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Primoz Roglic ha vinto questa domenica la sua quarta Vuelta, che si va a sommare a tutta una serie di trionfi che rendono lo sloveno senza dubbio uno dei ciclisti più importanti degli ultimi 10 anni.

Un Giro d’Italia, un titolo olimpico a cronometro a Tokyo nel 2021, una vittoria in ciascuno dei cosiddetti Small Tour, ovvero le corse a tappe di una settimana, tranne che al Giro di Svizzera.

Eppure Primoz Roglic è come se venisse sempre un passo dopo i fuoriclasse della nostra era, i giovani che hanno segnato sia le Classiche che i grandi giri: Pogacar, Vingegaard, Evenepoel e Van der Poel e Van Aert sono i nomi più ricorrenti.

Come valutare allora la carriera dello sloveno, che il 29 ottobre compirà 35 anni?

Primoz Roglic è sottovalutato?

Ricordiamo sempre che Roglic non ha mai avuto le stimmate del predestinato come invece tanti altri suoi colleghi. Giova sottolineare che il suo primissimo sport, quello dove ha tentato di affacciarsi al professionismo, è stato lo sci; nello specifico il salto con gli sci.

Per cui l’approccio di Primoz Roglic al ciclismo è stato più laborioso, artigianale, e forse meno naturale rispetto a un Pogacar che andava fortissimo già da juniores o a un Evenepoel dal palmarés impressionante già adesso che ha 24 anni.

Con quel ricordo, l’abbandono del “suo” salto con gli sci, dovuto anche a certi episodi spiacevoli tipo la caduta di fronte al pubblico di casa a Planica, nel 2007, durante un’esibizione.

La prima stagione da vero pro per “Rogla” è stata nel 2016 quando la Jumbo lo mise sotto contratto, dimostrandosi immediatamente competitivo soprattutto nelle corse a cronometro, che sono poi la sua vera specialità.

In un ciclismo dove fare la differenza in montagna stava diventando sempre più difficile, con i maxi-team formati sempre più da corridori di livello, annichilire la concorrenza nelle sfide a cronometro ha acquisito con il tempo un peso maggiore.

Nei grandi giri, lo abbiamo visto, abbiamo avuto vincitori provenienti dalla pista come Wiggins (Tour de France 2012) o sorprendenti passistoni alla Hesjedal (Giro 2011, una meteora), ma lo stesso Tom Dumoulin, poi compagno di Primoz Roglic alla Jumbo, quando trionfa al Giro d’Italia 2017 lo fa forte di un dominio totale a cronometro pur senza primeggiare in montagna.

Il dominatore degli Small Tour

Una settimana e via, distacchi bene o male contenuti, una cronometro a fare da spartiacque e a marcare la differenza in classifica generale: Primoz Roglic ha vinto 10 Small Tour nella sua carriera, risultati straordinari se paragonati con i “rivali di sempre”.

Pogacar e Vingegaard, per esempio, sono fermi a 3; Evenepoel non ne ha conquistato nemmeno uno. Gente come Valverde, Froome o Geraint Thomas si è spinta rispettivamente a 6, 5 o 4 Small Tour.

Poi, certo, questa è gente che, tranne Valverde, ha vinto almeno una volta il Tour de France; ma anche fare bene in maniera così costante nelle gare di una settimana non è per niente facile.

Due volte la Tirreno – Adriatico, due volte il Giro del Delfinato, due volte il Giro di Romandia, due volte il Giro dei Paesi Baschi, un Giro di Catalunya e una Parigi – Nizza. Corse dure e meno dure, a marzo o a luglio, in Spagna, in Francia, in Svizzera e in Italia: insomma, un trattore per quanto riguarda le corse a tappe brevi.

Più o meno importanti dei tre grandi giri? Dipende dai punti di vista ma se volessimo trovare un paragone con un altro sport gli Small Tour sono come i tornei 1000 nel tennis, paragonati ai Grandi Slam. E Primoz Roglic, tranne il Giro di Svizzera (che forse ha in programma per il 2025), li ha incamerati tutti.

E poi lo sloveno ha anche in carniere una Liegi-Bastogne-Liegi, conquistata nel balordo anno 2020, quello del Covid; più l’oro olimpico a cronometro nel 2021 a Tokyo su un percorso lunghissimo, di 44 chilometri, proprio davanti a Dumoulin.

Primoz Roglic, un campione umano

Non ha mai vinto il Tour de France, lo sloveno, che proprio mentre stava per trionfare alla Grande Boucle si è visto raggiungere e sopravanzare nella maniera più crudele (ma lo sport è questo) da un suo connazionale più giovane, quel Tadej Pogacar ormai punto di riferimento per chiunque.

Impossibile dimenticare quel 19 settembre del 2020, quando Primoz Roglic collassò psicofisicamente durante la cronometro di La Planche des Belles Filles, penultima tappa del Tour de France; 57 secondi di vantaggio da gestire, la Maglia Gialla addosso e il crollo, il cambio di bicicletta e di casco, messo di sghembo, goffo, troppo grande per la sua testa.

Ultimo a partire, Primoz Roglic in mondovisione perse tutto, mentre i suoi compagni di squadra Van Aert e Dumoulin, rieccolo, non potevano credere ai loro occhi. Quasi due minuti di distacco da un Pogacar che invece era andato come un treno, la vittoria del Tour de France sfumata nella maniera peggiore e crudele.

Da lì in avanti “Rogla” ha guadagnato molti punti tra i tifosi neutrali, forse inteneriti. E che hanno gioito quando nel 2023 Primoz ha conquistato il Giro d’Italia rimontando Geraint Thomas nella penultima tappa, la cronoscalata di Monte Lussari, vicino alla sua Slovenia. Anche lì panico per un problema meccanico, risolto subito per sua fortuna.

Quel Giro è stato forse il momento più dolce della carriera di Primoz Roglic, falcidiato dalla sfortuna al Tour de France, caduto due volte di cui una, rovinosa, quest’anno, non per colpa sua ma in un incidente.

Il più grande della sua epoca? Forse no, ma che importa. Con la sua andatura elegante in salita, specie in quelle brevi e secche dove da solo può fare la differenza, eccellente a cronometro: un vincente un po’ triste per quello che poteva arricchire un palmarés straordinario già così.