La memoria calcistica dei nostri nonni (e, per alcuni, dei genitori) è segnata inequivocabilmente da un adagio che ogni tanto riemerge. Una sorta di filastrocca, che viene proposta ogni qual volta si parla di bandiere nel calcio, di squadre leggendarie o di imprese impossibili.
Il mantra di riferimento, a prescindere dalla fede calcistica, è sempre lo stesso: “Sarti, Burgnich, Facchetti…”
Per chi ha vissuto negli anni ’60, il calcio è solo la Grande Inter di Helenio Herrera.
L’Inter di Angelo Moratti
Al termine della stagione 1954/1955, il petroliere Angelo Moratti, proprietario di svariate raffinerie in giro per il mondo, acquista da Carlo Masseroni il pacchetto di maggioranza dell’F.C. Internazionale, divenendone il quindicesimo presidente nella sua gloriosa storia.
In tredici anni della precedente presidenza Masseroni, i nerazzurri avevano conquistato solo due campionati: troppo poco, per una piazza così esigente come quella meneghina.
Eppure, nonostante qualche cospicuo investimento, per ben cinque anni Moratti non riuscì a conquistare alcun titolo.
La svolta arrivò nel 1960, quando il presidente decise di sua iniziativa di ingaggiare dal Barcellona il tecnico Helenio Herrera, da cui era rimasto semplicemente sbalordito in seguito ad una partita di Coppa delle Fiere, in cui i catalani avevano annichilito proprio l’Inter.
Herrera aveva un soprannome che avrebbe fatto la storia: in catalogna, infatti, lo soprannominavano “Il mago”. A Milano, avrebbe riscritto la storia del calcio.
L’esordio di Herrera
Il tecnico argentino ottenne importanti rinforzi: arrivarono al suo cospetto il portiere Buffon, il difensore Picchi e il centrocampista Zaglio, a potenziare una squadra che poteva già contare sul difensore Bolchi e gli attaccanti Firmani e Angelillo.
I nerazzurri restano al vertice per quasi tutta la stagione 60/61, poi un episodio accenderà definitivamente la rivalità storica tra Inter e Juventus, e farà entrare Herrera nel cuore dei tifosi. Nella partita scudetto di Torino, sullo 0-0 i tifosi bianconeri invadono il campo e la partita viene sospesa. In prima istanza, l’Inter vince a tavolino; grazie alle presunte pressioni della dirigenza bianconera, la FIGC ordinò poi la ripetizione della gara, con Herrera e Moratti che decisero per protesta di schierare la primavera, perdendo la gara ma diventando da quel momento simboli della lotta al potere juventino.
Nella stagione successiva, l’Inter sfiorò una seconda volta lo scudetto, che invece fu conquistato dal Milan.
Ma i tempi per vincere erano ormai maturi.
L’inizio dell’egemonia
Nel 1962, arrivarono in nerazzurro Burgnich, Maschio e Di Giacomo; tra i titolari furono promossi dalla primavera i giovani Facchetti e Mazzola. Il centrocampo fu affidato a Suarez, mentre il fantasista era Mario Corso.
Dopo un testa a testa con la Juventus durato fino a febbraio, Herrera prese il comando della classifica in occasione del primo passo falso bianconero, e restò in testa sino alla fine, regalando il primo scudetto al presidente Moratti.
L’esordio in Coppa dei Campioni
Vinto lo scudetto, nel 1963 l’Inter potè partecipare per la prima volta alla Coppa dei Campioni. Con Sarti in porta al posto di Buffon, sia in campionato che in Coppa i nerazzurri sembrano imprimere un ritmo difficilmente eguagliabile.
In serie A, il campionato è di vertice, ma fu il Bologna alla fine a spuntarla, in seguito al primo spareggio–scudetto della storia della Serie A.
In Europa, diversamente, non ci fu squadra in grado di tener testa a Mazzola e compagni: prima l’Everton, poi il Monaco, quindi il Partizan Belgrado e il Borussia Dortmund furono le formazioni eliminate dai nerazzurri prima della finalissima di Vienna contro il Real Madrid. Il grande protagonista fu Mazzola, con una doppietta, che col gol di Milani (e quello inutile di Felo) fissò il punteggio sul 3-1 finale, che regalava la prima Coppa dei Campioni ai tifosi interisti.
Il primo “triplete” italiano
Nella stagione 1964/1965 l’Inter si presentava da Campione d’Europa e Vicecampione italiana, risultando tra le favorite assolute. Dal mercato arrivarono Domenghini e Peirò e fu promosso il giovane Bedin.
Il passo in campionato fu devastante: un’Inter inarrestabile è contrastata solo dal Milan di Liedholm, con la formazione rossonera costretta a cedere sul finale per via dell’infernale ritmo dei cugini. Con Mazzola capocannoniere, fu di nuovo scudetto per Herrera.
In Europa, se possibile, il cammino fu ancora più straordinario dell’anno precedente. L’Inter si liberò senza grossi problemi di Dinamo Bucarest e Glasgow Rangers, trovando in semifinale il temibile Liverpool di Shankly. All’andata di Anfield, l’Inter viene travolta dai Reds per 3-1; la partita di ritorno, però, costituisce l’emblema della grinta nerazzurra di quegli anni: davanti a 90 mila spettatori, Corso, Peirò e Facchetti ribaltarono completamente il discorso, spedendo l’Inter in finale.
Contro il Benfica, all’ultimo atto, fu Jair a siglare il gol decisivo: Inter campione d’Europa per la seconda stagione di fila.
Ciliegina sulla torta fu la Coppa Intercontinentale: dopo aver perso in Sudamerica con l’Indipendiente per 0-1, al ritorno a Milano Mazzola e Corso invertirono la rotta, regalando all’Inter l’alloro Mondiale.
L’anno della stella e del bis mondiale
Una squadra confermata in toto, nel 1965-1966, partì a tutta forza per conquistare il decimo scudetto della propria storia. Solo Bologna e Napoli riescono a tenere il passo dei Campioni d’Europa e del Mondo, tuttavia le pesanti vittorie su Juventus e Lazio del maggio 1966 regalarono a Suarez e compagni la stella sul petto, simbolo del decimo scudetto italiano.
In Europa, l’Inter non riuscì a centrare il bis, eliminato solo dal terribile Real Madrid di Gento e Puskas: tuttavia, la consolazione arrivò dalla Coppa Intercontinentale, dal momento che i gol di Peirò e Mazzola regalarono a Moratti il bis della stagione precedente, confermando l’Inter regina del mondo.
La fine del periodo d’oro e l’inizio della leggenda
Nell’estate del 1966, l’Italia uscì in modo umiliante dai mondiali d’Inghilterra. Questo portò ad una profonda modifica della Serie A, nella quale non sarebbero potuti giungere stranieri, al fine di valorizzare i propri vivai.
Tale scelta danneggiò l’Inter, dal momento che Herrera e Moratti avevano già siglato gli accordi con Beckenbauer ed Eusebio, le due maggiori stelle del calcio mondiale.
L’Inter, comunque fortemente competitiva, contese lo scudetto fino all’ultima giornata alla Juventus, che lo conquistò per un punto.
In Coppa dei Campioni si assistette alla seconda beffa per Herrera: il Celtic Glasgow, infatti la spuntò sui nerazzurri in finale.
L’anno successivo, il 1967-1968, fu l’ultimo del binomio Moratti-Herrera: subentrò infatti Fraizzoli alla presidenza, e ci si rese conto che le due beffe della stagione precedente coincidevano col tramonto di una straordinaria epoca fatta di vittorie ed imprese straordinarie.
Il ciclo di vittorie incredibili ed ineguagliabili si evidenzia nelle parole di Suarez, che lascerà con : “È stato un ciclo irripetibile, sapevamo di essere i primi del mondo”.
Ed è la formazione della vittoria delle due Coppe dei Campioni ad essersi impressa nella memoria collettiva di chi ha avuto la fortuna di vivere quell’Inter straordinaria:
Sarti; Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair; Mazzola, Peiró, (Domenghini), Suárez, Corso. Allenatore Herrera.
Semplicemente, una delle squadre più forti della storia del calcio.