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Nel mondo del calcio, storie di talento e sacrificio si intrecciano spesso con trame sorprendenti. Una di queste è quella di Eriberto, meglio conosciuto oggi come Luciano, un calciatore brasiliano che, oltre a far parlare di sé per le sue giocate, è diventato simbolo di un’incredibile vicenda personale.

Il contesto

Nell’estate del 1998, l’Italia, e in particolare la Serie A, iniziava a perdere il prestigio di essere la destinazione calcistica più ambita a livello mondiale. Nonostante ciò, molti giovani continuavano a sognare di giocare nel Bel Paese, tra cui un brasiliano determinato a sfondare: Eriberto Conceição da Silva, che in realtà era Luciano Siqueira de Oliveira.

Luciano, lo chiameremo con il suo vero nome, proveniva da una famiglia povera e visse un’adolescenza difficile, segnata dalla perdita dei genitori. All’età di 21 anni, un procuratore riconobbe il suo talento e gli propose un’opportunità poco ortodossa: nuovi documenti falsi e un’identità diversa che gli avrebbe permesso di partecipare ai provini per club brasiliani, accessibili solo ai giocatori con meno di 20 anni. Così Luciano divenne Eriberto Conceição da Silva, con una nuova data di nascita retrodatata al 21 gennaio 1979, assumendo l’identità di un ignaro contadino brasiliano.

Grazie a questa mossa, nell’aprile del 1996 fu tesserato dal Palmeiras, con cui esordì nella massima serie brasiliana. La sua velocità fulminante lo rese subito un elemento prezioso, perfetto per il gioco di rimessa e le azioni in contropiede.

Bologna, dove tutto è iniziato

Il Bologna, grazie all’intuito del direttore sportivo Oreste Cinquini, decide di puntare su di lui e, nel 1998, lo porta in Italia acquistandolo dal Palmeiras per 5 miliardi di lire. Sotto la guida di Carlo Mazzone, che ne riconosce subito le qualità, Eriberto diventa una presenza costante in campo, collezionando 54 presenze e segnando 4 gol nel corso di due stagioni. Successivamente, nel 2000, arriva il trasferimento al Chievo.

Nel Chievo dei miracoli

Il nuovo capitolo della carriera di Eriberto si apre con il passaggio in comproprietà al Chievo, che nel 2000 lo acquista per 2 miliardi di lire. Sotto la guida di Del Neri, il 4-4-2 si rivela il modulo perfetto per esaltare le caratteristiche del brasiliano, che dà un contributo decisivo alla storica promozione dei veneti in Serie A, segnando 4 gol in 35 partite in Serie B. Nel 2001 il Chievo acquista l’intero cartellino e, nella massima serie, Eriberto diventa una delle stelle del celebre “Chievo dei miracoli“, che da neopromosso chiude la stagione con uno straordinario quinto posto.

Le sue prestazioni attirano l’attenzione di club prestigiosi, tra cui la Lazio, che offre 18 miliardi di lire per lui e il compagno Manfredini, mettendo sul piatto per Eriberto anche un ricco contratto quinquennale. Tuttavia, la trattativa si interrompe bruscamente: il giocatore decide di tornare in Brasile per risolvere delicate questioni personali.

L’inferno dentro  e la confessione

Il brasiliano si era affermato come uno dei migliori esterni del campionato, un vero e proprio treno sulla fascia, capace di seminare il panico tra le difese avversarie. Con la fama erano arrivati soldi e notorietà, ma dentro di lui qualcosa non andava. Un conflitto interiore lo tormentava, fino a spingerlo, nell’agosto del 2002, a fare un passo clamoroso: autodenunciarsi e svelare il segreto della sua vera identità.

“Non mi chiamo Eriberto, ma Luciano. Non ho 23 anni, ma 27. Non posso più vivere nella menzogna. Voglio che almeno mio figlio possa portare il suo vero nome”

La sua decisione era frutto di anni di tensioni: chi gli aveva fornito i documenti falsi continuava a ricattarlo, pretendendo denaro per mantenere il segreto. Luciano spiegò con sincerità il suo gesto: “Avrei potuto accettare l’offerta della Lazio, guadagnare di più e continuare a mentire, ma non ce la facevo più. Ora mi sono liberato di un peso enorme e sono pronto ad affrontare le conseguenze, che si tratti di una squalifica o di un arresto”.

La squalifica e il trasferimento all’Inter

La confessione di Luciano ebbe un impatto enorme, scatenando reazioni immediate. Il 18 settembre 2002 venne squalificato per sei mesi con l’accusa di “condotta non conforme ai principi di lealtà, correttezza morale e materiale”. La pena iniziale, fissata a un anno, fu ridotta in considerazione del suo evidente pentimento e della decisione di confessare spontaneamente. Quando tornò in campo nella seconda metà della stagione 2002/2003, collezionò 16 presenze, chiudendo così la sua avventura con il Chievo. Al termine della stagione, si trasferì all’Inter, ma del brillante Eriberto sembravano essere rimasti solo i ricordi.

L’esperienza fallimentare all’Inter

C’era grande attesa per il Luciano “rinato”, libero dal peso della menzogna e dalle pressioni subite in passato. Tuttavia, con la maglia dell’Inter, il calciatore sembrò la pallida ombra del giocatore che aveva incantato con il Chievo. I tifosi nerazzurri si ritrovarono davanti un Luciano irriconoscibile, distante anni luce dal dinamismo di Eriberto. Con l’Inter scese in campo soltanto 5 volte prima e già a metà stagione fu ceduto di nuovo al Chievo. Tornò quindi a Verona, sperando di ritrovare fiducia e serenità in un ambiente familiare.

La fine della carriera di Luciano

Tornato al Chievo, Luciano vi rimase per ben 10 stagioni, fino al 2013. Non tornò più ai livelli eccelsi dei primi anni, ma continuò a garantire solidità e impegno. Indossò spesso la fascia di capitano e si collocò al quinto posto nella classifica delle presenze totali con la maglia gialloblù, nonché al secondo posto per apparizioni in Serie A.

A 37 anni, concluse la sua carriera con una breve parentesi al Mantova, in Serie C2, dove collezionò appena 6 presenze prima che il contratto venisse rescisso. Fu quello il momento in cui Luciano decise di appendere gli scarpini al chiodo, chiudendo così una carriera segnata da luci e ombre.

Luciano, un esempio da seguire

Il suo gesto di autodenunciarsi non solo ha rivelato la vulnerabilità di un giovane spinto a scelte discutibili da un sistema spietato, ma ha anche mostrato una grande forza interiore, quella di voler cambiare per costruire un futuro più autentico. Sebbene la sua carriera non abbia mai più raggiunto i picchi del passato, Luciano ha trovato nel Chievo una seconda casa, diventando un simbolo di lealtà e dedizione per il club gialloblù.

La sua parabola, fatta di successi, cadute e risalite, resta una lezione importante: i talenti, per brillare davvero, hanno bisogno di verità e serenità. E Luciano, nonostante tutto, ha avuto il coraggio di cercarle, a costo di perdere tutto.