Non “home,” ma “Rome.” Questi brividi si fanno sentire anche solo ripensandoci: perché è un grido che possiamo sollevare ancora oggi, senza mancare di rispetto. Il calcio, infatti, non è solo patrimonio inglese, ma un’inestimabile ricchezza italiana, dipinta di azzurro.
Sul palcoscenico europeo del 2021, siamo tornati al vertice, alzando il trofeo sotto gli occhi attenti del Presidente Mattarella, 53 anni dopo il nostro ultimo trionfo, proprio nel giorno del 39° anniversario della vittoria mondiale in Spagna: la squadra di Mancini non avrebbe potuto scegliere una data più simbolica.
Il trionfo è arrivato ai calci di rigore, grazie all’eroica prestazione di Gigio Donnarumma, che ha neutralizzato i tiri inglesi due volte dopo che la partita era terminata 1-1 nei tempi supplementari (con gol di Shaw e Bonucci). E tutto questo nel loro stesso territorio, davanti a sessantamila tifosi che hanno vissuto al massimo quei 120 minuti.
I Leoni sono stati domati, “trasformati in gattini,” come riportarono allora le cronache. Il commissario tecnico Mancini, prima del gran clamore globale, era riuscito a raggiungere questo traguardo divertendosi e facendo divertire i suoi ragazzi per un intero mese. Abbiamo trionfato come protagonisti, non come opportunisti come talvolta ci è stato attribuito: questo è stato il nostro più grande merito.
L’Italia vince contro un’intera Nazione
L’Europeo è stato un viaggio fatto di molte tappe, dall’inizio alla fine. Abbiamo attraversato svariate fasi: dall’eccellenza tecnico-tattica e dal divertimento, alla sofferenza, e infine alla maturità di conquistare la coppa sul terreno degli avversari, in uno stadio completamente bianco.
Mancini ha coronato un percorso virtuoso iniziato tre anni prima, completato in tempi eccezionalmente rapidi, regalandoci un titolo che non solo ha aggiunto lustro alla sala trofei di Coverciano, ma ha anche contribuito al rilancio dell’intera nazione da ogni punto di vista. Una vittoria sportiva, economica e sociale.
La formazione di Wembley
Mancini ha confermato la stessa formazione che ha affrontato la Spagna, premiando chi lo aveva accompagnato fino alla finale, benché ci fossero certamente più di undici protagonisti in quella squadra. Il maggiore dubbio riguardava l’uso di un falso nove al posto di Immobile, ma alla fine è stato confermato il numero 17. Affiancato da Chiesa e Insigne, con la mediana composta da Barella, Jorginho, Verratti e la linea difensiva con Di Lorenzo, Bonucci, Chiellini ed Emerson.
Southgate, dal canto suo, aveva cambiato approccio rispetto alle previsioni, una scelta che in qualche modo rendeva onore agli azzurri. Optò per una tattica più difensiva, adottando un 3-4-3 che rinforzava la difesa con cinque uomini.
A pagarne le conseguenze fu Saka, sacrificato per far spazio a Trippier sulla fascia destra. Tutti gli altri furono confermati, con Kane centravanti, Mount a sinistra, Sterling al centrodestra e il duo Phillips-Rice in mediana. Un modulo più compatto, certo, ma come dicono gli allenatori, l’atteggiamento è ciò che conta davvero. E gli inglesi iniziarono meglio di noi.
Il vantaggio dell’Inghilterra
Una doccia fredda: dopo appena un minuto e 55 secondi, gli inglesi erano in vantaggio. Un cross di Trippier dalla trequarti seminava il panico in area, con tre giocatori italiani (Bonucci, Barella e Di Lorenzo, mentre Chiellini era spostato verso la fascia) che si trovavano a marcare due avversari (Sterling e Kane), ignorando l’inserimento di Shaw sulla sinistra. Di Lorenzo non riuscì a intervenire e il terzino dello United segnò indisturbato di testa a pochi passi da Donnarumma.
Un gol che inflisse un duro colpo, soprattutto perché durante gli Europei non eravamo mai andati in svantaggio. Non solo: la rete galvanizzò ulteriormente gli inglesi e minò la sicurezza degli azzurri, che faticavano a reagire. Fino a metà del primo tempo, non riuscimmo a prendere mai il controllo del gioco, e quando ci riuscimmo, mostravamo un possesso palla spesso approssimativo. Tanti errori. Tutti banali.
L’Inghilterra, brava a rimanere compatta in difesa, decisamente più compatta degli azzurri, provava a ripartire con le incursioni di Sterling, con gli incroci costanti di Shaw, con le aperture di Kane e gli inserimenti di Mount. Contratti e imprecisi, gli azzurri provarono qualche timido tentativo con Insigne e costruirono una sola vera occasione grazie all’instancabile impegno di Chiesa, che arrivò a pochi centimetri dal palo.
Il secondo tempo
Il più rapido a cambiare le sorti del match? Roberto Mancini. Nella ripresa, il tecnico modificò l’assetto quasi subito: al nono minuto, via Barella (che era stanco e ammonito) e Immobile, dentro Cristante e Berardi. Insigne diventò falso nove, con Berardi a destra e Chiesa spostato a sinistra. Quella che era stata una tentazione prima della partita, era diventata una necessità durante il match.
Con il passare dei minuti, l’inerzia si spostò dalla nostra parte, con il pallone sempre più sotto il nostro controllo. Al 17′, Chiesa, il più ispirato dei tre attaccanti, costrinse Pickford a una parata complessa. Dopo un tentativo inglese (con un grande intervento di Donnarumma sull’inzuccata di Stones), arrivò l’agognato pareggio.
Da un calcio d’angolo dalla destra, con rara confusione in area, Chiellini fu atterrato da Stones, ma prima che potesse essere considerato un eventuale rigore, l’azione e il pallone proseguirono verso il proprio destino: Verratti la colpì di testa, mandando la sfera contro il palo. Il pallone finì sui piedi di Bonucci. La porta era sguarnita sotto gli occhi dei tifosi azzurri: fu apoteosi.
A quel punto, il copione del primo tempo si era completamente ribaltato. L’Inghilterra perse sicurezza e controllo, concedendo campo all’Italia che aveva di nuovo tutto in mano. A cinque minuti dai tempi regolamentari, Mancini sostituì Chiesa, infortunato, con Bernardeschi, posizionando Insigne nuovamente sulla sinistra.
Supplementari e rigori
All’inizio dei tempi supplementari, ulteriore cambio: Belotti entrò al posto di Insigne, con Bernardeschi spostato sulla sinistra. Poco dopo, fu il turno di Verratti, sostituito da Locatelli. Nonostante l’ansia e la pressione dei tempi supplementari, l’Italia mantenne saldamente il controllo del match: noi con il possesso palla, loro in fase di rimessa, senza vere occasioni da gol.
Nel secondo tempo supplementare, a parte un momento di terrore per un’uscita a vuoto di Donnarumma, il gioco proseguì senza ulteriori azioni pericolose. La direzione era una e una soltanto: con il cuore in gola, ci dirigemmo verso i rigori.
Gol di Berardi. Anche di Kane. Belotti sbagliò: un duro colpo. Maguire portò avanti Southgate, ma Bonucci li riagguantò. Rashford, sotto un abbraccio di speranza, colpì il palo. Bernardeschi ci fece sognare: gol. Sancho? Donnarumma. Jorginho sbagliò. Quindi Saka.
Luca Vialli era di spalle, non aveva visto neanche un rigore. Vide l’inglese avvicinarsi al dischetto, con Mancini poco distante. Sentì un urlo strano, strozzato in gola: capì. Capì che Wembley aveva perso, l’Italia aveva vinto. Furono lacrime, sul tetto d’Europa.