È un sentimento ambiguo quello che pervade il tifoso della Lazio dopo la gara (persa in casa) contro il Milan. Da un lato, rimangono gli applausi di fine gara, indirizzati a tutti i componenti della squadra: dall’allenatore Maurizio Sarri ai giocatori, che pur con tutte le difficoltà del caso hanno lottato fino all’ultimo per portare a casa almeno un punto contro una squadra più forte. Dall’altro, c’è però anche questo strano sentore apocalittico, che il tempo della fine è giunto: perché se c’è una legge che ha sempre mantenuto salda la propria fama, nel calcio, è che la fortuna aiuta gli audaci.
La Lazio è stata audace, ma ha perso la partita. E non è la prima volta in stagione che questo capita. Forse allora, prima di prendersela esclusivamente col fato, è bene analizzare le cose più da vicino. Perché negli stessi episodi arbitrali giustamente contestati da Lotito, dai giocatori e dai tifosi, si nascondono alcune evidenti lacune della Lazio.
Pellegrini, Marusic, Guendouzi: audaci e sciocchi
Fino all’inizio della ripresa, il match non solo era equilibrato, ma la Lazio sembrava avere qualcosa di più rispetto agli ospiti. Fino all’episodio di Pellegrini, appunto. La dinamica è nota a tutti: gomitata involontaria – ma non per questo irreale – di Bennacer a Castellanos (che nel primo rigore aveva tutto il diritto di reclamare un calcio di rigore ai suoi danni), Di Bello guarda l’argentino tenersi il volto ma decide di non fermare l’azione.
Il pallone, mentre 20 su 22 in campo sono fermi ad aspettare il fischio, scivola dalle parti di Pellegrini che anziché buttarla fuori, la lascia misteriosamente sfilare sull’esterno, quasi chiedendo a Pulisic di non proseguire la corsa. L’americano fiuta la furbizia e ci si tuffa senza remore.
È un gesto molto poco sportivo, ma regolarissimo. Pellegrini lo trattiene: era già ammonito e va sotto la doccia. Succede di tutto, a quel punto. La partita s’innervosisce ma la Lazio difende comunque con ordine, creando anche i presupposti per far male ai rossoneri. Viene annullato un gol a Leao per fuorigioco millimetrico, Okafor lo realizzerà pochi istanti dopo. Prima che Marusic – per una parola di troppo – e Guendouzi – per una spinta di reazione su Pulisic, poca roba ma sufficiente per Di Bello, vengano mandati anzitempo nel tunnel che conduce agli spogliatoi. La Lazio chiude in 8 la partita, portandosi dietro l’ennesimo scontro diretto perso – 8 su 13 quest’anno – e la sensazione di aver chiuso – definitivamente – ogni discorso di speranza per un posto in Champions League. Per rabbia, orgoglio, ma anche stupidità.
La Lazio non segna mai
Epperò, se la Lazio ha senza dubbio lottato dal 1’ al 96’, correndo su ogni pallone come fosse l’ultimo, non si può non sottolineare l’ennesima prova sterile del reparto offensivo biancoceleste. Nel primo tempo la Lazio ha appena un’occasione, con Vecino, da corner. Nella ripresa ne avrà due clamorose, paradossalmente con l’uomo in meno. Capiteranno entrambe sul piede destro di Ciro Immobile. La prima, su assist di Isaksen – entrato molto bene al posto di uno spento Felipe Anderson –, a un metro dalla porta di Maignan: era leggermente defilato, ma poteva fare molto di più (eravamo ancora sullo 0-0).
Qualche istante dopo, col Milan già in vantaggio di una rete, sempre il ‘fu bomber’ biancoceleste calcia di prima intenzione su un mezzo regalo di Adli, che in pratica gli consegna il pallone dentro l’area di rigore. Immobile calcia di prima a incrociare sul lato opposto alla porta di Maignan, ma malissimo. Ne esce fuori un tiro moscio, specchio dell’efficacia offensiva della Lazio quest’anno: meno solida dietro e molto meno concreta davanti. Il nono posto non è casuale.