Che cosa è la nostalgia? Da un punto di vista etimologico, è il desiderio di tornare a vivere in un luogo che, offuscato da ricordi ad esso sovrapposti nel tempo, è ad un passo dall’oblio. È da questa quasi dimenticanza che nasce però un’esigenza: vivere l’oblio.
Carlos Alberto Valderrama Palacio è il desiderio di vivere l’oblio. Lo intravediamo, nascosto da una nebbia spessa come il dolore, tra le maglie bianche e striate della Germania, durante l’incontro tra i tedeschi e la Colombia nel Mondiale a noi più caro, quello di Italia 90. Ah, gli anni Novanta!
Valderrama guida la Colombia, da capitano, nell’arco di tempo che va dal 1990, appunto, al 1998. Italia 90, USA 94 e Francia 98. Ma quella partita contro la Germania vale da sola più delle 111 presenze con la nazionale colombiana. Inutile dire che, con questo numero, El Pibe nasconde ad ogni altro pretendente un record tutt’oggi inviolato. Lo nasconde come nascondeva, con i piedi, il pallone agli avversari. Eduardo Galeano, non ci colga l’imbarazzo della citazione, lo descriveva così, El Pibe: un fuoriclasse dai piedi storti.
Un «dieci» inconfondibile
Sì, perché a vederlo in azione si rimane colpiti e non poco dalla sua andatura.
Valderrama è un cammello coi capelli di un afroamericano. E coi piedi di un Dieci purissimo. Attenzione, però, a non sottovalutare i capelli. Decide l’acconciatura dopo aver raggiunto la maggiore età – che in Colombia come da noi equivale ai 18 anni –, come a contrassegnare un passaggio irreversibile, quello all’età adulta. La carriera calcistica del ragazzo non è ancora così avviata come si potrebbe pensare. Su richiesta del padre si prende il diploma, poi inizia a pensare al calcio, sport nel quale sembra essere particolarmente portato.
A proposito del Padre. Carlos Jaricho Valderrama ha una doppia funzione: 1) educativa e 2) calcistica.
Calcistica, sì, ma non perché anch’egli gioca come difensore centrale, né perché trasmette al figlio l’amore incondizionato per il calcio – da spartire solo con un altro amore, quello per le donne. Certo anche questo, ma il motivo è più profondo e riguarda il mestiere di papà Carlos. Egli è infatti insegnante di matematica.
Le geometrie del Pibe sono una delle principali caratteristiche e doti del centrocampista/trequartista colombiano. Andatura da cammello, si diceva. Sì, ma che qualità. Che visione di gioco. Una visione geometrica, matematica, euclidea persino.
Ciò che gli consente con una giocata di disegnare un’occasione da gol. Così contro la Germania quando, accerchiato da un paio di uomini, anziché allargare sulla propria sinistra colpendo il lato scoperto della difesa tedesca, attira a sé la marcatura del terzino di fascia opposto, imbucando perfettamente, di mancino, prendendo di contropiede anche lo spettatore, per il compagno di squadra che, solo davanti al portiere, non può sbagliare. È la prima volta nella storia della Colombia che la Nazionale riesce a passare la fase a gironi di un Mondiale. È sotto la guida del Pibe Valderrama che accade tutto ciò.
Classe e contraddizioni del Pibe
Fategli una statua, e infatti gliela fanno al Pibe, la statua. Per davvero però. Lui che, ragazzino (Pibe, appunto), è già fuoriclasse dai tempi dell’Union Magdalena, sotto la guida del sapiente Rubén Deibe, l’allenatore che così soleva soprannominarlo e richiamarlo, passa quattro giorni dei propri 20 anni di età in carcere. La maggiore età, tra i rischi sussurrati sottovoce, ha principalmente questo, di renderti perseguibile dalla legge. Il motivo? Una rissa con un agente di polizia: non proprio la migliore delle idee.
D’altra parte El Pibe il goal, cioè l’obiettivo, non lo ha mai troppo amato. Lo sfiora l’assist, questo sì. La giocata, anche fine a sé stessa, da vero numero dieci.
D’altra parte, con un passo così – lento fino quasi all’irritabile – o hai una tecnica aliena alla norma o non puoi diventare, en passant, uno dei giocatori più apprezzati del pianeta. Ad esempio da Pelé, che lo inserirà nella prestigiosa lista dei FIFA 100, tra i 100 giocatori viventi più forti di sempre.
Ma anche dalle donne. Nel 1995 un esame del DNA gli “svela” un figlio concepito insieme alla giornalista colombiana Emelina Ruge Tapias, ai tempi dell’Independiente Medellín. Due volte Calciatore sudamericano dell’anno (1987 e 1993), sembra di vederlo di fronte a noi El Pibe: capello afro, braccialetti e collanine, baffo nero di una certa importanza, piedi storti ma fenomenali, gambe tozze, passo lento ma gioco dinamico, rapido, rapido di pensiero e di esecuzione, preciso, tecnicamente quasi infallibile.
Se ancora non riuscite a ricordarvelo, non temete. È la nostalgia.