Niente episodio, niente vittoria. O meglio: niente episodio a favore, magari un paio a sfavore, ed ecco che il risultato è 1-1 con il Genoa, in un Marassi che semplicemente ribolliva di passione. Buon punto per Gilardino, sensazioni a metà per Allegri. Non gli farà piacere la citazione, ma “nel percorso” è un pari che ci può stare. Soprattutto se l’obiettivo finale è quello da lui annunciato: arrivare al quarto posto, al limite approfittare di qualche mancanza dell’Inter. Ma giusto se ci si ritrova lì.
Ecco che però il pari di Genova mostra in definitiva i due volti della Juventus: da una parte c’è una squadra che fatica a girare contro un’avversaria ben schierata e con ottime individualità in ripartenza, dall’altra c’è un gruppo solido, che ci prova e a volte ci riesce, pur dovendo operare su una base di qualità tecnica discutibile. Detta in parole poverissime: la fatica nel giropalla, nelle invenzioni, nel guizzo, è dettato anche dalla mancanza di calciatori in grado di dare il cambio di passo alla squadra. Allegri ha fornito il proprio materiale, piombando su questo gruppo con una solida organizzazione (ben eseguita). Poi? Poi il gioco del calcio è fantasia. E di fantasia, Chiesa a parte, questa squadra non ne ha.
Genoa-Juve: la partita di Vlahovic
Le difficoltà della Juventus sono le difficoltà di tutti e sopra ogni altro di Dusan Vlahovic. L’attaccante serbo è l’emblema di quando le cose non girano, raramente il simbolo di una Juve potente e in grado di superare le avversità. Anche contro il Grifone: che difficoltà nel mantenersi lucido nella partita. E se non è più un problema di forma fisica, allora cosa sarà mai? Certo, l’avversario ci è andato giù pesante. Chiaro: un po’ è stata anche la giornata storta. Ma Vlahovic – diversamente dalle ultime partite, comunque senza reti a referto – non è stato l’anello di congiunzione tra centrocampo e attacco, non ha nemmeno attaccato la profondità e non si è mai proposto per situazioni concrete. La replica facile: ha avuto palloni giocabili? La contro-risposta ancor più semplice: no, non ne ha avuti. Però un grande attaccante è tale se riesce a vivere pure nelle imperfezioni della difesa altrui.
Il momento in cui Vlahovic si è spento, senza più riaccendersi, è stato quello più poetico e chiaramente simbolico: recupero palla e lancio dentro per Chiesa, che salta Martinez e si fa atterrare. Calcio di rigore. Tutti a guardarlo: calcia lui? No, dà la palla all’amico, lo abbraccia e lo incoraggia. Tutto bene quel che finisce bene, ma col senno del poi è lecito domandarselo: avrà sentito la pressione schiacciargli il coraggio? Ha avuto paura? Avrà smesso di calciare dagli undici metri per questa stagione? Allegri non ha guardato l’attimo in cui Chiesa gli ha regalato il vantaggio, ma dovrà vedere per bene nelle piaghe e nelle pieghe di DV9. Prima dell’Inter non segnava da due mesi. Post Inter ha regalato prestazioni contrastanti, quasi mai sopra la soglia della sufficienza. E’ il giocatore più pagato della rosa e l’anno prossimo potrebbe arrivare a guadagnare 12 milioni di euro. Farsi due conti non è poi complicato.
Genoa-Juve: l’impatto dei cambi
Sarà tema di ampissima discussione. Nel mentre ci sarà un bel po’ di attualità da smaltire. Allegri sa benissimo di aver sprecato il primo e forse unico bonus da qui alla fine del girone d’andata: sette punti in tre partite possono essere considerati un buon bottino, cinque su nove a disposizione inizierebbero a dare la sensazione che la Juve stia per mollare il colpo. Soprattutto se l’Inter dovesse continuare a macinare gol, gioco e di conseguenza risultati. Complicatissimo, stare al passo. In particolar modo senza i veri top a disposizione – ieri è mancato tremendamente Rabiot, Kean poteva essere un cambio utile – e in attesa che si sblocchi qualcosa dal mercato.
E’ inevitabile: ogni discorso sulla Juve passa poi da un check del centrocampo. Lo sa Giuntoli, lo sa la società, lo sa assolutamente Max. Che ieri si è ritrovato a schierare Miretti, senza trovare la risposta offensiva che cercava. Da Iling non ha avuto nulla, da Weah (mille attenuanti) mai lo sprint che avrebbe potuto fare la differenza. Milik gioca spezzoni di qualità, ma a basso ritmo. Dunque, cosa ottiene realmente dai cambi il tecnico? Un po’ di energia per i forcing finali, quelli che finora hanno sorriso e che a Marassi stavano quasi per farlo. E nulla in più. Non una giocata risolutiva, non un cambio di marcia poderoso.
Tra le difficoltà di Allegri ci va pure e necessariamente questo, come in un calderone che ora l’allenatore fatica un po’ di più a mescolare. La settimana che porta a Frosinone e a Natale sarà un gioco più mentale che fisico. Se l’Inter volta, la Juve troverà lo slancio per raggiungerla?