Liverpool e Alaves nel 2001 giocarono probabilmente la finale di coppa europea più bella nella storia del calcio: da un lato la tradizione assoluta, dall’altro un gruppetto di parvenu reduci da una stagione irripetibile.
In quel di Dortmund, stadio già spettacolare di suo, andò in scena una tripla rimonta da parte degli spagnoli, senza il premio finale visto che a pochi minuti dai calci di rigore un “auto-golden gol” sancì il 5-4 definitivo per il Liverpool.
Alaves, “bastardi senza gloria”
Pochissimi se non i grandi appassionati di calcio internazionale ancora oggi saprebbe dire dove si trovi l’Alaves. Comunque vi aiutiamo noi, è la squadra di Vitoria-Gasteiz, capitale dei Paesi Baschi (sì, non è né Bilbao né San Sebastian).
Dei grandi club di Euskal Herria senza dubbio quello con meno tradizione rispetto all’Athletic e alla Real Sociedad. Qualche buon campionato negli anni Cinquanta del secolo scorso da cui il nomignolo di “Glorioso” in una città comunque dove la religione è il basket e nello specifico il Baskonia, una delle big d’Europa.
Tutt’altro clima all’Alaves, abituato a girovagare tra seconda e terza serie spagnola, ma che a cavallo tra i due millenni trova un buon filotto promozione-salvezza-sesto posto nella Liga con il vecchio Julio Salinas come stella.
Un sesto posto che vale la qualificazione in Coppa Uefa. E quando Salinas, l’uomo con più esperienza, se ne va in Giappone rimane un gruppuscolo di veri “bastardi senza gloria” a tentare una cavalcata che sembra più una partecipazione simpatica.
Inter, volano seggiolini
La nuova stella è un ragazzo con un cognome pesante, figlio di un papà che ha cambiato la storia del calcio: Jordi Cruijff. Arriva sbolognato dal Manchester United, dove ha fallito clamorosamente.
Per il resto i gol li assicura un centravanti tozzo e sgraziato, Javi Moreno, mentre in mezzo giostra uno scarto della Roma, Ivan Tomic, e in difesa a destra gioca l’elettrizzante terzino romeno Cosmin Contra. C’è qualche argentino e brasiliano di seconda o terza fascia, mentre l’allenatore è un tipo baffuto che sembra uscito da un fumetto o da qualsiasi bar di Vitoria: José Manuel Esnal, detto Mané.
In Coppa Uefa in realtà la cavalcata è senza senso a cominciare dagli ottavi di finale, quando l’Alaves fa fuori nientemeno che l’Inter, vincendo 2-0 a San Siro dopo aver rimontato in casa da 1-3 a 3-3. A Milano dopo il raddoppio di Tomic volano in campo addirittura dei seggiolini e la partita viene sospesa per qualche minuto.
Da lì in poi è un crescendo continuo, con goleade incluse: Rayo Vallecano e Kaiserslautern sono spazzati via con 13 reti in 4 partite e a Vitoria-Gasteiz si sogna davvero in grande, anche se l’ultimo ostacolo si chiama Liverpool, nientemeno.
Tutto per tutto per l’Alaves
Va detto che i Reds quell’anno sono una corazzata, nell’intero 2001 vinceranno infatti ben cinque trofei inclusa la Coppa Uefa. C’è un giovane Gerrard in mezzo e in generale un blocco inglese ben formato con Heskey, Fowler, Murphy e Carragher, più l’esperto scozzese McAllister. Un 4-4-2 solido schierato da Gerard Houllier, tecnico francese che a Liverpool ha trovato l’habitat naturale.
Mané replica con un copertissimo 5-3-1-1, forse eccessivamente abbottonato. La maglia per la finale è speciale, con i colori e lo stile del Boca Juniors e con uno sponsor ad hoc, i vini locali racchiusi in una cooperativa: tutto molto a chilometro zero, come al solito con questo Alaves.
Peccato che dopo un quarto d’ora il Liverpool sia avanti già di due gol, firmati da Henchoz e Gerrard. Mané allora ha un colpo di genio giocandosi il tutto per tutto, fuori uno dei tre difensori centrali (il pachidermico norvegese Eggen) e dentro un attaccante, l’uruguaiano Ivan Alonso, non altissimo ma dalle insospettabili doti aeree.
L’Alaves passa così a un 4-4-2 più logico e meno tremebondo. Tanto, imbarcata per imbarcata, meglio provare a segnare qualche gol. Alonso quasi subito segna di testa su cross da destra, ma un rigore di McAllister riporta la distanza a due reti prima dell’intervallo.
Geli, ma che combini?
Sta per arrivare comunque il momento di Javi Moreno, attaccante formatosi nelle categorie inferiori ed esploso proprio in quella stagione. Mancino, con un naso “importante”, vede la porta come nessuno in Europa per qualche settimana. E anche nella serata di Dortmund dopo un cross di Contra da destra sbuca di testa in mezzo ai colossi della difesa del Liverpool e segna il 3-2.
Passano due minuti, è il 4′ della ripresa, e su calcio di punizione dal limite Moreno addirittura pareggia e fa esplodere il settore occupato dalle decine di migliaia di tifosi baschi. Dovrebbe provare a chiudersi adesso, l’Alaves, tirare il fiato: ma chi glielo dice a quelli in campo che hanno tutta l’inerzia dalla loro? Infatti con un misterioso contropiede il Liverpool torna avanti, 4-3, con Fowler.
Sembra la mazzata definitiva, ma a due minuti dal novantesimo su un calcio d’angolo Jordi Cruijff svetta nell’area piccola circondato da cinque avversari e di testa segna l’incredibile 4-4. Sarebbe fantastico che il figlio di Johann sollevasse una coppa europea sulle orme di papà, molti lo pensano.
Ai supplementari però l’Alaves non ne ha veramente più e arriva al 116′ in nove uomini per le espulsioni del brasiliano Magno, appena entrato, e del difensore Karmona.
Su questo cartellino rosso, secondo giallo per lo stopper, l’azione successiva è un calcio di punizione che McAllister indirizza verso il dischetto del rigore senza troppa convinzione: lì “svetta” in maniera goffa Geli, terzino sinistro dei baschi, che con un colpo di testa spizza il pallone alla perfezione e supera il suo portiere Herrera.
Essendo ancora in vigore la regola del golden gol, la partita finisce lì, nella maniera più tragica possibile per l’Alaves, sportivamente parlando. Il Liverpool, abituato a rimontare più che a farsi rimontare, “grassa” una coppa europea dopo aver visto le streghe per almeno 90 minuti, dal 2-0 in avanti.
L’Alaves si “consolerà” vendendo a peso d’oro le sue stelle a cominciare dalla coppia d’oro Contra-Javi Moreno, che finisce al Milan e dove non combinerà moltissimo.