La domenica italiana è sempre trascorsa tra quelle che erano e sono decine di rituali che hanno scandito i nostri anni.
Le nuovissime generazioni sono probabilmente venute meno al giorno di festa tradizionale, quello che si passava insieme alla famiglia, magari con quella dello zio invitata a pranzo da mamma e papà. Oggi ci sono i marchingegni elettronici ad allontanarci l’uno con l’altro.
La domenica della marmotta
Se avete la fortuna o la sfortuna, a seconda dell’angolazione della quale vogliate servirvi per questa immagine proiettata al passato, di fare parte di una generazione cresciuta senza l’ausilio di telefonini, internet e computer vari, saprete benissimo che il rituale aveva i crismi della sacralità.
A seconda del fatto che voi foste genitori o figli, la settimana lavorativa terminava spesso all’ora di pranzo del sabato.
I ragazzi uscivano dalle loro scuole, si consumava un pranzo leggero e, mentre i figli erano già pronti con un pallone in mano e le scarpette “Pantofola d’Oro” per andare a passare l’agognato pomeriggio a sfinirsi di scatti al campetto o in strada, le mamme e i papà si dedicavano ad un post pranzo più sereno e tranquillo.
Di partite in tv, al sabato, manco l’ombra.
Erano gli anni, quelli in cui la televisione ricopriva un ruolo importante ma non invasivo, trasmetteva l’idea di una domenica calcistica spensierata, una specie di cornice ad una domenica, dicevamo, sempre simile a quella successiva e a quella precedente.
Erano i primi anni ’70, l’Italia era alle prese con problemi ben più grandi, eravamo ancora sbigottiti dalla rivoluzione giovanile e culturale di fine anno ’60 e, anzi, probabilmente prendeva pieghe un po’ meno pacifiche.
Ci si apprestava a vivere una delle più devastanti crisi economiche mondiali, quella del 1973, originata dai contrasti tra Medio Oriente e compratori di petrolio.
Le contrapposizioni ideologiche, soprattutto in Italia, assumevano connotati sempre più aspri, insomma, lo sport e il calcio in particolare, non erano esattamente il primo pensiero dei nostri padri e nonni.
La partita del secolo
Eppure qualcosa cominciava a muoversi soprattutto sotto il punto di vista mediatico e prettamente divulgativo.
Nel 1970 si disputarono i mondiali a Città del Messico, le partite dell’Italia venivano trasmesse dall’unica rete televisiva presente allora, la RAI pubblica e l’indimenticabile voce di Nando Martellini accompagnò le immagini giunte all’interno delle case degli italiani di quella che viene ricordata ancora oggi come la partita del secolo.
L’incontro si giocò nel primo pomeriggio allo Stadio Azteca della capitale messicana il 17 giugno e sapete già tutti quali fossero le due squadre e il risultato finale.
Enrico Ameri alla radio e Nando Martellini alla tv, ci raccontarono in diretta la nostra epica vittoria contro la Germania Ovest per 4-3, partita che ci permise di raggiungere la finale poi persa contro il Brasile di Pelè.
Tutto il calcio e l’eco di quel match
Quella partita rappresenta ancora oggi per molti una sorta di spartiacque generazionale che delimita due modi contrapposti di interpretare alcuni angoli della società italiana.
Ma in questa sede ci limiteremo a parlare di calcio, anche perché, proprio dopo quella partita, successe qualcosa di epocale.
In un periodo in cui le televisioni, ci riferiamo al termine più fisico del termine, tanto che sarebbe meglio usare il termine “televisori”, cominciavano a fare capolino nelle case degli italiani, dopo il warm up rappresentato dalle grandi ammucchiate nei bar di cui erano provviste, il calcio cominciava a prendere piede nello stivale italico, anche e soprattutto sotto forma di intrattenimento.
Trasmissioni radiofoniche come “Tutto il calcio minuto per minuto”, avevano già monopolizzato il favore degli ascoltatori della domenica pomeriggio, tutti, o quasi, sintonizzati sulle frequenze RAI per ascoltare Roberto Bortoluzzi intento a dare la parola ai propri inviati sui campi della Serie A.
Paolo Valenti e il cambio di rotta
La partita di Città del Messico regalò una nuova presa di coscienza agli italiani, sorpresi da quanta passione e comunanza potessero distribuire 90 minuti di immagini televisive atte a mostrare 22 giocatori in mutande che rincorrono un pallone.
Uno sparuto gruppetto di geniali precursori stipendiati dalla televisione pubblica, fiutò l’affare e presentò all’azienda un progetto tanto audace quanto visionario: portare tutte le immagini delle partite della Serie A subito dopo la conclusione delle partite.
Attenzione, per “subito dopo” intendiamo qualche ora dopo. C’erano i problemi di post produzione, il montaggio, il mixer audio, il bilanciamento delle voci fuori campo…
Insomma, il riassunto della domenica calcistica descritto attraverso immagini, tante, e commenti, pochi.
A questi tre signori, Maurizio Barendson, Remo Pascucci e Paolo Valenti, dobbiamo la nascita della trasmissione calcistica più amata dagli italiani, “90° minuto”.
L’esordio
La prima puntata segnò un’epoca: il 27 settembre del 1970, pochi mesi dopo i citati mondiali messicani, l’indimenticabile sigla della trasmissione condotta per i primi anni da Paolo Valenti e Maurizio Barendson, cominciò ad accompagnare gli italiani all’interno di un appuntamento fisso che durerà per moltissime stagioni calcistiche.
La formula era semplicissima. Sigletta dalla musichina accattivante, spalti che si riempiono di spettatori con una sorta di countdown al rovescio che arriva fino al 90esimo e il faccione tanto atteso di Paolo Valenti che dà il benvenuto agli ascoltatori.
Il resto è pura cronaca giornalistica senza fronzoli, tante immagini, poche polemiche se non quelle scatenate da errori veramente marchiani che scatenano le ire dei giocatori in campo e i veri protagonisti della trasmissione, gli inviati.
Tonino Carino da Ascoli & Co.
Un gruppo di amici che entrava nelle nostre case con discrezione e con garbo. Ospiti graditi che portavano sempre un pacchetto tra le mani, i gol del campionato, che avevamo qualche ora prima ascoltato alla radio attraverso le voci, tra gli altri, di Sandro Ciotti ed Enrico Ameri.
Una pallida eleganza che ha portato intere generazioni ad amare gente come Cesare Castellotti, Franco Strippoli, Giampiero Galeazzi, Gianni Vasino, Giorgio Bubba, Marcello Giannini, Roberto Scardova e il mitico Tonino Carino da Ascoli!
E ancora i tifosi avellinesi del Partenio che assalivano Luigi Necco poco incline a combattere le loro intemperanze.
La parabola discendente
Una trasmissione low-med budget come 90° minuto, il cui successo era ovviamente dovuto alla sua originalità, con la nascita dei diritti televisivi e il conseguente innalzamento degli investimenti, non poteva concorrere coi moderni mostri sacri della comunicazione sportiva.
Inoltre, la distribuzione delle partite prima al sabato, poi su tre giorni, la nascita della TV satellitare e le conseguenti trasmissioni dei match in diretta, relegarono il mitico 90° Minuto ad un ruolo secondario.
Ma niente e nessuno cancellerà mai dalla memoria di chi è un po’ più avanti con l’età, quegli anni in cui, dopo le voci radiofoniche in cui immaginavamo i gol descritti con dovizia di particolari, apettavamo il riscontro oggettivo delle immagini di 90° Minuto.