Il figlio d’arte sembra avere un destino segnato. O è tanto bravo da scavalcare la memoria del padre – o dei padri – o lo è a sufficienza da essere a quello paragonato unicamente in virtù del nome che porta. Il rischio di finire nella dimenticanza collettiva, ad ogni modo, è sempre molto alto. Ma il caso di Davide Ancelotti sembra porsi a metà tra i due estremi. Davide, figlio di Carlo, è il suo secondo ormai da anni. Ma questo ruolo sembra andargli bene. Davide non cerca la fama, ma la serenità.
Non si può dire lo stesso dei giornali – spagnoli soprattutto – che in questa stagione, più che in altre, hanno spesso sottolineato l’urgenza all’indipendenza di Ancelotti Jr. rispetto a Don Carlo. Quando, ci si chiede, Davide diventerà allenatore a sé?
Marca, ad esempio, lo scorso 10 maggio ha rivelato che “è stato Davide l’artefice della decisione che ha cambiato il corso della partita del Santiago Bernabéu e che di fatto ha eliminato il Bayern Monaco. C’è un video di Movistar+ che lo dimostra”. Si parla, naturalmente, del cambio in attacco quando Rodrigo è uscito per fare posto a Joselu, eroe della remuntada in due minuti del Real sul Bayern di Tuchel. Avevamo dato del genio – e pure del baciato dalla sorte – a Carlo Ancelotti, per quella gestione. Ma dietro il sopracciglio di Re Carlo c’era la mente di Cervello Davide.
L’intuizione di Ancelotti junior
“Tutto è iniziato dopo il gol di Alphonso Davies – ricostruisce Marca – arrivato quando il Real stava dominando completamente la partita e ha finito per cambiare i piani dello staff tecnico. Dopo aver attraversato il tunnel degli spogliatoi, Ancelotti ha mandato Modric, Camavinga e Brahim a scaldarsi con l’idea di averli pronti nel caso in cui la battaglia richiedesse il loro ingresso in campo. Al 58′, sullo 0-0, il 14 [Joselu, ndr] va a riscaldarsi con i compagni. [Il Bayern va avanti], passano i minuti, gli uomini di Ancelotti accerchiano il rivale nella propria area, ma la palla non entra. È allora che la lampadina di Davide Ancelotti si illumina alla ricerca di una soluzione per l’assetto difensivo della squadra bavarese. Gli uomini di Tuchel si difendono comodamente all’interno dell’area perché al Real Madrid manca un 9 puro per mettere a disagio i difensori centrali. E per adempiere a quella funzione il migliore è Joselu. La sua altezza (192cm) e il senso del gol gli permettono di dare fastidio ai difensori. È facile per lui creare uno spazio e trovare la posizione migliore per liberarsi il tiro”.
Marca la fa facile, perché l’esito della partita ha senz’altro aiutato alla buona memoria della scelta tecnica. Ma rimane il fatto che Davide Ancelotti ha per papà Carlo un’importanza cruciale. Altro che raccomandato, figlio di, etc. Ci si dimentica, soprattutto, dei vice poi diventati grandissimi allenatori. Arteta, per fare un nome, è stato per anni secondo di Guardiola al City. Mourinho, per citarne un altro, ha fatto la gavetta con Bobby Robson e Louis Van Gaal. Già due anni fa El País spiegava che “Davide integra l’esperienza del padre con una visione più moderna di alcuni aspetti calcistici”.
Javi Martínez, allenato dagli Ancelotti al Bayern Monaco, disse: “Davide è quello che manca a Carlo, gli aggiunge quanto di nuovo c’è nel calcio: i video, le analisi dei dati”. Nel 2021 The Athletic scriveva che era Davide ad aver “rivoluzionato la difesa sui calci piazzati dell’Everton”. In Inghilterra era già considerato “un astro nascente molto amato dai giocatori”. A Napoli invece Il Mattino raccontava che “i giocatori mal tollerano Davide, non lo considerano all’altezza di allenarli”. È una questione tutta nostra, insomma, quella del ripudio dei figli di – e ancor più dei vice figli di, forse.
Marca ricorda che il rampollo parla cinque lingue, non è mai stato un semplice vice. E AS che è stato lui a scegliere i cinque rigoristi nei quarti di finale di Champions che hanno eliminato il Manchester City – capito? Nel 2021 – già tre anni orsono – a El Mundo fonti interne al Real parlavano di un professionista “geniale, empatico e professionale”.
Sempre ad AS spiegò lui stesso che i pregiudizi lo hanno in fondo aiutato: “La fame di trionfo la ritrovo nella necessità di dover dimostrare, nel soddisfare le aspettative, nei sospetti generati dall’essere figlio dell’allenatore”. E due anni fa, prima della finale di Champions tra Real e Liverpool, in un’intervista al Corriere della Sera aveva dettato una sentenza: “Lavoro da 10 anni con mio padre e il tema del nepotismo salta fuori quando si perde. Il posto dove me l’hanno fatto pesare di più è stato a Napoli”.
Futuro blancos?
I dati non mentono: “Nove degli ultimi 12 punti del Madrid in campionato non sono firmati da Bellingham o Vinicius, ma da Davide Ancelotti – scriveva sempre Marca una settimana fa. Il secondo allenatore della squadra bianca sta estraendo petrolio dai calci piazzati, ha creato un libretto con cui sta schiacciando quasi tutte le squadre in La Liga. I nove gol su calcio piazzato (otto da calcio d’angolo!) parlano dello straordinario lavoro dello staff tecnico di Ancelotti, al quale dobbiamo anche dare il merito di essersi adattato ai nuovi tempi con uno staff spettacolare. L’impegno per suo figlio, nonostante quello che diranno, è giusto evidenziarlo. C’è un grande allenatore lì”.
Relevo descrive quali compiti deve affrontare Davide Ancelotti. In diverse interviste questi ha detto che quello principale è di instillare il dubbio nella mente di suo padre. In realtà fa molto più di questo. “Ha il compito di pianificare la strategia, dare istruzioni ai giocatori. Un allenatore completo che capisce la tattica, la preparazione fisica o i calci piazzati”. Torna la tematica dei calci piazzati, ma in generale torna tutto quel lavoro e lavorio tattico che poi la differenza in campo.
Si è formato come preparatore atletico prima, “c’è chi osa dire che è lui l’allenatore ombra. È stato al Bayern Monaco che è diventato vice allenatore, posizione che ha mantenuto a Napoli, all’Everton e di nuovo al Real. Il suo ruolo è cambiato, ma ha assunto sempre maggiori responsabilità”. Davide, soprattutto, è l’anello di congiunzione tra staff, squadra e settori giovanili. “È la persona dello staff tecnico più vicina ai calciatori. Soprattutto a quelli che giocano meno”.
Ha già vinto due Champions, due Mondiali per club, due Supercoppe europee e una Supercoppa tedesca. Eppure ha i piedi ben saldi a terra, e d’altronde è questa umiltà ad averlo fatto brillare, facendoci dimenticare che sia figlio di: “Ha la freddezza di chi sa quanto velocemente cambia il calcio. Non si gode troppo le vittorie, consapevole che a Madrid deve essere la routine. Normale che la sua fase solista inizi dopo Madrid. Anche se, attenzione, c’è chi lo vede come un degno successore di suo padre al Real. Ha già il rispetto dei tifosi”. Se lo meriterebbe.