Ha perso, non benissimo, il primo derby turco – quello che ha portato il Galatasaray a 5 lunghezze dal suo Fenerbahce. Si è preso le critiche di una stampa che da quando l’ha accolto gli ha intestato la responsabilità di una gloria che – ci si dimentica, in Turchia come in Italia – è sempre e comunque da spartire con calciatori, dirigenti e presidenti.
Non può lamentarsi di questo, però, José Mourinho, perché è lui stesso ad alimentare quella fiamma. Invoca su di sé tutte le attenzioni, e non può quindi forzatamente allontanarle se poi le cose vanno male.
Poi però se vanno bene, come capitato all’esordio in Europa League, l’allenatore portoghese si riprende “tutto quello che è suo”, e con gli interessi. Dopo aver battuto 2-1 l’Union Saint-Gilloise, lo scorso anno una delle big surprise proprio in Europa League, l’ex allenatore della Roma ha dichiarato: «Quello che voi giornalisti chiamate effetto Mourinho sono i trofei. Non ci sono trofei da vincere a settembre, come può quindi vedersi già adesso l’effetto Mourinho? Ho vinto trofei in tutti i club in cui sono andato, semplicemente non ho vinto al Tottenham perché ho lasciato il club due giorni prima della finale di Coppa, quindi l’effetto Mourinho che ho creato in ogni club è stato quello di vincere trofei. Mi dispiace, ma non ho ancora il potere di farlo a settembre».
Semplicemente, lo Special One. Per lui la società giallonera ha costruito una squadra competitiva. Magari non così forte come quella dei dirimpettai del Galatasaray, reduci da un mercato stellare, ma comunque con ottime potenzialità di poter vincere almeno uno dei tre trofei a disposizione. E chissà che non possa essere proprio l’Europa League, che Mourinho conosce così bene e che ha già vinto col Manchester United.
«Dopo aver perso il derby, sono stato sommerso dalle critiche, ma non solo: c’era quasi gusto a buttar giù e il lavoro dei miei ragazzi». È la solita vecchia storia, o meglio dialettica. Mourinho non aspettava altro: aveva bisogno, anche qui in Turchia dove l’hanno accolto a mo’ di presidente già dal primo giorno, di un nemico, non importa quanto reale, per lanciarsi all’assalto dei veri avversari, realissimi, quelli del campo da gioco.
«I giornalisti influiscono sul modo di pensare dei tifosi, il modo in cui si fanno gli affari ha qualcosa a che fare con questo. Forse siete voi che avete bisogno di cambiare. Io lavoro 12 ore al giorno e dormo sul posto [i.e. il centro sportivo del Fenerbahce] per non perdere tempo. Istanbul è una città bellissima, ma non sono venuto qui in vacanza, sono venuto per lavorare».
José Mourinho, conferenza stampa 26.09.2024
Mourinho è parso stressato, a tratti pure stanco, è normale, ma sfiduciato questo mai. Mai vedrete José Mourinho crollare, non è nella sua natura. Mourinho, solo contro tutti, ancora una volta: «Cerco sempre di instillare e spiegare questo alle persone che lavorano con me: quando le cose vanno bene non vai sulla luna, e quando le cose vanno male non vai all’inferno. Questa è la mia filosofia».
D’altra parte Mou l’ha sempre detto, come fosse un mantra: chi sa solo di calcio non sa niente di calcio, e la stampa turca sembra (per ora) comprendere solo il linguaggio del calcio – neanche troppo bene, a detta dell’allenatore portoghese. Se sapranno seguirlo, cambiare rotta nel pensiero, effettuare quella metanoia che Paolo richiede ai cristiani per vivere cristianamente, in Turchia ringrazieranno il giorno in cui il Fenerbahce ha ingaggiato questo straordinario allenatore. Che, per inciso, si sente tutt’altro che appagato.