In principio fu Manuel Rui Costa, ma con Terim. Poi all’alba della stagione 2001-2002, il turco viene rispedito a casa dalla dirigenza rossonera e sulla panchina del Milan, piomba Carlo Ancelotti. Mediano tutto cuore e duttilità del Milan sacchiano, torna a casa dopo l’esperienza con la Juventus e conduce il diavolo ad un ciclo di successi incredibile. Il tutto nel nome della fantasia. Si perché Carlo Ancelotti da Reggiolo, specie nei momenti in cui l’infermeria era piena, vincerà schierando un plotone di numeri 10.
In barba alla leggi non scritte del calcio italiano e soprattutto convincendo Silvio Berlusconi, che le due punte non sono sempre l’unica strada per arrivare al gol e al successo. Lo sanno bene i tifosi del Milan che in quegli 8 anni si rifanno più volte gli occhi: fra un possesso palla diventato una sorta di marchio DOC, un gioco spumeggiante e i tiri a raffica nelle porte avversarie, esulteranno a ripetizione per i trionfi del Milan di Carlo Ancelotti.
I colpi del 2002 e l’invenzione con Pirlo
Dicevamo, in principio fu Manuel Rui Costa, il grande colpo dell’estate del 2001 del Milan. Insieme all’Ex viola, ecco dall’Inter l’inaspettato regalo di Andrea Pirlo, già mattatore con la nazionale Under 21. I due però per la prima parte della stagione resteranno ai box: il portoghese si rompe il gomito alla prima giornata contro il Brescia, mentre il gioiellino ha problemi con la pubalgia. Aggiungeteci il precoce infortunio di Shevchenko e capirete che il solo Filippo Inzaghi deve reggere il peso della baracca in attacco.
Come detto Carlo Ancelotti subentra dopo pochi mesi e fra mille difficoltà aiuta il diavolo a rialzarsi. Quando nel nuovo anno rientrano i 3 lungo degenti, il Milan cambia pelle e se in campionato agguanta la quarta ed ultima piazza che vale l’accesso ai preliminari di Champions, in Coppa Uefa si ferma solo in semifinale contro il Borussia Dortmund. Carletto sta gettando le basi di un ciclo fatto di trionfi e coppe.
Nell’estate del 2002 il Milan vuol tornare protagonista. Così dall’Inter prende altri due regali come Seedorf e Simic, dalla Lazio prende Nesta per puntellare la difesa e dal Barcellona arriva un brasiliano atipico come Rivaldo. La qualità in mezzo al campo abbonda per Carletto Ancelotti che deve mischiare la fantasia e la classe operaia. L’equilibrio arriva nel modo più inaspettato, perché Ancelotti parla con Pirlo e il bresciano spiega di aver già giocato come play basso davanti alla difesa ai tempi del Brescia con Mazzone.
In Carlo Ancelotti scocca la scintilla e così fa una cosa che stupisce tutti. Complice un nuovo infortunio che tiene Sheva fuorigioco fino a novembre, l’emiliano in barba ai dogmi tattici della scuola italiana schiera tutti assieme i suoi potenziali numeri 10: Pirlo vertice basso, Seedorf come mezz’ala sinistra, mentre Rui e Rivaldo vanno a supporto di Pippo Inzaghi. Il neo acquisto Tomasson si rivela più letale a gara in corso che dal primo minuto e con Sheva momentaneamente out, l’altra alternativa è un giovanissimo e acerbo Marco Borriello.
Ovviamente se in quattro cantano in quel centrocampo, serve anche chi porta la croce. Non può che essere Gennaro Gattuso l’uomo di sudore a recuperare palloni e far volare qualche scarpata quando serve. Il suo ricambio è Massimo Ambrosini, ancora alle prese con dei guai fisici, con Christian Brocchi jolly di spessore. Per i giovani Dalla Bona e Donati lo spazio è davvero esiguo, in un centrocampo di mostri che comprende l’eterno infortunato Redondo.
Dalla notte di La Coruna a quella di Manchester
Carlo Ancelotti, dopo qualche esperimento, rompe gli indugi nella seconda giornata del primo girone di Champions League (fino a quella stagione erano due i gironi, prima della fase ad eliminazione diretta). Il Milan ha vinto in casa 2-1 contro il Lens e ora cerca continuità nella tana del La Coruna. Ne viene fuori una prestazione memorabile e con tutti i suoi tenori dal primo minuto. Pirlo disegna, Seedorf segna, Rui e Rivaldo danzano, ma alla fine quello che realizza sempre è “Super Pippo” autore di una fantastica tripletta. Il Milan sbanca per 4-0 e nasce così il Milan dei Meravigliosi.
A fine ottobre Sheva è di nuovo abile e arruolato. L’ucraino non si può lasciare fuori e fa coppia con Inzaghi. Così Carletto si inventa la staffetta fra Rui Costa e Rivaldo. Nel derby di campionato, il brasiliano inventa un tracciante meraviglioso per Serginho, il quale beffa Toldo e consegna la vittoria al Milan. Pochi giorni dopo, nella prima giornata del secondo girone di Champions i rossoneri ospitano il Real Madrid campione in carica. I “Galácticos” si inchinano a San Siro davanti al passaggio illuminante di Rui Costa. Il lusitano disegna un assist di 40 metri che spalanca una prateria a Sheva. Il numero 7 non perdona e segna il gol partita che fa impazzire il popolo di casa.
Da quel momento in poi della stagione il Milan sarà più o meno questo. In campionato lascia strada alla Juventus di Lippi, mentre fra Champions e Coppa Italia si presenta in finale. Se in quest’ultima ipoteca il successo già dopo i primi novanta minuti, espugnando l’Olimpico 4-1, è in finale di Coppa dei Campioni che si consuma l’apoteosi e la vendetta di Carlo Ancelotti.
All’Old Trafford di Manchester c’è la Juventus a contendere il trofeo. Carletto senza paura lancia i suoi tenori in campo: Pirlo, Seedorf e Rui, con Rivaldo dalla panchina.
Se già nei 120 minuti il Milan avrebbe meritato il successo sia sul piano del gioco e sia sul piano delle occasioni, ai calci di rigore trova la legittima vittoria. Carlo Ancelotti si toglie una volta per tutte l’etichetta di eterno secondo e con una squadra imbottita di numeri 10 consegna al diavolo la sesta Coppa dei Campioni della sua storia. Tre giorni dopo, la stagione si chiude con il pareggio per 2-2 a San Siro contro la Roma nella gara di ritorno della finale di Coppa Italia e “Re Carlo” piazza un pesante double.
Un marziano di nome Kakà
Nell’estate del 2003 il Milan cerca di puntellare con acquisti mirati i suoi reparti e dal San Paolo in Brasile arriva un certo Kakà. Si sprecano le battute su questo 21enne di Brasilia, con l’aria da studente in Erasmus. L’ilarità e un’ironia poco elegante svaniscono subito, quanto basta al numero 22 del Milan per scalzare Rivaldo e Rui Costa, come “numero 10” del Milan.
Carlo Ancelotti non ha dubbi, il brasiliano è fenomeno e in quella squadra i fenomeni devono giocare. Ne fa le spese un Rivaldo troppo discontinuo che saluta di li a poco, mentre Rui Costa sa che dovrà ricoprire il ruolo di riserva di lusso alle spalle di Kakà, dispensando assist a gara in corso.
Gli altri uomini restano gli stessi sulla linea mediana, con il solito Gattuso che corre per tre, con Seedorf che delizia, con Pirlo ormai inamovibile davanti alla difesa. Kakà agisce alle spalle della coppia Inazghi – Sheva e sarà protagonista della straordinaria cavalcata che riporta il Milan a vincere uno scudetto a 5 anni di distanza dall’ultimo. Il 17° sigillo si completa il 2 maggio 2004, ancora contro la Roma. Una sorta di finale a tre giornate dalla fine, con i giallorossi in scia ai rossoneri. I meneghini con una vittoria si possono laureare campioni d’Italia e dopo appena 90 secondi, Kakà pennella sulla testa di Shevchenko il gol dello scudetto.
Un Milan epico, ma senza successi
Le stagioni 2004-05 e 2005-06 sembrano maledette per il Milan. Incanta, gioca il miglior calcio del mondo, ma non alza alcun trofeo di rilievo. Eppure la formula è sempre la stessa: Pirlo con Gattuso e Seedorf ai suoi fianchi, mentre Kakà fa da filtro tra la mediana e la coppia Sheva-Crespo, con Inzaghi spesso ai box per problemi fisici. Il 25 maggio del 2005, i rossoneri sono super favoriti per la vittoria in finale contro il Liverpool e sembrano già averla vinta alla fine del primo tempo. 3-0 all’intervallo e Kakà conferma di essere un marziano.
Nella ripresa i sei minuti più folli della storia del calcio. Il Liverpool completa l’aggancio e con il 3-3 confermato ai supplementari, i reds vincono dal dischetto. Il Milan in meno di tre settimane subisce la beffa in campionato con il sorpasso decisivo della Juventus e crolla ad un passo dal titolo in Coppa. Il 2005-06 inizia sulla falsa riga della stagione precedente: rossoneri stratosferici per gran parte dell’annata ma zero trofei in bacheca.
La Champions con l’albero di Natale
L’estate del 2006 è dir poco traumatica. Da una parte il trionfo della Nazionale al mondiale tedesco e dall’altra lo scandalo di Calciopoli. Il Milan ne resta invischiato: penalizzato dal campionato precedente e con meno 8 punti in quello che sta per iniziare. Il declassamento a tavolino condanna i rossoneri a partire dal turno preliminare come nel 2003. Dunque in fretta e furia vengono convocati a Milanello da Ancelotti, tutti i nazionali ancora in vacanza. C’è la Stella Rossa da superare per non dire addio alla Champions già ad agosto.
Tutti presenti, tranne Rui Costa e Sheva. Il portoghese ormai sul viale del tramonto torna al suo Benfica per chiudere la carriera, mentre l’ucraino istigato dalla moglie decolla alla volta di Londra. Carlo Ancelotti è costretto ad una preparazione molto leggera a causa dei tempi ristretti e sa che per avanzare serve più quantità che qualità. Da qui nasce l’esigenza dell’albero di natale, con il doppio trequartista alle spalle di Inzaghi o Gilardino.
Silvio Berlusconi, almeno inizialmente non la prende bene e vuole che il Milan giochi sempre con le due punte. Carletto e i suoi ragazzi sanno che quel modulo non è fattibile per un Milan a mezzo serbatoio e nemmeno dopo la preparazione di Gennaio a Malta cambiano idea, soprattutto in ambito europeo. In campionato Ancelotti cerca di accontentare il presidente e complice l’arrivo a Gennaio di Ronaldo dal Real Madrid schiera sempre le due punte, mentre in Champions con il brasiliano non eleggibile, è ancora l’albero di Natale a dominare.
Per l’ennesima volta le intuizioni di Carlo Ancelotti si rivelano geniali. Il Milan formato Europa viaggia come un treno alta velocità e dopo aver eliminato in sequenza Celtic, Bayern e Manchester United si presenta ad Atene per la rivincita contro il Liverpool. Se Kakà e Seedorf agiscono alle spalle dell’unica punta (quasi sempre Inzaghi), ai fianchi di Pirlo ci sono due mastini come Gattuso e Ambrosini. Quest’ultimo ha finalmente una maglia da titolare e messi da parte i tanti infortuni diventa sempre più decisivo.
La finale contro il Liverpool non è particolarmente bella. Un Milan cinico si aggrappa alle due reti di Filippo Inzaghi che chiude un cerchio magico. Ma se il “Re di Coppe” castiga gli uomini di Benitez, è altrettanto decisivo Kakà. Il brasiliano gioca una gara normale, poi sul finire del primo tempo conquista la punizione da cui nasce il vantaggio del Milan. Nella ripresa soffre la marcatura ad uomo di Mascherano e subito dopo la sostituzione dell’argentino, Kakà imbuca per Inzaghi l’assist del 2-0. Il Milan vince la sua settima Champions League, la seconda con Carlo Ancelotti sulla panchina e a suon di fantasia.