Il draft NBA è una delle componenti più affascinanti del basket professionistico statunitense e le ragioni vanno ricercate in quella sfera che risponde al nome di “previsione”.
Fiuto, compatibilità con il proprio roster, osservatori dall’occhio lungo, sono alcuni degli ingredienti necessari affinché possano essere reclutati dei giocatori che siano performanti rispetto alla squadra che li “firma”.
Annate d’oro e di legno
Ci sono delle nidiate di giocatori usciti dai College dei vari Stati americani che hanno messo in evidenza dei campioni che hanno fatto la storia della NBA.
Quando succede è davvero difficile sbagliare, non si può cadere in fallo nel momento in cui si è alle prese con un draft singolo dal quale escono più di 5 fenomeni.
È il caso del draft del 1984, quello di Michael Jordan, firmato dai Chicago Bulls, proveniente dal College del North Carolina.
Quell’anno fu scelto alla 1 Hakeem Olajuwon, centro nigeriano approdato a Houston che, nonostante il terribile confronto con MJ, ha comunque fatto la sua più che positiva carriera in NBA.
Sam Bowie, scelto alla 2 da Indiana che lo dirottò subito a Portland, non ebbe la stessa fortuna.
Detto di Jordan quell’anno atterrarono in NBA giocatori del calibro di Charles Barkley ai Sixers, Alvin Robertson, John Stockton, Sam Perkins e Otis Thorpe.
L’ingegno degli osservatori
Il discorso cambia quando le annate sono molto meno ricche di talento potenziale, allora le teste pensanti di ognuna delle 30 franchigie NBA hanno il loro da fare per portare a casa prodotti decenti.
Quando capita, e non sono davvero pochi i casi di questo tipo, la sfida è quella di prendere un giovane che possa darti delle grosse soddisfazioni a medio/lungo termine, quando il costo del tuo ingaggio sarà piacevolmente elevato.
Ricordiamo che il problema maggiore delle squadre NBA è quello di spenderli i soldi, non di guadagnarli e se la spesa riguarda il contratto dei migliori giocatori del pianeta, allora sono soldi che si spendono ancora più felicemente, visto che sono dei veri e propri investimenti dal ritorno certo.
Il futuro del rookie segnato fin dalle High School
L’entrata di un rookie in squadra è quindi un avvenimento che può cambiare la storia della franchigia nei suoi anni a venire, per cui la scelta non può mai essere presa a cuor leggero.
Le squadre NBA, fatta salva la clausola che non permette a nessuno di essere messo sotto contratto prima del Draft, hanno decine e decine di osservatori in tutte le latitudini degli USA, di modo da seguire passo passo quei ragazzi che potranno avere un avvenire tra i professionisti.
La fornitura di materiale tecnico è fortemente presente fin dalle High School e non sono pochi i documentari che palesano la cosa anche su piattaforme come Netflix.
Cosa è uno steal
Lo “steal”, termine americano che letteralmente significa “rubare”, fa capo a tutta una serie di comparti che riguardano i più svariati campi della società americana.
Nella pallacanestro NBA si riferisce fondamentalmente a due di queste: la rubata in partita e, quella ben più importante, la rubata al draft.
Con questo termine facciamo riferimento ad un giocatore acquisito da una squadra NBA con una scelta bassissima, tra le ultime.
Uno dei parametri per giudicare la carriera di un giocatore rispetto al numero con cui è stato scelto al Draft, è il Career Win Share, un meccanismo di natura matematica che decifra il contributo che un giocatore X ha dato alla propria squadra durante la sua permanenza in franchigia, dal lato offensivo e da quello difensivo.
Manu Ginobili
Abbiamo parlato poche settimane fa della storia di Manu Ginobili su queste pagine e avevamo ricordato il clamoroso steal che fece San Antonio quando il giocatore argentino era appena approdato in Italia a Reggio Calabria, prima di passare, negli successivi, alla Virtus Bologna.
Popovich, già allora, correva l’anno 1999, aveva voce autorevole in ogni affare riguardante i texani e fu proprio lui a comunicare la scelta al giocatore, tenendolo però in Italia per qualche anno fino ad una maturazione completa e atta a fare il suo esordio in NBA solo nel 2002.
In quell’anno le prime tre scelte furono Elton Brand, Steve Francis e Baron Davis, tutti All Stars ma tutti certamente meno leggendari del sudamericano, che venne preso al secondo giro, alla numero 58…
Chris Paul
Nonostante fosse stato prelevato alla 4 dai New Orleans Hornets nel 2005, quindi una scelta piuttosto alta, il Career Win Share di CP3 è uno dei più elevati mai fatti registrare nella storia della NBA, per cui la sua chiamata sarebbe dovuta arrivare ben prima di gente come l’australiano Andrew Bogut e gli americani Marvin Williams e Deron Williams, tutti molto lontani dal rendimento del piccolo playmaker oggi in forza a Oklahoma City.
Gli europei
Uno dei due fratelli spagnoli Gasol, Marc, ha invece fatto la fortuna, se così la possiamo chiamare, dei Memphis Grizzlies, dove Marc fu spedito al termine dello scambio con suo fratello Pau che arrivò ai Lakers.
Il draft di quell’anno, era il 2007, fu caratterizzato dalla scelta alla numero 1 di Greg Olden e, anche se alle successive vennero annunciati Kevin Durant, Al Horford e Mike Conley, per trovare il nome dello spagnolo bisogna scendere fino alla 48, leggasi “QUARANTOTTO”.
Per farvi capire che razza di granchio presero tutte le franchigie, basterebbe leggere la casella numero 9 occupata da Joakim Noah…
Lo stesso anno della scelta di Ginobili, il 1999, ci fu un altro giocatore caduto troppo in basso nelle preferenze delle squadre, Andrei Kirilenko.
Il giocatore russo, fu firmato dagli Utah Jazz con la speranza di raggiungere un punteggio minimo da 6,2 Win Shares per giustificare l’investimento.
Kirilenko fece 4 stagioni alla media di 33,6 Win Shares.
I migliori steal in assoluto
Se vogliamo tenere da parte le classifiche e, soprattutto, le statistiche, ci sono tanti nomi da menzionare.
George Gervin fu scelto alla 40 nell’ormai lontano 1974, ma si vendicò chiudendo in testa alla classifica dei marcatori NBA per ben 4 volte.
Dennis Rodman viene ricordato per un milione di avventure dentro e fuori dal campo di pallacanestro, ma questo non può e non deve fare dimenticare che è stato il miglior rimbalzista NBA dal 1992 al 1998.
Se poi non vi bastasse, Rodman vinse ben 5 titoli NBA, fedele scudiero difensivo di Michael Jordan e Scotty Pippen.
Da segnalare, tra le altre, anche le clamorose sviste recenti, come quella di Tony Parker alla 28 nel 2001, di Draymond Green alla 35 nel 2012, del povero Drazen Petrovic alla #60 e di Alex English alla 23 nel ’76.