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Nel corso degli anni, il Texas Hold’em è cambiato molto. Non solo dal punto di vista del mercato, della tipologia dei tornei e della comunicazione, ma soprattutto nell’apprendimento del gioco.

Intorno alla metà degli anni ’90 del secondo scorso, quando il poker americano ha iniziato a farsi strada anche fuori dagli Stati Uniti, gli unici mezzi per imparare la tecnica erano andare a lezione da qualche giocatore esperto e/o dedicarsi alla lettura dei primi grandi libri sul poker. Super System di Doyle Brunson, Harrington on Hold ‘em di Dan Harrington (con il contributo del maestro di backgammon Bill Robertie), The Theory of Poker di David Sklanksy e Mike Caro’s Book of Poker Tells di Mike Caro, giusto per citare i titoli più famosi. Il digitale come strumento per imparare e allenarsi non esisteva ancora.

La svolta è arrivata pochi anni dopo. Internet è stato cruciale nel 2003, quando il poker si è diffuso a macchia d’olio sulla scia della vittoria di Chris Moneymaker al Main Event WSOP. Sono nati siti, forum, blog dove poter leggere di poker, discutere le giocate e apprendere i segreti dei grandi campioni. Da quel momento in avanti, c’è stato un crescendo di tecnologia applicata alla tecnica del gioco.

A partire dal secondo decennio degli anni Duemila, hanno fatto la loro comparsa una serie di software. Parliamo degli heads-up display (HUDs, che forniscono statistiche sugli avversari), dei calcolatori di equity (che indicano le probabilità di due mani o di due range di carte) e dei primi, rudimentali solver, cioè software capaci di analizzare le azioni e anche di giocare.

Artificial Intelligence brain concept with digital circuit (credits Getty Images)

I solver non erano particolarmente efficaci all’inizio, ma con l’avanzamento delle reti neurali hanno fatto passi da gigante, fino a diventare Intelligenze Artificiali in grado di effettuare la giocata ottimale in ogni situazione. Questo è lo scenario odierno del poker, che sta modificando non solo la tecnica ma anche la figura stessa del giocatore. Vent’anni fa i grandi campioni di TH erano un po’ “artisti“, oggi sono soprattutto menti matematiche, molto allenate e metodiche.

Arrivati a questo punto, però, sorgono almeno due interrogativi. Il poker era più affascinante un tempo, quando la creatività aveva un ruolo maggiore, oppure l’I.A. ha contribuito a migliorare il gioco, offrendo strumenti che livellano le differenze tra gli avversari? E ancora: i solver hanno davvero “risolto” il poker e la macchina ha superato definitivamente l’uomo anche nel Texas Hold’em?

Abbiamo cercato qualche risposta durante il recente European Poker Tour a Barcellona, intervistando Carlo Savinelli, che ringraziamo ancora una volta per la sua disponibilità.

Carlo Savinelli (credits RIHL)

Ciao Carlo e grazie per essere di nuovo qui con noi, su PokerStarsnews.it. Veniamo al primo dubbio amletico: la macchina batte l’uomo anche nel poker?

A livello di torneo faccio ancora fatica ad immaginare l’I.A. capace di battere sistematicamente l’essere umano. Nei tornei, infatti, entrano in gioco molti elementi specifici, tra cui il payout progressivo e anche una notevole dose di varianza. Detto questo, ci sono Bot (abbr. di “robot”, ndr) che, in determinate fasce di big blind (20x-60x), non commettono errori in termini di teoria del gioco e risultano estremamente profittevoli in singoli spot. Sopra i 60bb, e ancora di più con stack molti alti, il discorso cambia: i Bot iniziano a fare errori, ed è per questo che a livello di tornei non vedo un Game Over per l’uomo. Nei tornei, il fattore umano continua ad avere il suo bel peso specifico, almeno per ora.

Questa tua risposta crediamo dia speranza soprattutto alle persone che amano il gioco senza essere dei pro player. Ciononostante, non temi che i vari tipi di software stiano rovinando il poker?

Non sono sicuro che si possa dire che l’I.A. abbia rovinato il gioco, però lo ha sicuramente reso più competitivo. Oggi, grazie ai vari strumenti didattici e di analisi offerti dai software, un giocatore cresce di livello in maniera molto rapida. Di gran lunga più rapida rispetto al passato. Tuttavia, vale – almeno in parte – quello che ho detto prima: quando scendi nell’arena live non hai con te quegli strumenti, e devi affidamento esclusivamente sulla tua capacità di applicare ciò che hai appreso. E questo è un elemento che riguarda l’essere umano, non la macchina.

Ritieni che questo motivo sia alla base dell’attuale crescita dei tornei live?

Sicuramente, perché il live offre più opportunità e, credo, anche maggiori motivazioni soprattutto per il giocatore medio. E poi c’è il “fattore umano” che dà varietà al gioco, c’è l’incontro con le persone e lo show offerto dai grandi eventi dal vivo.

Quando sono comparsi i primi solver, la macchina non era ancora così superiore, ma con la nuova generazione di software la situazione è cambiata radicalmente. In passato, tra un professionista e un giocatore amatoriale o poco esperto, c’era di mezzo un percorso lungo anni prima che il divario potesse essere colmato. Oggi, è una questione di 7-8 mesi, a patto che l’amatoriale si dedichi allo studio e possieda una buona mente matematica.

Alla luce di questo scenario attuale, come saranno secondo te i prossimi 5 anni del poker?

Vedo bene il poker live. Credo che continuerà a crescere o almeno a mantenersi sui livelli attuali, che già rappresentano una sorta di nuovo boom. Mi auguro che in Italia venga introdotta una normativa chiara, non ambigua come lo è stata finora, per poter organizzare tornei di poker dal vivo e, chissà, magari anche un evento EPT. In sostanza, sono ottimista per i tornei live, mentre vedo qualche difficoltà sul “resto”.

Immagine di testa: Carlo Savinelli (credits PokerNews)

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