Oltre ad avere tra le mani l’omonima scuderia di Formula 1, che può vantare tra le sue fila un campione del calibro di Max Verstppen, la Red Bull ha investito in modo consistente anche nel mondo del calcio. Europeo e non solo. L’azienda è stata fondata da Dietrich Mateschitz nel 1987 ed almeno inizialmente aveva poco o nulla a che fare con il mondo dello sport. L’idea dell’austriaco era quella di produrre una bevanda energetica che traeva ispirazione da alcuni prodotti alquanto popolari, specie negli anni 80, in Asia.
A tal proposito, Mateschitz può essere difatti descritto come un genio della vendita. Il patron della Red Bull grazie ad un lavoro di sviluppo marketing grazie al quale decise di sponsorizzare inizialmente marchi atleti degli sport estremi. Poi abbracciò anche l’opportunità per cui il marchio fosse utilizzato anche nell’ambito di attività sportive meno pericolose. Questo diede il largo ad un effetto domino mai visto prima ed estremamente redditizio.
Alcuni dei maggiori sforzi sportivi si sono verificati nel calcio. Soprattutto nel corso degli anni 2000. Tuttavia l’ingresso della Red Bull in un mondo elitario come quello del pallone ha creato non poche sollevazione. Da parte dei tifosi e delle federazioni. Il colosso austriaco ha voluto creare un esempio in termini di sviluppo e scouting. Se da un lato ciò ha portato alla scoperta di alcuni grandi campioni e un posto tra le big d’Europa, dall’altro ha creato non poco malcontento.
La Red Bull, una volta che acquista una squadra, la plasma a 360 gradi. Ne trasforma quindi il logo, la maglia, i colori e persino il nome, di modo che lo stesso sia di riferimento e sponsor per l’azienda. L’accoglienza iniziale è stata piuttosto ostile ma il consistente numero di talenti presenti in rosa, gli investimenti e gli importanti obiettivi centrati nelle maggiori competizioni europee, ha fatto sì che persino i meno avvezzi a questa acquisizione, la accettassero, seppur con qualche remora.
La Red Bull ha puntato su giovani talenti ed imponenti strutture all’avanguardia. L’idea del brand era quella, soprattutto in Europa, di fornire una nuova esperienza a livello di stadio e spettacolo allo stato puro in mezzo al campo. Da notare che questa filosofia si sposa perfettamente con l’idea di sport targato Usa. Sarà proprio per questo che questo modello pare stia funzionando anche al di fuori dei confini europei.
Salisburgo: il trampolino di lancio della Red Bull
In prima istanza la Red Bull ha deciso di muoversi nella terra su cui l’azienda è nata. La squadra prescelta è stata il Salisburgo. Nel 2005, al momento dell’acquisto, è stata rivoluzione totale. Sono stati cambiati i colori, non più viola ma bianco e rosso a ricordare appunto il brand, il logo ed infine anche il nome che è diventato da allora Red Bull Salisburgo.
Inizialmente si è puntato su profili di esperienza, scelta corretta dato un primo periodo di vittorie che è stato utile a smorzare le feroci critiche verso la nuova proprietà. Successivamente si è scelto di utilizzare il Salisburgo per far esordire giovani talenti che ora stanno facendo le fortune di alcuni dei più grandi club europei.
Emblematico è il caso di Erling Haaland. Il norvegese è entrato inizialmente nella storia con indosso la maglia della RB Salisburgo, segnando una tripletta nella sua prima uscita in Champions League contro il Genk a soli 19 anni, divenendo il secondo giocatore più giovane dopo Wayne Rooney a farlo. Ora veste i colori del Manchester City ed a 23 anni ha già vinto il triplete ed ha all’attivo 284 reti totali.
L’approdo alla Grande Mela
Dopo l’investimento avvenuto nella terra natia, la Red Bull decide di oltrepassare i confini europei e spingersi fino negli Stati Uniti. Nel 2006 l’azienda austriaca decide di investire in MLS, quando il campionato statunitense non era assolutamente appetibile e la cui organizzazione pareva al limite del dilettantistico. Pertanto decidono di acquisire la proprietà dei New Jersey Metrostar, oggi conosciuti come Red Bull New York.
Alla Red Bull va riconosciuto di saper capire i contesti. Lo sport a stelle e strisce offre uno spettacolo completo il cui costo è particolarmente ingente. La classica rivoluzione apportata da Red Bull che coinvolge cambio logo nome e colori sociali è stata inizialmente accolta con una sonora sommossa da parte del tifo. Smorzata poi dal prezzo appetibile dei biglietti e successivamente l’arrivo di campioni del calibro di Thierry Henry e Tim Cahill.
A far apprezzare la nuova proprietà ai newyorkesi, oltre ad un costo dello spettacolo particolarmente appetibile, è stata la costruzione di un impianto nuovo e particolarmente all’avanguardia. Tutti fattori che attirano fatalmente il pubblico statunitense, data la loro attenzione alla novità. Ovvio che l’approdo in MLS non è avvenuto solo per motivi prettamente sportivi ma anche e soprattutto per sponsorizzare la bevanda energetica oltre oceano.
Next stop: Sud America
È il 2007 quando quando la Red Bull decide di investire nel mondo del calcio sudamericano. Tuttavia, qui trova la netta opposizione di tutte le squadre della federazione, reticenti a cambiare logo, nome e colori sociali. Ciò lo si deve all’attaccamento verso questi valori dei tifosi e delle società stesse. Il calcio non è solo un gioco, è pura fede.
Non trovando nessuno disposto ad accogliere queste condizioni, Red Bull decide di crearsi la propria squadra. In queste condizioni il colosso austriaco ha massima libertà nella scelta di logo, colori e nome. In soli sette anni la Red Bull Brasil riesce ad avvicinarsi alla massima divisione brasiliana.
Questa non sarà l’unica incursione della Red Bull nel campionato brasiliano, difatti qualche anno più tardi diventerà proprietaria di una compagine verdeoro. Da essa, tra l’altro proviene un giocatore che in questo momento si è ritagliato un posto da titolare nella compagine campione d’Italia.
Sud Africa: un affare fallimentare
Nonostante un innato senso per gli affari, persino i migliori possono prendere un abbaglio. È accaduto anche alla Red Bull. Nel 2008 la multinazionale decide di investire in Sud Africa. In questo contesto i cambiamenti legati a nome, logo e colori sono il minore dei problemi. Qui mancano i beni di prima necessità per cui un impianto all’avanguardia appare alquanto superfluo.
Mancano strade asfaltate, cibo e acqua potabile per cui, nonostante uno stadio nuovo ed una struttura di allenamento completamente nuova non riesce a dare alcuna linfa al progetto. Inoltre, i giocatori ghanesi in grado di fare il salto di qualità ed imporsi in Europa sono troppo pochi rispetto all’ingente somma di denaro investita.
Perciò nel 2014 Red Bull decide di mettere da parte questo investimento, definibile solo come fallimentare, e cede la Red Bull Ghana ad una squadra satellite del Feyenoord. A questo punto, il progetto, non più di proprietà degli austriaci cambia totalmente pelle, prende il nome di West Africa Football Academy.
Il ritorno nel vecchio continente
Dopo aver girato due continenti diversi, con alterne fortune, la Red Bull decide di investire nuovamente in Europa. Nello specifico in Germania, dove con l’acquisto del Lipsia, è stato fatto probabilmente l’affare più redditizio in ambito calcistico del colosso austriaco. Pure in questo caso, l’accoglienza di questi nuovi proprietari non è stata accolta a festa, eppure i risultati devono dare ragione alla multinazionale.
Dopo l’acquisizione da parte della Red Bull, il Lipsia diventa una delle squadre meno apprezzate, specie dal punto di vista morale, di tutta la Germania. Considerata una compagine senza radici e senza futuro viene spesso etichettata dagli avversari come il team commerciale della Bundesliga, le cui fondamenta poggiano sui soldi e non sulla storia.
Da ricordare che per legge in Germania non è possibile cambiare nome per agevolare una sponsorizzazione ed RB nel nome sta infatti per Rasen Ball – campo da gioco. Al netto di questa precisazione, è bene ricordare che in soli sette anni il Lipsia è arrivato in Bundesliga dove ora gioca per i primi posti della classifica e poco dopo ha fatto il suo esordio in Champions League, competizione nella quale riesce sempre a farsi notare nonché a mettere in mostra i suoi giovani talenti.
Il Lipsia è probabilmente l’esempio più edificante dei vari investimenti fatti da Red Bull nel calcio. Scouting oculato e preciso che permette alla squadra di autosostentarsi, ovvero di vendere i propri gioiellini ad alti prezzi che gli permettono di continuare ad investire su profili promettenti. Questo sistema ha portato la compagine tedesca di arrivare in semifinale di Champions League nel 2020.
Ritorno in patria: il Liefering
Dopo il ritorno in Europa, la Red Bull ha deciso di reinvestire nella terra natia: l’Austria. Per poter poter continuare a scovare e far crescere giovani talenti, l’azienda austriaca ha necessità di avere tra le sue proprietà quella di una squadra secondaria. Dopo il totale rifiuto della federazione di iscrivere una squadra di Serie B nelle categorie inferiori, decide di muoversi a modo suo.
Nel 2012 acquista l’Anif, piccola squadra con sede nei pressi di Salisburgo. Come da prassi cambia nome, logo e colori e diventa così Liefering. In questo contesto la Red Bull ha l’opportunità di far crescere e giocare i profili under 2 più promettenti che esordiscono poi in una delle due prime squadre sponsorizzate dalla bevanda energetica.
In questo modo, alla vendita di un giocatore ce n’è sempre uno pronto che può sostituire chi se n’è andato. Ciò crea una modalità di fare scouting circolare ed innovativo che permette loro di continuare ad investire ingenti somme sullo sviluppo di calciatori giovani ma particolarmente talentuosi. Ciò fa sì che al momento della chiamata nel big club, essi siano già pronti ad affrontare sfide probanti.
Last Stop: Red Bull Bragantino
Il fascino che il calcio sudamericano suscita nell’animo di tutti gli appassionati di calcio è innegabile. E neppure la Red Bull ne è immune. Dopo quanto fatto nel 2007, la tentazione di investire nuovamente in quella parte del mondo era troppa. Per questo, non appena si è presentata l’occasione, il colosso austriaco non ha esitato.
Nel 2019 la Red Bull riesce a siglare un accordo di appalto con il Bragantino. La proprietà austrica gestisce l’aspetto calcistico della squadra ed inizia ad investire consistentemente in questo progetto, i cui presupposti sembrano essere più che discreti. Anche in questo caso al nome della compagine viene affiancato il logo della bevanda energetica.
Da notare che proprio dal Bragantino proviene uno degli acquisti effettuati dal Napoli nella scorsa sessione di mercato, ovvero Natan. Segno questo di una continua ricerca di giovani talenti da fare crescere e che possano poi mostrare le proprie qualità nei massimi campionati europei.