altra parte Lebron James ed Anthony Davis, entrambi con 25 o più punti realizzati ad allacciata di scarpa, fecero la voce grossa, sigillando il diciassettesimo titolo dei gialloviola (4-2). Attualmente il team guidato ancora da coach Spoelstra vuole provare a ritagliarsi nuovamente un ruolo da protagonista ai playoff, anche se molte delle speranze degli Heat dipendono dalla verve offensiva e difensiva di Jimmy Butler, oltre che dai suoi infortuni.