Vai al contenuto

Un’indimenticabile frase di Paolo Di Canio poco prima di un derby vinto 3-1 (6 gennaio 2005, primo anno dell’era Lotito) recita: «ci sono due modi di tornare dalla battaglia: o con la testa del nemico, o senza la propria». Curiosamente Claudio Lotito, a pochi mesi dall’acquisizione della SS Lazio (19 luglio 2004) e la stipula bancaria di un debito che sarà estinto solo tra due anni, è riuscito nell’impresa di fare entrambe le cose: visto dai tifosi della Lazio come un nemico, più che come un salvatore della patria, porterà fin da subito risultati concreti, come nel derby, di fatto quindi con la testa dei propri nemici più (e oltre) che con la propria.

Nessuno lo conosce, Lotito, quando entra nel mondo dello sport. Ma lui sembra conoscerlo benissimo, questo mondo. Conosce invece poco e male una piazza calcistica così delicata come quella romana, e fin dall’inizio si pone nei confronti dei tifosi col fare del Signorotto di Corte, capo-padrone del circo: «ho preso questa società al suo funerale e l’ho portata in condizione di coma irreversibile. Spero presto di renderlo reversibile».

Al di là dei modi, rivedibili, i risultati della Lazio del primo Lotito parlano per lui. Gli addii – necessari, per i buchi economici lasciati dalla precedente gestione, quella Cragnotti – di Stam, Mihajlovic, Fiore, Corradi, Albertini, Claudio Lopez, trasformano l’ultima grande Lazio campione d’Italia (Coppa) nel 2003, allenatore Mancini, in una squadra costretta a fare i conti con un passato troppo grande da poter essere dimenticato, ma anche da dover dimenticare per poter ripartire da zero.

Lotito, all’alba di uno dei calciomercato più assurdi della storia del club biancoceleste, rivela a stampa e tifosi: «Non si può pensare di fare una Lazio come quella dello scudetto. Ci vorrebbero 900 miliardi di lire subito. Puntiamo ad un campionato decoroso, speriamo di uscire dalle sabbie mobili in un triennio». I sopracitati addii fanno da contraltare ad una campagna acquisti non solo intelligente, ma lungimirante: Siviglia dietro, Dabo e i fratelli Filippini a centrocampo, Pandev e Rocchi, niente più che due ragazzini all’epoca, a guidare l’attacco. Questi ultimi due diventeranno simboli del club, scrivendo pagine importanti di storia della Lazio. Al contempo, quella campagna acquisti verrà ricordata anche per nomi oggi difficili da riportare alla mente come Oscar Lopez, Seric, Lequi, Talamonti.

Scelte dettate dalle necessità economiche e da una precisa mentalità imprenditoriale: «Ci sono degli stipendi che la società adesso non è in grado di onorare. O si cerca una mediazione per un drastico ridimensionamento oppure userò tutti i mezzi legali a mia disposizione, come l’eccessiva onerosità sopravvenuta, per rescindere il contratto. Questo discorso è per i giocatori, ma vale anche per i dirigenti che sono i primi a dover dare l’ esempio». Tra i calciatori che decisero di ridursi l’ingaggio, il primo sarà il portiere Angelo Peruzzi, che non a caso lavorerà con Lotito anche da dirigente per tre anni, durante il mandato Inzaghi.

E proprio come Inzaghi, che manterrà con Lotito grandi rapporti dall’inizio, e sarà ripagato col ruolo di primo allenatore, così Mimmo Caso, che dalla primavera diventa allenatore della prima squadra, lui tra i simboli della Lazio dei -9, e così Di Canio, richiamato a Roma con uno stipendio esiguo per la sua rinomata lazialità. Capitano, Di Canio deciderà il match contro la Sampdoria alla prima giornata di campionato – a fine stagione saranno 7 i centri per il ragazzo del Quarticciolo, meglio solo Rocchi.

Durante la stagione, salterà però la panchina di Mimmo Caso dopo una lunga crisi di risultati. Al suo posto Papadopulo, ex allenatore del Siena e anche lui ex giocatore della Lazio. Papadopulo arrivò a furor di popolo dopo la richiesta – avviata anche tramite una campagna internet – dei laziali di non ingaggiare Maifredi, ex Juventus e Bologna, che Lotito accettò.

Di quella stagione va ricordato anche il cambio sponsor (ecco Parmacotto) e la posizione finale in classifica: un 13esimo posto perfettamente in linea con la profezia di Lotito di inizio anno, ma anche ‘maschera’ di un finale di stagione davvero preoccupante, dove la Lazio rischiò seriamente la serie cadetta. Curiosamente però, data la rinuncia alla Intertoto (per motivi economici e di scelte finanziarie) di Messina, Livorno, Lecce e Cagliari, la Lazio di Lotito partecipò alla fase eliminatoria estiva per accedere alla Coppa UEFA. Non andò un granché, ma era già l’inizio di una storia che con gli anni sarebbe andata parecchio a migliorare.